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Giuseppe Conte non è il ‘premier’ della Repubblica Italiana

Lo troviamo pronunciato anche nei più importanti telegiornali nazionali, scritto anche negli articoli delle più grandi testate giornalistiche italiane: “il premier qui” “il premier lì” in riferimento al Presidente del Consiglio dei Ministri. Si tratta di un anglismo improprio, il cui uso è ormai vecchiotto, ma che continua ad essere del tutto improprio per motivi piuttosto semplici che chi scrive e parla (e ascolta e legge) dovrebbe tenere presenti.
A cura di Giorgio Moretti
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"Premier" è un anglismo: il "Premier minister" sarebbe propriamente il primo ministro inglese. Anche se a ben vedere questo anglismo è un francesismo, dacché in francese "premier" significa "primo", termine scaturito dal "primarius" latino. Ma questo non ci stupisce, circa il 60% del lessico dell'inglese è di derivazione latina, diretta o mediata dalle lingue romanze, francese in testa. Comunque, tale è stato nei secoli passati il prestigio della democrazia inglese (vero modello delle democrazie occidentali) che questo titolo, già nella seconda metà dell'Ottocento (qui una bella panoramica di Vittorio Coletti), è stato attribuito anche all'omologo ministro del governo italiano. Omologo che però non è mai stato davvero omologo: ciascuna forma di governo attribuisce a questa figura (se di una sola figura si può parlare) ruoli e geometrie diversi.

Oltre alla descrizione che ne fa l'art. 95 della Costituzione (il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del governo e ne è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri) la legge 400 del 1988, una legge fondamentale dell'ordinamento pubblico italiano (anche se ha comunque rango ordinario) contiene la Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Si tratta di una legge molto interessante e non particolarmente difficile da comprendere, almeno per un interesse non specialistico, e proietta una luce insolita sul governo, almeno rispetto a come attraverso i media e il comportamento dei ministri siamo abituati a immaginare il governo. Dicendolo in soldoni: niente feudalesimi per cui ogni ministro è capo indiscusso in casa sua, il Consiglio dei Ministri è un organo collegiale al cui interno si dovrebbe determinare l'indirizzo politico, che dovrebbe muoversi e parlare come un sol uomo, e la sua voce dovrebbe essere quella del Presidente, che a monte del Consiglio fissa ordini del giorno, dirige le discussioni, propone, e poi a valle ne controlla e coordina la realizzazione. Egli sintetizza l'azione del Consiglio dei Ministri, ritirandone le fila, compattando la coerenza della sua azione. Dovrebbe.

Chiamarlo con un nome che non è "Presidente del Consiglio (dei Ministri)" è radicalmente sbagliato. Si tratta di una figura istituita per legge e a cui la legge dà un certo nome, chiamarla col nome di un (quasi) omologo straniero ha poco senso: "premier" piace perché è breve, forse dà anche un che di virile, pare abbia più polso (anche "Primo ministro" pare più muscoloso), e poi è un anglicismo che è un francesismo, il massimo della moda, credo. Ma vale quanto chiamare ‘Beefeater' i corazzieri, quanto chiamare ‘Eliseo' il Quirinale. Non fa elegante, fa strano. C'è chi dirà "Ah, vedi? Con questa lingua corrotta noi ci mostriamo servi degli stranieri, dovremmo recuperare un po' di sano patriottismo!". Non è un problema di servaggio culturale, va di moda da tempi non sospetti: semplicemente, chiamare ‘premier' il Presidente del Consiglio è sbagliato come chiamare ‘gomito' il ginocchio. Cioè, più o meno ci siamo, non è un termine di un'altra sfera della realtà e più o meno fa le stesse cose, ma be', si può fare uno sforzetto, no?

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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