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I paradossi in video di Wood and Harrison allo Studio Trisorio

Il duo di artisti britannici Harrison e Wood presenta allo Studio Trisorio di Napoli, fino al 31 maggio, “Work of Fiction”, una mostra dove la videoarte si fa comica ed esistenziale.
A cura di Gabriella Valente
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Nel corso di vent’anni di carriera, Paul Harrison (1966) e John Wood (1969) sono stati più volte paragonati alla celebre coppia di artisti britannici Gilbert & George, in versione eterosessuale – come ricorda divertito Wood – e sicuramente “less tailored”. In effetti, oltre alle origini britanniche, gli artisti hanno in comune con il duo più anziano l’approccio concettuale unito ad un certo humor inglese e ad una poco celata ironia. Con spirito comico, ma anche con rigore e cura formale, Wood e Harrison lavorano insieme dal 1993. La loro produzione comprende disegni, installazioni, sculture, ma si risolve principalmente in paradossali video trasmessi da monitor.

Per conoscere da vicino la divertente ricerca del duo inglese, basterà una passeggiata sulla Riviera di Chiaia a Napoli dove, fino al 31 maggio, lo Studio Trisorio, da sempre attento alla promozione della videoarte, presenta Work of Fiction, la nuova mostra di Harrison e Wood, durante l’inaugurazione della quale un disponibile e sorridente John Wood ci ha concesso una video-intervista.

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Oltre ad un’ampia serie di disegni, i due artisti britannici hanno portato nella città partenopea interessantissimi video esemplificativi della loro arte vagamente farsesca: in 100 Falls un uomo sale su una scala, cade, si rialza, si arrampica di nuovo e così via, mostrando 100 possibili cadute diverse. Decisamente comica la vicenda di Unrealistic Mountainereers, perché i due scalatori che raggiungono affaticati la cima della montagna avvolta dalla nebbia, si guardano intorno impacciati ed iniziano a fotografarsi l’un l’altro. Vite d’ufficio vivacizzate da azioni improbabili che finiscono per degenerare sono quelle messe in scena nel video 10×10 dove la telecamera sembra muoversi come un ascensore esterno che, scendendo piano per piano, spia ciò che accade nelle diverse stanze e scopre che c’è chi corre sul tapis roulant, chi gonfia palloncini, chi fa aeroplani di carta, chi legge disteso sul pavimento, chi va in bicicletta… Privo di presenza umana è Diyvbied, la ricostruzione di un tranquillo parcheggio animato da improvvise esplosioni di automobili. Nell’installazione Apologize to Mr. Reich un televisore posto sul pavimento trasmette la ripresa di un amplificatore davanti al quale oscilla, pendendo dall’alto, un microfono; il sonoro del video consiste negli effetti stridenti di feedback generati dall’interazione tra gli apparecchi, e si ascolta con le apposite cuffie che pendono dall’alto.

Stiamo mettendo su un’enciclopedia di rappresentazioni del mondo intero, per raccontare come si muove l’uomo nello spazio che lo circonda. I nostri video hanno a che fare con tutto ciò che riguarda il tempo, come noi lo utilizziamo, come ci influenza e detta il nostro ritmo. […] Giochiamo sul duplice binario dell’attesa e dell’accadere: o non sai cosa può succedere oppure lo sai ma ignori il quando”   (John Wood)

Giocando sul senso di attesa e sulle aspettative – puntualmente disilluse – dello spettatore, i video di Wood e Harrison sono sempre surreali, talvolta grotteschi, buffi, comici e spiazzanti. Sempre protagonisti delle proprie riprese, gli artisti mettono in scena azioni possibili ma paradossali e apparentemente vane, sottoponendosi spesso a sforzi fisici, veri e propri esercizi del corpo, per sperimentare la relazione tra l’uomo e lo spazio che lo circonda, come quando ‘giocano’ con un pannello di legno, cioè una sorta di parete, per mostrarne le diverse ‘possibilità d’uso’: allora la tengono in verticale, si lasciano schiacciare, la fanno oscillare, la scavalcano, vi si stendono sopra, la incurvano col peso del proprio corpo… “Pensiamo molto ad animare lo spazio”, sostengono gli artisti, che predispongono una scenografia essenziale ed elegante come ambientazione delle loro esilaranti performance, dove non c’è spazio neanche per la musica ma gli unici suoni che si sentono sono i rumori reali legati al fare del performer.

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Allo stesso tempo, il duo parla delle proprie azioni come di un modo per intrattenersi: “è quello che pensiamo sia piacevole, che vorremmo fare per trascorrere la giornata”. Eppure, nell’inscenare le diverse azioni, finanche le più buffe, gli artisti assumono un atteggiamento serissimo, impassibile e freddo, quasi stessero compiendo un esperimento scientifico, il che rende la visione ancora più surreale e divertente. Sempre come in un esperimento, gran parte della performance è affidata al calcolo, nondimeno un importante ruolo è giocato anche dalla casualità e dalla possibilità di fallimento: nei video l’improvvisazione è esclusa, ma “una delle nostre regole quando giriamo è che qualsiasi cosa succeda, bisogna continuare, perché potrebbe rivelarsi buona”. In questa stessa condotta rientra la scelta di evitare un lavoro di post-produzione: i video di Wood e Harrison sono low-tech, non si servono di alta tecnologia o di effetti particolari e mantengono anche errori che possono rivelarsi utili.

Nonostante la semplicità delle opere, non mancano riferimenti culturali, e più specificamente artistici, come Beckett, Naumann, Burden, Baldessari – per citarne solo alcuni – in una fusione sorprendente tra una presunta narratività dei media come il video e la performance e l’essenzialità quasi astratta di un’estetica e di un atteggiamento minimalisti e concettuali.

La formazione di Paul e John su pittura e disegno si è rivelata, sin dagli inizi della loro carriera, fondamentale punto di partenza per la progettazione dei video. Iniziando con molti disegni preparatori – che i due artisti realizzano individualmente e poi si scambiano, per selezionare, sempre in massimo accordo, quelli su cui lavorare – si passa poi alla creazione della scenografia e infine alla ripresa vera e propria. Ma molti disegni nascono già come opere a se stanti, frutto della creatività non-sense del duo: “alcuni disegni che abbiamo sono semplicemente spassosi. Abbiamo un’inclinazione a disegnare cose che non funzioneranno mai”.

In un misto di superficialità e profondità, di calcolo e casualità, di realtà e surrealtà, i lavori di Wood e Harrison indagano l’uomo e le sue possibilità con sostanziale ottimismo e con un appassionante, per quanto talvolta grottesco, sense of humor.

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