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Giulia Blasi: “I nostri corpi ci appartengono, a differenza di quello che pensa la società”

“Brutta” è l’ultimo libro di Giulia Blasi, attivista e scrittrice, in cui si analizza come le donne, a differenza degli uomini, siano sempre giudicate in base all’estetica.
A cura di Francesco Raiola
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Dopo "Manuale per ragazze rivoluzionarie" e "Rivoluzione Z. Diventare adulti migliori con il femminismo" Giulia Blasi, scrittrice e attivista, ha pubblicato, sempre per Rizzoli, "Brutta. Storia di un corpo come tanti" a chiudere una trilogia sul femminismo indirizzato a chiunque voglia capirci di più su una questione che riguarda la quotidianità di tutti, uomini inclusi. Questa volta Blasi ha sentito l'esigenza, come racconta a Fanpage.it, di mettere il suo corpo davanti a tutto perché c'era bisogno di un corpo specifico e non poteva che essere il suo. Perché se sei donna l'estetica corporale viene prima di tutto: bella, brutta, alta, bassa, magra, conforme agli standard sociali, insomma, a differenza dell'uomo il corpo della donna e la bellezza comunemente intesa sono un fardello che caratterizza fin dall'infanzia e non smette mai di esserlo: "Il corpo e la bellezza vengono prima di noi, per questo siamo costrette tutta la vita a fare i conti con i nostri corpi".

È un libro in cui praticamente metti te stessa come oggetto d’analisi, universalizzandolo. Quando hai pensato che fosse indispensabile, ancora di più, metterci il tuo corpo?

Fermo restando che i libri sono una buona bugia, anche se tutto quello che ho messo nel libro non l'ho inventato, è vero, almeno per come lo ricordo, ho raccontato quello che volevo raccontare, ma ci sono cose che non ho raccontato. Non c'era un altro modo per parlare di questo argomento che non fosse passando per un corpo specifico e poteva essere solo il mio. Ci sono molti modi per parlare dei corpi delle donne, generalmente i libri che parlano di corpi delle donne sono molto tristi, sono opere in cui si piange, si soffre, io invece volevo provare a prenderla da un'altra angolatura, riconoscere la sofferenza ma inoculare nel libro una sorta di reazione: la mia forma di reazione immediata sono la rabbia e la risata, spesso una dentro l'altra.

È un libro che non si chiude con una pacificazione col corpo, ma con l'idea di una convivenza…

Sì, esiste una convivenza, ma soprattutto dobbiamo liberarci dall'idea che il nostro percorso debba per forza portare a una pacificazione con il corpo. Non credo che le donne debbano avere la priorità di fare pace con la propria estetica, anzi, credo che sia una forzatura a cui siamo costrette perché l'estetica viene prima di noi, perché il corpo e la bellezza vengono prima di noi, per questo siamo costrette tutta la vita a fare i conti con i nostri corpi, che siano belli, brutti, medi, sani o non sani. È quello che ci viene chiesto socialmente e ci viene chiesto anche in maniera insidiosa, talvolta.

Tipo?

Ti faccio un esempio: qualche settimana fa sono stata ospite a Quante storie su Rai3, cosa che mi ha esposta a un pubblico che solitamente non mi vede perché è più anziano, formato da tanti uomini, mentre io parlo molto con donne e di età più giovane. Dopo la trasmissione un signore mi ha scritto un messaggio che in teoria era per complimentarsi, ma che finiva con una vibrata protesta per il modo in cui avevo parlato di aborto, perché secondo lui dovrebbe essere illegale non chiedere il consenso di chi ci mette l'altra metà del patrimonio genetico. L'idea, quindi, che i nostri corpi debbano essere soggetti al permesso di altre persone. Questa idea che i nostri corpi non ci appartengano è molto salda, per questo non sono d'accordo che le donne debbano fare un percorso di pacificazione con se stesse; è una cosa che a livello individuale puoi fare, ma che non penso debba essere una priorità.

A un certo punto del libro provi a calarti in quella che definisci, appunto, una donna bella e anche lì le cose non funzionano come qualcuno immagina…

Il punto è sempre che il corpo viene prima di te, quindi il corpo bello viene guardato ma tu non sei vista come persona, sei disumanizzata o aggredita perché bella. Le persone ti riversano addosso il desiderio frustrato che provano nei tuoi confronti, insultandoti e attaccandoti sulla moralità percepita. Spesso le belle devono faticare tantissimo per provare di essere brave, è come se le due cose, nella testa delle persone, si escludessero a vicenda, per cui c'è sempre una grande sorpresa se una è bella e pure capace di fare le cose.

Com'è stato scrivere Brutta, immagino tu abbia dovuto affondare le mani in ricordi, persone, affetti…

È stato un po' faticoso, non mi sono resa conto di quanto: forse ero un po' insicura sulla forma, sul contenuto, ma non mi sono resa conto di quello che mi stesse facendo a livello emotivo finché non mi sono cominciate a venire crisi d'ansia. È stato emotivamente faticoso, ma alla fine ce l'ho fatta, l'ho consegnato.

Tu scrivi per tutti, ma l'impressione che ho è che il tuo sia un pubblico giovane, fai attenzione alla prima percezione che la donna abbia di sé. Che feedback hai avuto con questo libro?

Sto avendo risposte da un pubblico più adulto e formato da sempre più uomini: conta che in generale gli uomini non leggono le donne, quindi è una conquista essere letta dai maschi perché vuol dire che hai bucato una barriera di resistenza. Ci sono tantissimi uomini che leggono ma che ammettono candidamente di non leggere donne e non capisco come facciano a vivere senza ascoltare metà del mondo…

È anche un problema culturale, di come vengono trattati scrittori e scrittrici, mi pare, no?

