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I Fast Animals and Slow Kids con l’orchestra: “Sperimentare serve a rimanere sempre freschi”

I FASK hanno pubblicato l’album live registrato al Ravenna Festival quando hanno suonato con un’orchestra di 30 elementi, riarrangiando alcune delle loro canzoni più amate. Qui l’intervista con Fanpage.
A cura di Francesco Raiola
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Fast Animals And Slow Kids (ph Francesco Rampi)
Fast Animals And Slow Kids (ph Francesco Rampi)

Prima c'è stato un tour con un'orchestra da camera di sei elementi e poi un concerto con un'orchestra di 30 musicisti e così i Fast Animals and Slow Kids hanno provato a rivestire le loro canzoni di nuovi abiti, scoprendo anche qualche soluzione che potrebbe diventare definitiva in futuro. Lo scorso 15 dicembre, la band comporta da Aimone Romizi, Alessio Mingoli, Jacopo Gigliotti e Alessandro Guercini ha pubblicato "FAST ANIMALS AND SLOW KIDS – Dal vivo con orchestra” l’album live, registrato al ravenna Festival la scorsa estate, che li ha visti esibire con trenta elementi dell’Orchestra Arcangelo Corelli diretta dal Maestro Carmelo Emanuele Patti. Un'esperimento che li ha messi alla prova ma gli ha anche datop la consapevolezza dei risultati raggiunti e di una sicurezza che deriva da 15 anni di carriera che li ha visti cominciare nei piccoli locali per arrivare al pubblico nazionale. Abbiamo parlato con la band per farci raccontare

Avevamo già parlato di quello che sarebbe stata questa dimensione live con l'orchestra, la differenza è che adesso avete suonato e avete anche registrato un album. Com'è stato passare dal parlarne al suonare?

Crediamo che sia andata secondo le aspettative, complesso come dicevamo, difficile come ci immaginavamo, però bellissimo. Mentre la prima parte è entrata in quello che è un po' un rodaggio da tour, quando inizi a definire le cose, poi il resto è empatia e come suoni, la parte con l'orchestra è stata tutta complessa così come il concerto, nel senso che c'erano 30 elementi, quindi la variabile di errore era enorme per chiunque. In più, l'abbiamo fatta sulla scia di un tour che era sì con un'orchestra, ma era da camera, quindi le differenze erano piuttosto grandi, si passava da sette a trenta elementi, gli arrangiamenti erano molto più espansi, perché tutte le linee erano state amplificate. Con l'orchestra da camera avevamo un rapporto diretto, erano poche persone, alcune erano anche amici, mentre con l'orchestra avevamo bisogno di un raccordo e questo raccordo è stato il direttore Carmelo Patti, che è stato fondamentale in tutto il lavoro, dalla progettazione alla realizzazione.

Quanto avete provato assieme prima di salire sul palco?

In realtà molto poco, abbiamo provato praticamente tre giorni, compreso il soundcheck. Però l'approccio è molto diverso: noi siamo siamo un po' classic rock band, proviamo in saletta per un mese, tutti i giorni, 16 ore, quindi la nostra parte l'abbiamo provata tantissimo e abbiamo scoperto che questa cosa accade anche a loro, seppur in forma diversa, nel senso che loro provano a casa da soli con uno spartito che viene condiviso dal direttore d'orchestra, poi però le prove insieme si fanno non tanto per imparare le parti, perché le parti tutti devono saperle, non c'è dubbio a riguardo, quanto per aggiustare delle dinamiche sui momenti del concerto.

In che senso?

Noi usavamo un linguaggio da rock band mentre loro, per esempio, chiedevano le battute per entrare. È stato molto interessante perché ti rendi conto che sono due visioni differenti, una più inquadrata, che è quella all'interno del discorso orchestrale, mentre la nostra è un pochino più elastica, però c'è sempre grande rispetto, nel senso che è una cosa orizzontale, la musica a un certo punto si incontra, si incontrano i mondi e si trova una sintesi. Il tema è quello del linguaggio, che è una cosa che non succede spesso: normalmente il tuo linguaggio è quello che utilizzi per tutta la tua vita artistica, invece in questo caso devi provare per forza un'altra lingua, sei in un'altra nazione.

Cosa resterà in futuro di questa esperienza?

Un certo tipo di sicurezza in noi stessi, nel senso che un'esperienza di questo tipo è forte anche per dei musicisti che come noi sono in giro da 15 anni. Eppure un'esperienza di questo tipo ti forma molto perché ti dà altri strati, alimenta quella magia, quella paura, quel bordo del burrone che è fondamentale per ogni artista, per riuscire a rimanere sempre fresco, per provare nuove emozioni, quindi sicuramente ha quella componente, ma dall'altra parte è anche molto rischiosa, molto "challenging".

Col senno di poi siete contenti di come l'avete affrontata questa cosa?

Assolutamente, ci siamo buttati di testa, l'abbiamo affrontata in maniera molto cosciente, molto professionale, abbiamo suonato moltissimo perché si parte da uno scheletro formato semplicemente da noi quattro con degli strumenti acustici, poi su quello scheletro ci monti un arrangiamento, lo senti e se non funziona torni indietro, quindi riarrangi la tua parte, e lo fai fino a quando a un certo punto, dopo una serie di mesi, arrivi a provare per due giorni tutto questa roba che è nella tua testa. È un processo complesso che ti dà una grande sicurezza. Insomma, ci possiamo permettere, dopo tutto questo tempo, di fare delle cose anche abbastanza complesse senza averne poi troppa paura, perché comunque il risultato è stato bello.

