Lo scorso giugno, Giovanni Grandi ha pubblicato un tweet su un piccolo episodio che gli era sembrato interessante: "Ci ferma un vicino e ci mostra (felice) questo biglietto (dove c'era scritto ‘Buongiorno, mi scusi per la pianta l'ho colpita accidentalmente con un pallone da calcio. Ecco 5€ per il danno.'), che ha trovato accanto a una sua pianta acciaccata. Lo ha lasciato un amico di nostro figlio (11 anni), con firma e banconota. Il mio prossimo corso di Etica Pubblica in Università non potrà che partire da qui". In poche ore il tweet riceve quindicimila like e migliaia di commenti e retweet e l'autore – professore associato di Filosofia morale all'Università degli studi di Trieste – inizia a chiedersi perché un gesto così semplice e normale come un biglietto di scuse abbia avuto tanta risonanza e cosa dica dei nostri rapporti sociali e del nostro modo di essere in relazione con gli sconosciuti che condividono le stesse organizzazioni, lo stesso spazio pubblico, le stesse risorse sociali, gli stessi spazi di lavoro e di svago. Il risultato è questo libro, ‘Scusi per la pianta‘ (Utet) e le sue nove lezioni sull'etica pubblica lontane da ogni accademismo o retorica, che parlano di noi e di come allenare il nostro senso di responsabilità verso il bene di tutti.
Come si spiega il successo di un episodio tanto ordinario come un biglietto di scuse?
È quello che continuo a chiedermi. Credo esista un non-detto profondo nel modo in cui gestiamo le relazioni, dal vivo e online: desideriamo una socialità responsabile, ma un po’ siamo disincantati e un po' non sappiamo da dove cominciare. L'attenzione suscitata da un piccolo biglietto di scuse per una pianta rotta ci mette però concretamente davanti a tante problematiche, ci racconta di un interesse vivo per le questioni morali da parte di ciascuno di noi. Il che mi porta a un’altra domanda: abbiamo strumenti e spazi per discutere di tutto questo?
Esiste una domanda sociale latente di "etica pubblica"?
Non so quanto ampia sia, ma so che esiste e il libro cerca, nel suo piccolo, di intercettarla e di sostenerla. Anche se viviamo tutti immersi in una dimensione perpetua di disincanto, la possibilità di atteggiamenti diversi nelle relazioni tra concittadini è realizzabile. Non credo sia un sogno. Il confine da varcare è quello che separa il cinismo dal riattivarsi della speranza.
Come ci si riesce?
Discutendo di questioni alla portata, ponendo mete realizzabili, concrete. Una maggiore coscienza e attenzione morale nella dimensione pubblica è un obiettivo raggiungibile per tutti.
A questo punto sento di aver bisogno di un chiarimento: che cos'è l'etica pubblica?
È l'attenzione che tutti possiamo avere verso i nostri concittadini, anche verso quelli a cui non siamo legati da interessi di reciprocità. È attenzione verso gli sconosciuti. È cura del bene comune.
Nel paese del familismo amorale rischia di passare per un pericoloso rivoluzionario…
È vero, occorre superare la logica del “noi” come un gruppo raccolto attorno a interessi privati. Esiste un “noi” che è progetto di vita buona per tutti, come ricorda la nostra Costituzione del resto. Certo è che come ricorda Paul Ricoeur occorrono anche delle Istituzioni "giuste".
Mi preoccupa la possibilità che esistano delle istituzioni ingiuste: ce la spiega?
Un'Istituzione agisce secondo giustizia quando segue una logica di servizio al cittadino. E quindi anche un funzionario pubblico agisce bene quando opera nella stessa logica, non solo se fa l’interesse dell’Istituzione intesa come organizzazione, come azienda.
Sta proponendo, dopo il ministero alla transizione ecologica e a quella digitale, un ministero all'etica pubblica?
No… (ride). Però, se me lo consente, ho molto apprezzato che il presidente Draghi abbia toccato nel suo discorso diversi punti di consonanza con le nove lezioni contenute in ‘Scusi per la pianta'. Il riferimento del Presidente del Consiglio al futuro e al fatto che oggi bisogna farsi carico di costi da sostenere in funzione di benefici futuri contiene un alto spirito di etica pubblica.
Non è che l'etica pubblica rischia di essere troppo faticosa per noi italiani?
Lo è, ma lo è da sempre e non solo per noi. Motivo per cui va fatta un'operazione di trasparenza in tal senso. Il desiderio di rispettate gli altri ha dei costi. L'etica pubblica non è a buon mercato. La solidarietà comporta la revisione di stili di vita privati troppo spesso centrati sul consumo effimero: il bene comune chiede anche di rivedere le proprie pretese. Bisogna che tutti impariamo a contemplare e sostenere delle indubbie fatiche sapendo che frutteranno per gli altri.
Come può essere incentivato quest'approccio nei più giovani?
Vede, non credo ci sia un problema di orientamento nei valori. Tutti noi siamo molto sintonizzati nel riconoscere ciò che vale, anche moralmente. Il problema è che siamo abituati a declinare i valori solo come sorgenti di diritti e non anche come generativi di doveri. Per aiutare i più giovani a bilanciare meglio tutto questo occorre ripartire dall’ascolto di sé e degli altri, dalle pratiche che nascono dall’incontro con le fatiche e le attese, specie dei più fragili. Il che non vuol dire che non debba esistere una riflessione teorica, figuriamoci, insegno Filosofia morale! Eppure mi azzarderei a sostenere che la moralità è soprattutto cura della propria vita interiore. Non abbiamo bisogno di produrre nuove teorie sulla moralità, ma di promuovere una riflessività che si agganci a esperienze concrete, specialmente di servizio.
Riecheggia l'approccio gramsciano alla pedagogia intesa come azione e pensiero. Lo vede che stiamo parlando di una rivoluzione?
La moralità è sempre un misto di teoria e agire concreto. E anche di sensibilità. Sentire dentro di sé di voler porre rimedio a qualcosa di male è un importante. Tuttavia questo sentimento spesso viene disincentivato nella pratica delle cose, dal modo in cui la realtà funziona, dai modi in cui noi adulti la facciamo funzionare. Motivo per cui abbiamo l'obbligo di capovolgere la prospettiva e di favorire l'esercizio e la possibilità di attuare ricorsivamente comportamenti responsabili. Abbiamo bisogno di luoghi e contesti dove fare esperienza di servizio. Meno eroi, meno uomini eccezionali, maggiori opportunità di entrare in contatto con i bisogni dell'altro in maniera ordinaria e comunitaria…