È assolutamente culturale ed è il sottoprodotto di quello che ti viene venduto, perché il marketing fa delle scelte: la scrittura maschile finisce collocata in un certo modo, quella femminile in un altro modo e quell'altro modo della scrittura femminile spesso viene declassato per il solo fatto di essere scrittura femminile. Nella vulgata collettiva le donne valgono poco, quindi automaticamente la scrittura delle donne è una scrittura minore. È importante che negli ultimi anni gli editori abbiano fatto un grande lavoro per amplificare e valorizzare le voci e la scrittura delle donne che hanno cominciato anche a vincere un po' di premi.

Questa è anche una risposta a chi dice che non c'è bisogno di lottare per avere voce e visibilità?

Niente si genera dal vuoto, abbiamo fatto un lavoro enorme per arrivare a questa cosa qua, da decenni. La cosa che mi disturba, negli ultimi anni, è soltanto l'insistenza sulla questione femminile, come se solo le donne avessero un problema di sottorappresentazione, ma non è così.

Parli di intersezionalità?

Sì, le donne contengono moltitudini, non sono tutte uguali, quindi ci sono delle categorie femminili che sono oppresse da altre oppressioni che non sono semplicemente quelle del genere. Bisogna porsela questa domanda.

La maggiore rappresentanza e rappresentazione dell'intersezionalità è il prossimo passo? Ciò su cui bisogna puntare?

Sì, è quello su cui sto puntando io negli ultimi tempi, giustamente si parla di sottorappresentazione delle donne: il 51% della popolazione mondiale viene rappresentata dal 20/30%, quando viene rappresentata. È oggettivamente un problema, però non è l'unico problema: l'idea che abbiamo di Potere e la sua distribuzione sono il problema principale.

Da anni ormai sei una delle voci e uno dei volti di questa battaglia, come la vivi?

È una cosa che non ho scelto, ci sono caduta dentro perché ero lì da tanto tempo, però non è che voglia fare la madre nobile o essere un punto di riferimento a oltranza: dirò delle cose finché mi parrà che le cose che dico aiutino a tracciare dei sentieri nuovi, nel momento in cui non dirò più niente non vorrò più essere un punto di riferimento. Anche perché ormai esiste una classe di femministe giovani che ha molto da dire, lo sa dire benissimo e non hanno bisogno di qualcuna che le benedica, quindi va bene così. Sono contenta se si prendono più spazio quelle più giovani che hanno anche la mente più fresca su questi argomenti.

Mi spieghi il concetto di Capitale sessuale che analizzi nel libro?

Quando parlo di Capitale sessuale parlo di una cosa che abbiamo sperimentato tutte, cioè la gara tra donne per essere la più bella della classe. Questa cosa qua ha a che vedere con millenni di storia in cui la più bella era quella che aveva le maggiori possibilità di assicurarsi un marito ricco.

Nella provincia come si manifestava questa idea?

Lo racconto nel libro. Il momento in cui mi rendo conto di che spazio posso occupare all'interno della piccola società del mio paese è quando il ragazzino che mi piace mi ride in faccia: scopre che mi piace e mi ride in faccia perché non può capacitarsi del fatto che questa creatura che ha davanti, così priva di attrattiva femminile, così dodicenne, con gli occhiali, possa provare quel sentimento. La sua totale incapacità di essere gentile, la crudeltà delle altre ragazze che invece di lasciarmi stare prima gliel'hanno detto e poi si sono premurate di farmi sapere perché lui rideva.

Il tuo libro attraversa la tua vita, quindi varie età, e fa specie come in un certo senso alcune cose che viveva la te dodicenne siano ancora un problema oggi…

Sì e no, nel senso che da un lato per le ragazze forse certe cose sono peggiorate. Oggi sono costrette a confrontarsi costantemente con la loro immagine, postano i selfie, guardano i selfie delle altre e siamo bombardate costantemente di immagini dei corpi delle altre donne e quando sei piccola e stai cercando di trovare il tuo posto nel mondo vedere che non rispondi a certi canoni è molto invasivo. Dall'altro lato noi non avevamo il concetto di bodyshaming, non esisteva in quegli anni, se ti sfottevano perché eri brutta ci dovevi stare perché eri brutta, quindi andavi a occupare il posto che potevi occupare. L'idea che ci fosse una cosa come il bodyshaming non esisteva, al massimo potevi dire che erano stronzi, cattivi, maleducati. La mia magrezza estrema alla fine stava sullo stesso piano della grassezza di un'altra, erano comunque discriminazioni e aggressioni con una matrice diversa ma erano sullo stesso piano riguardo l'effetto su di noi. Il concetto di bodyshaming, il fatto che non sia più appropriato e normale parlare dei corpi delle persone in quel modo qualcosa sta cambiando, vedo le ragazze molto più libere e liberate rispetto ai loro corpi al modo in cui li mostrano, come si vestono, alla percezione che hanno di sé, che è sempre meno eterodiretta e sempre più dettata dai loro bisogni e dai loro desideri.

Penso anche all'immagine che dà una musicista come Victoria dei Maneskin.

La posizione di Victoria è interessante perché non ci sono stati molti casi di una ragazza in una band che fa esattamente le stesse cose che fanno gli altri membri della band, allo stesso modo, e quello è molto interessante perché mi sembra diverso rispetto a quello che abbiamo visto fino ad ora.

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