C'è qualche canzone che riascoltandola riarrangiata vi è piaciuta di più? Che avete pensato che per come siete cambiati nel tempo suona meglio riletta rispetto all'originale?

Questa è una presa di coscienza interessantissima, questa cosa l'abbiamo iniziata già con il primo tour in acustico, quando abbiamo iniziato a sperimentare e ad ascoltare le nostre canzoni con altri vesti rendendoci conto che dietro ai muri di amplificatori che erano anche degli scudi, si celavano sempre, sin dagli inizi, delle canzoni, con una melodia, una linea vocale chiara, un ritornello che entra e quando ci siamo messi a riarrangiare e a scarnificare tutti gli arrangiamenti – perché noi siamo una band che aggiunge strati su strati – ci siamo resi conto che le canzoni c'erano e alcune hanno assunto anche una dimensione intima più forte.

Fatemi un esempio…

Pensiamo ad Animali notturni che in questa forma più morbida, piano e voce, con gli arrangiamenti che entrano lentamente, con un aumento dell'intensità e dell'intenzione lungo il pezzo, adesso dà di più, riesci quasi a sentirla più tua, le parole passano di più e quindi sì, assolutamente, c'è stato questo percorso qua. Poi suoniamo in questa versione anche Troia: nell'ultimo tour elettrico che abbiamo fatto, questi due pezzi li abbiamo comunque suonati in questa versione qui, perché ultimamente ci piace di più.

La domanda è tendenziosa, perché l'arrangiamento con i fiati di Il vincente è molto bello, gli dà aria e dà una nota à la Calexico al pezzo…

Quel pezzo specifico è anche una canzone che descrive abbastanza bene questo disco con l'orchestra, perché è un pezzo che nell'originale, a certo punto, ha una parte noise e per come è arrangiata dà l'idea del lavoro fatto con l'orchestra, un lavoro che secondo me ci è venuto bene perché rappresenta davvero tante linee diverse dei Fask, le tante anime che conteniamo e lo fa senza mai allontanarsi da quella che è un'idea musicale che c'è sempre, anche quell'arrangiamento, quindi, è rappresentativo della variabilità di questo concerto, di un concerto molto pensato, molto studiato. Abbiamo avuto anche la fortuna di poterci permettere del tempo per poterlo fare, non a tutte le band è permesso di passare un anno a progettare un concerto e un disco.

Questa lunga prova poteva essere preludio a un'altra esperienza orchestrale come quella sanremese che però, anche quest'anno, non s'è realizzata. Come mai?

Tutti ci hanno pensato, in realtà ti devo dire che secondo noi il tema è: qual è la cosa più figa che puoi fare, musicalmente parlando? Avere 30 professionisti della musica che riarrangiano le canzoni che tu hai scritto nella tua cameretta, da solo, di notte. Cioè l'orchestra in sé per sé è un gesto di vera autocelebrazione; non è così nel nostro caso, ovviamente, nel senso che ne capiamo e ne abbiamo cercato proprio l'aspetto più puro e più musicale in assoluto, però è un momento molto importante per te, così come magari potrebbe essere Sanremo, quindi le due cose vanno di pari passo. Secondo me i momenti importanti sono anche quelli di condivisione, condividere la musica con più persone possibile è un po' lo scopo del musicista e questa espansione della tua musica da piccola piccola fino a 36 elementi è sicuramente un percorso di continua crescita che è quello che ci auguriamo sempre. Dopo 15 anni di musica, quello che ti auguri è di provare emozioni, di essere forte e saldo su quelle emozioni, quindi sostenerle, ed è un po' questo il senso che aleggia in tutto questo, così come in un eventuale Sanremo, quando sarà.

Un Sanremo che quest'anno non è stato tentato?

No, no, è stato tentato tutto, ma come tutti, abbiamo mandato un pezzo e basta. Perché comunque quello è un palco che prima o poi ci devi mettere in carriera.

E invece che succederà nel 2024? Qual è il prossimo cambiamento dei FASK?

Siamo in una fase di divertiamoci un botto perché il 2024 segna un anno abbastanza interessante per noi a livello temporale, ci saranno delle ricorrenze.

Sono i 10 anni di Alaska, no?

Esattamente, quindi stiamo inventando un paio di cose matterelle. Abbiamo un pochino di roba nella testa che hanno a che fare appunto con questi dieci anni, e poi, dall'altro lato, c'è sempre musica nuova, nel senso che noi, da questo punto di vista, siamo anche un po' matti.

Tipo?

C'è una regola non scritta interna alla band che dice che entro un mese dall'uscita di un disco dobbiamo aver scritto una canzone nuova. E questa cosa qui ci porta ad avere un quantitativo di pezzi nuovi fuori controllo, sempre, alcuni dei quali fanno schifo, altri invece magari ci piacciono e superano la prova del tempo. E quindi in questo percorso continuo di scrittura noi siamo sempre lì a spingere, quindi sicuramente ci immaginiamo di fare una nuova uscita, se non nel 2024, magari nel 2025-2026, prendendoci il tempo che serve: però abbiamo già tante canzoni, tante idee. Poi un'altra cosa particolare è che devi sempre riuscire a capire qual è il senso di quello che stai scrivendo, perché magari ti capita di scrivere delle cose mentre le vivi – nel nostro caso partiamo sempre da un'esperienza di vita -, però mentre la vivi, quella cosa, non è che te ne sta rendendo conto, quindi c'è bisogno di tempo per capire se e come le canzoni che hai scritto in quel periodo avevano quel senso, quindi quel senso lì, con il senso attuale, come si mischiano? Insomma, è un percorso continuo.

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