“I miei piccoli dispiaceri”: Miriam Toews e la potenza di un legame fra due sorelle
“To her I pour'd forth all my puny sorrows;/ (As a sick patient in a nurse's arms,)/ And of the heart those hidden maladies / That e'en from friendship's eye will shrink ashamed.”
Questi sono i versi famosissimi di To a Friend di S. T. Coleridge da cui trae il titolo l'ultimo libro di Miriam Toews, I miei piccoli dispiaceri, edito in Italia da Marcos y Marcos. Secondo un felice procedimento retorico per cui una citazione diviene più densa e ricca quando richiama ciò che è al di fuori del suo testo, forse i versi più importanti per capire il titolo sono quelli che ne completano il periodo, che potremmo tradurre così: “in lei ho profuso tutti i miei piccoli dispiaceri /(come un paziente che soffre fra le braccia di un’infermiera)/ e tutte quelle malattie nascoste del cuore/ che si sottrarrebbero persino agli occhi dell’amicizia, per timidezza”.
Infatti questo romanzo, che sembra essere paradigmatico della poetica complessa di Miriam Toews parla della vicinanza- o meglio- dell’intimità di due sorelle, come tutte le sorelle diversissime fra di loro; un’intimità dunque inattesa e inaspettata eppure ritrovata a causa di uno dei diritti più moralmente complessi e compromessi: il diritto di morire.
E mentre il diritto a morire torna alla ribalta delle cronache, va rimarcato che I miei piccoli dispiaceri, storia di una donna che aiuta la sorella a morire, è in realtà soprattutto un'indagine sulla intimità e sul senso di familiarità ritrovato dalle due sorelle di cui narra.
Miriam Toews è un’autrice di grande respiro sia per pensiero che per capacità letteraria, in grado, secondo i suoi critici più entusiasti, di fondere lirismo, sarcasmo, ironia e addirittura grottesco in storie, come questa, dotate di sincera e potente vibrazione drammatica.
Il tema del suicidio le è caro perché ha attraversato tragicamente la sua famiglia, a partire da quando suo padre, membro di spicco di una piccola comunità canadese anabattista, si tolse la vita dopo la fuga della stessa Toews da Steinbach, questo il nome della cittadina. tale esperienza terribile è descritta in altro successo, dal titolo Swing: low, che intreccia molti nodi profondi della sua poetica, non solo la morte e la volontà di porre fine alla vita, ma anche il fanatismo religioso e poi le relazioni familiari, che sono al centro praticamente di tutti i suoi lavori.
E almeno in un paio di questi libri di fiction, in oltre, si soffermano sul carico simbolico e retorico che porta con sé il conflitto padre-figlia, Mi chiamo Irma Voth e Un complicato atto d’amore, in cui l’autrice sviscera la dinamica emotivamente complessa che porta a ribellarsi alle credenze del proprio genitori, acquisendo catarticamente un nuovo sguardo sulla propria persona e sullo spessore, sulla consistenza dei valori, religiosi o laici, proposti dal mondo in cui veniamo alla luce.
La Toews è quindi un’autrice capace di scrivere libri che avvicinano le persone, che schiudono il loro mondo emotivo al di sotto dei rapporti sociali e dei rapporti di forza siano essi culturali o familiari, un disincanto e una voglia di indipendenza culturale e emotiva si affiancano alla capacità di descrivere le relazioni con uno slancio emotivo mai patetico perché complesso.
L’abbiamo intervistata in occasione del festival organizzato da Antonio Monda Le Conversazioni, il cui tema titolava, quest’anno, Revolution. Miriam Toews è un’autrice che declina tale tema, la rivoluzione, nel modo più pregnante, essendo i suoi romanzi tutti incentrati sul mutamento, ovvero sulla rottura di equilibri psicologici e relazionali. E sulla necessità di tale rottura per comprendere in modo più profondo l’universo immobile che i suoi eroi e le sue eroine sono in grado di mettere in discussione, anche attraverso lo sguardo partecipe, la forza emotiva e la penna della loro creatrice.