Gli antichi romani e la scuola: niente voti né pagelle, e un odio profondo per la matematica
Nonostante il suo nome sia di chiara derivazione latina (come diminutivo di “pagina”), nell'antica Roma la pagella non esisteva: né i voti, o i compiti in classe. Nonostante questo l’educazione scolastica era molto rigida, affidata ai genitori prima, ai maestri poi: leggere, scrivere, parlare e far di conto erano le prerogative di ogni bambino, anche di quelli meno ricchi. La scuola non era “pubblica”, ma aperta a tutti, e se c’era una materia che ai romani proprio non piaceva era la matematica: ecco com'era la scuola nella Roma antica.
La scuola romana: libera, ma solo per i ricchi
In epoca repubblicana non esistevano vere e proprie scuole né maestri: l’educazione dei più piccoli spettava al padre, che istruiva i propri figli a leggere, scrivere e, ovviamente, a combattere. Successivamente toccò alle madri, quelle più istruite e di buona famiglia, provvedere alla scolarizzazione della prole almeno fino ai sei anni. Gradualmente gli schiavi etruschi e greci divennero una risorsa fondamentale per avviare i piccoli agli studi di retorica e grammatica, e non solo: le famiglie più povere potevano comunque sperare di mandare i figli a scuola, grazie proprio agli schiavi che, per poco denaro, trasformavano le loro tabernae in vere e proprie aule scolastiche.
La scuola non era, a Roma, un affare di stato: l’Impero non si preoccupava di garantire ai cittadini l’istruzione, ma nonostante questo la maggioranza delle scuole di Roma e delle province erano libere e accessibili a tutti. O almeno, a coloro che potevano pagare i miseri stipendi dei maestri. In questo modo quasi tutti potevano accedere almeno al primo livello di istruzione, i ludus litterarius e, i più fortunati, proseguivano con gli studi di grammatica e retorica. Le “classi” a questo punto erano composte per lo più da maschi: le donne, all’età di tredici anni, erano già sposate.
Matematica e geometria: il punto debole dei romani
Nonostante la severità dei maestri, gli antichi romani non eccellevano proprio in tutte le materie: la matematica e la geometria erano fortemente sottovalutate e poco conosciute. Per i bambini imparare a “far di conto” voleva dire infatti saper contare con le mani e trascrivere i numeri. Una capacità nemmeno difficilissima da acquisire: alcuni storici hanno fatto notare come la rappresentazione simbolica dei numeri romani richiami, molto semplicemente, quella del movimento delle mani nell’atto di fare i conti. Per non parlare della geometria: saper disegnare delle figure era sufficiente affinché la preparazione fosse considerata adeguata. Tutto questo, solo fino all’arrivo dei maestri greci.