Günter Wallraff o il coraggio di un reporter dal “migliore dei mondi”
Cinque reportage, cinque indagini condotte da un uomo giunto all’età di settantun’anni: Günter Wallraff, iniziato alla scrittura da Heinrich Böll, uno dei dei più grandi giornalisti di inchiesta tedeschi di tutti i tempi.
Così Wallraff commenta l’esito di questi viaggi nel migliore dei mondi:
“quando decisi di mettermi nei panni dei perdenti del migliore dei mondi, non immaginavo a cosa andavo incontro: mi sembrava impossibile che si potesse diventare truffatori lavorando in un call center, che i senzatetto venissero davvero abbandonati a se stessi a quindici gradi sottozero. Non ero consapevole delle reali dimensioni del razzismo prima di provarlo sulla mia pelle. Intanto un mondo parallelo, profondamente asociale, sfacciato e arrogante, si atteggia a vincitore, mentre milioni di individui declassati pensano di doversi vergognare di una povertà di cui non hanno colpa”.
Egli è un Nestbeschmutzer. Cioè uno “sporca-nido”: è così che nei paesi di lingua tedesca sono stati definiti autori come Thomas Bernhard o Heinrich Heine, voci che hanno violentemente attaccato il modo di vita del loro paese di origine. Nomi accomunati da uno spirito critico corrosivo, che ha colpito e alterato l’immagine che un paese aveva di se stesso. Günter Wallraff ha passato la sua carriera giornalistica a fare ciò che sa fare meglio: indagare l’anima dei suoi connazionali andando a svelare i tabù di una società al di sotto di un ethos, come quello tedesco, nel quale ha un posto d’onore un’immagine di una nazione coesa attorno al suo mondo e alla sua invincibile economia.
Ma le contraddizioni che emergono dal libro di Günter Wallraff, “Notizie dal migliore dei mondi” (Edizioni dell’Orma, 2012) sono, in verità, di portata ben più ampia. Contraddizioni che albergano e possono esser scrutate solo in un luogo misterioso: il luogo del rimosso sociale, il luogo dove si trovano tutte le verità che riguardano le persone che condividono la nostra vita e che per abitudine, per inerzia, per la limitatezza del nostro orizzonte esistenziale e quotidiano, deliberatamente ignoriamo.
Leggere l’ultimo libro di Günter Wallraff significa aprire gli occhi su argomenti semplicemente ignorati, ad esempio, nell’ultima campagna elettorale italiana, la quale ha contribuito non poco a dare un’immagine semplicistica della nostra vita politica. Uno dei motivi per cui la politica di sinistra è in crisi in Europa e in Occidente è che non ci sono abbastanza giornalisti come Günter Wallraff, in grado di raccontare e di rinarrare alcune ineludibili motivazioni di fondo della politica sociale.
Leggere questo libro, insomma, significa andare alla ricerca di un nuovo senso di realtà, che da un lato possa includere nello spettro dell’esistenza un mondo di persone ignorate o stereotipate dal senso comune (gli immigrati, i lavoratori precari, gli operai ed altri) e dall’altro possa rivelarci quanto inumana la nostra esistenza quotidiana, perfettamente plasmata per funzionare nello status quo, possa essere nel trattare con persone di condizione diversa, che più che integrare vorremmo assimilare. Assimilare ad un’immagine più o meno ostile o rassicurante, senza coglierne la complessità, così da poter far funzionare la nostra vita quotidiana nel modo più semplice possibile.
Cinque “Reportage”, si diceva. Tre dei quali effettuati tutti “sotto copertura”, un metodo che ha reso celebre Wallraff, fin dai tempi di inchieste storiche come quella che testimonia la sua incarcerazione nella Grecia della dittatura militare nel ’74. Wallraff si traveste, o semplicemente si infiltra, in contesti apparentemente normali, osservando poi con sguardo critico le dinamiche di emariginazione sociale, di semplificazione culturale e simbolica di cui la società è vittima. Cresciuto nel famoso Gruppo ’61, un collettivo di scrittori provenienti dal mondo operaio attivo in Germania dagli anni sessanta, Wallraff, con questo metodo, è fra i più lucidi analisti del suo paese ed uno specchio limpido per la coscienza sociale europea.
