I primi 50 di Sylvie Guillem: l’etoile si festeggia in tutto il mondo
In questi mesi si sta consumando il lungo addio alle scene della diva della danza del nuovo secolo, quella Sylvie Guillem amata in tutto il pianeta ed in tutto il repertorio interpretato in quasi quarant’anni di incredibile attività. Nata al Teatro dell’Opéra di Parigi è stata nominata etoile a Palais Garnier, dal suo mentore Rudolf Nureyev, a soli diciannove anni ne Il Lago dei cigni. Una profezia che l’ha lanciata nel repertorio classico prima di diventare, in breve tempo, l’icona della danza contemporanea amata dai più grandi coreografi viventi. Tutti hanno creato per lei coreografie inedite divenute, inevitabilmente, pezzi del nuovo repertorio firmato ad hoc per la divina francese. Che come tutte le dive nel 1998 ha sedotto ed abbandonato il suo natio Teatro dell’Opèra appannaggio del Royal Ballet “per approfondire – spiegò a suo tempo la Guillem – l’aspetto più teatrale con le grandi produzioni drammatiche della tradizione britannica.” Da quel momento il repertorio di tanto Novecento ha vissuto una rilettura griffata proprio dalla parigina Sylvie, fino al debutto nella coreografia di Giselle del 1998 per il Finnish National Ballet, ripreso successivamente al Teatro Alla Scala nel 2001. Ma è nel 2000 che scrive una pagina memorabile del balletto: per la prima volta dopo gli immortali Margot Fonteyn e Rudolf Nureyev riprende al Royal Ballet, con Nicholas Le Riche, il Marguerite ed Armand di sir Frederic Ashton. Infine Push, titolo a serata che ha creato nel 2006 con Russell Maliphant e portato in scena in tutto il mondo. Sembrava dovesse essere l’addio alle scene dopo aver incantato il pianeta con una serie di innumerevoli riconoscimenti e successi sbalorditivi di critica e pubblico. “Ma probabilmente quando uno spettatore ti dice che quello che fai gli ha cambiato la vita – spiega ancora la Guillem – capisci che stare in scena è una responsabilità e non deludere nessuno una missione. E’ questo che mi ha mandato sempre avanti. E ora mi dice di fermarmi.” Ed infatti Life in progress dovrebbe essere il testamento scritto ad otto mani per compiere il saluto alle scene più convincente possibile.
Life in progress, la trilogia perfetta per il saluto alle scene dell’etoile Sylvie Guillem con le coreografie di Russell Maliphant, Akram Khan e Mats Ek. L’intera serata ha il tema cerebrale ed intellettuale tanto caro alla Guillem così, ad esempio, in Here & After di Maliphant la francese esalta la complessa calibratura di energie, caratteri dinamici e fusione di stili peculiari del coreografo. L’assolo di Akram Khan, intitolato Techne, pare invece un confronto dialogato tra la donna-Guillem ed il proiettore di luce roteante. In questi termini la donna-Guillem sfrutta il bagaglio fisico, atletico ed energico della ballerina, peraltro ancora in formissima nonostante i celebrati cinquant’anni, scritti con il proprio corpo attraverso salti, giri e tensioni sullo spartito delle percussioni di Prathap Ramachandra e Grace Savage ed il canto di Alies Skuiter. Infine Bye. Qui interviene il genio di Mats Ek a chiudere il cerchio coreografico del miglior congedo possibile per la divina Sylvie Guillem. Il coreografo svedese sceglie la via più intima, quella delle comuni fragilità e paure tipiche dell’esistenza. La Guillem scappa, si rifugia e ritorna ancora da una porta magica che consente a Mats ek di insinuarsi nelle pieghe intime della donna con amabile discrezione. Stessa poesia del finale nel quale fa allontanare la Guillem insieme ad altra gente, reinserendola nel grande flusso della vita. Umanizzando, una volta tanto, un personaggio che ha saputo arricchire oltremodo il repertorio di emozioni coreutiche e coreografiche del nostro tempo.