Il primo reportage di “Notizie dal migliore dei mondi”, “Nero su bianco” , racconta l’esperienza di Wallraff cammuffato da cittadino tedesco di colore che intraprende fiducioso le più comuni attività, dal cercare di fittare un appartamento, in diverse città della Germania, al fare una gita turistica in barca o addirittura chiedere il porto d’armi, corteggiare una ragazza bianca in una birreria e iscriversi ad un club privato. Purtroppo Wallraff è costretto a constatare che la situazione che aveva già dipinto, con “Faccia da turco”, nel 1983, in cui ha adoperato lo stesso travestimento, non è minimamente cambiata. Il razzismo che Wallraff porta alla luce è qualcosa che disturba ed urta in primo luogo il lettore, un razzismo che sembra attraversare trasversalmente tutto il territorio tedesco e tutta la società. Il nero di Wallraff è una figura che intimidisce senza ragione il suo interlocutore, se non per pregiudizi superficiali che la consumata esperienza dell’autore è in grado di portare alla luce. Un razzismo che è ancor più scomodo rivelare, ovviamente, nella Germania moderna postbellica, in cui pesa un senso di colpa fortissimo e dalla retorica possente.
In “Sotto zero”, Wallraff sfida il peso dell’età e entra nei panni di un barbone per le strade delle principali metropoli tedesche, passando molte notti al freddo. In questo modo Wallraff indaga la provenienza sociale di individui in tale condizione, svelando il pregiudizio per cui il barbonaggio sarebbe per lo più una ‘scelta’. In realtà fra le persone ridotte a questa condizione ci sono moltissimi cittadini ‘normali’, ex lavoratori lentamente decaduti ad uno stato che il benessere in cui vivano non li portava minimamente ad immaginare. Wallraff inoltre cerca di entrare nella rete statale per comprendere quale tipo di accoglienza può avere una persona in tale stato, scoprendo, in sostanza, che si tratta di una rete burocratica, la quale, lungi dal fare da ammortizzatore sociale, non fa che allontanare i soggetti dal lavoro e dalla vita quotidiana. Da chi diventa alcolista, per ottenere sussidi, a chi, escluso dal sistema, troppo élitario, dei dormitori tedeschi, si intrufola nei treni notturni della metropolitana, correndo avanti e indietro in treno per le linee sperando di riscaldarsi, col rischio di finire in galera.
Wallraff sposta poi il suo sguardo nel mondo dei call center con “Truffe telefoniche”, dipingendo il sistema aziendale di frodi programmatiche messe in atto ai danni di migliaia di cittadini tedeschi al giorno: si tratta di un meccanismo perverso alimentato dallo stato attraverso gli uffici di collocamento i quali, in connivenza con le industrie, penalizzano coloro che rifiutano questo genere di lavori sottopagati. Viene poi descritto il sistema di pubblicità “out-bound”, comune anche in italia, in cui, per Wallraff, si alimenta un vero commercio internazionale di potenziali consumatori da contattare e convincere a beneficio delle aziende o, nel caso della Germania, anche dello stato, tramite la vendita dei biglietti della lotteria. Oltre ad un quadro generale del sistema, Wallraff indaga anche il fenomeno in piccolo, descrivendo lo stato di coercizione cui sono sottoposte le persone che lavorano nei call center, portate a competere fra di loro, costrette ad alienarsi dalla loro personalità per poter essere strumenti di sfruttamento di questo sistema di truffe.
Di interesse anche i reportage dove Wallraff non si camuffa: in “Ristoranti a tre stelle” Wallraff indaga lo sfruttamento della forza lavoro nel sistema della ristorazione. In “Il demente intelligente” Wallraff prosegue un’inchiesta che lo ha visto impegnato già in passato, sulle violenze e i metodi coercitivi della psichiatria in Germania. Anche questi un prezioso lavoro documentario per la coscienza sociale dell’odierna Europa.