"Senza il contributo di artisti, pensatori, architetti, filosofi, scrittori, come avremmo affrontato questo momento? Adesso si tratta di trasformare la crisi del coronavirus in un modo nuovo di produrre e veicolare contenuti culturali. Abbiamo bisogno di immaginare un welfare da sviluppare accanto a quello classico". È questa la sfida che Giovanna Melandri, presidente della Fondazione MAXXI dal 2012, istituzione che quest'anno celebra il decennale del Museo nazionale delle arti del XXI secolo, si appresta a intraprendere per quella che sarà a tutti gli effetti una "nuova stagione" delle istituzioni culturali italiane.
Ai cui blocchi di partenza il MAXXI si presenta con qualche metro di vantaggio, grazie all'intenso lavoro social-oriented degli ultimi anni, che gli consente oggi di essere tra i primi musei italiani per numero di followers sui diversi canali social e con oltre 7 milioni di visualizzazioni da quando è iniziato il lockdown. Risultati frutto di una programmazione di contenuti editoriali specifici e di qualità messi a sistema nel palinsesto online #IORESTOACASA con il MAXXI, pensato per tenerne aperte le porte, anche se virtualmente, e che nella settimana di Pasqua andrà avanti per la quinta settimana di fila. Nei prossimi giorni saranno diversi i contributi, che si alterneranno da Brunori Sas all'epidemiologa Immaculta a De Vivo, passando per l'esperto di benessere Daniel Lumera, l'artista Mario Cresci, il giornalista Michele Smargiassi, oltre al direttore artistico Hou Hanru e il critico Pippo Ciorra.
Partiamo dalla conta dei danni, Presidente. Come sta impattando il lockdown sulla vita del MAXXI?
In maniera molto pesante, come per tutte le istituzioni culturali italiane e non solo in questo momento. Con lo sbigliettamnto fermo, il diradarsi delle attività e dei conseguenti finanziamenti, finora stimiamo una perdita di 2,5 milioni di euro sull'annualità. Ma si tratta di una stima non definitiva, perché non sappiamo in concreto fino a quando saremo chiusi e in quali condizioni ripartiremo dopo il lockdown.
Di quali strumenti avrebbero bisogno in maniera urgente le istituzioni culturali come la vostra?
Di liquidità immediata da mettere in tasca ai diversi operatori del settore. Con il Decreto varato ieri dal Governo arriverà un aiuto importante. È necessario uno stimolo per un credito di 2,3 mesi a tasso zero che ci consenta di tamponare e programmare la ripartenza.
E poi?
Sempre nell'immediato sarebbe utile ragionare sull'esenzione IVA di tutte le attività istituzionali dei servizi museali. Parliamo di una cifra tra i 600 mila e i 700 mila euro l'anno, solo per quanto riguarda il MAXXI. Ma è un problema che attiene a tutti gli operatori in campo culturale.
Per il futuro quali strumenti si immagina a sostegno?
Un ragionamento a medio termine, quando riapriremo, andrà fatto sulla detraibilità delle spese culturali per le famiglie. Da Ministro dello sport, durante il secondo governo Prodi, riuscimmo a ad approvare un meccanismo di detrazione delle spese sportive. Potrebbe essere utile ripartire da una logica simile ed estenderla alla cultura. Quelli che immagino sono strumenti che puntino alla realizzazione progressiva di un welfare culturale, accanto a quello classico. Dopodiché, altro elemento importante, andrà messa a punto una campagna di comunicazione turistica che convinca gli italiani ad essere i primi fruitori della cultura nel nostro Paese. È inimmaginabile sperare che il turismo internazionale ricominci come prima, per questo sarà fondamentale riportare gli italiani nei nostri musei. Al MAXXI la componente straniera prima della chiusura era del 40%. Dovremmo implementare anche un accordo tra i diversi vettori del trasporto e i musei italiani.
Veniamo alle attività del museo svolte in piena epidemia da Covid-19. I numeri del vostro palinsesto online sono importanti.
Prima di questa crisi il MAXXI stava andando molto bene, grazie a una costante crescita di pubblico e di entrate derivanti da sponsor, che ci consentivano di produrre contenuti specifici per ogni singola mostra. In dieci anni abbiamo messo a punto un "tesoretto" di contenuti digitali che oggi ci consentono di mettere a frutto la trasversalità del nostro approccio ai linguaggi delle diverse arti. A ciò c'è da aggiungere il contributo generoso di artisti, pensatori, scrittori, filosofi: senza di loro non ce l'avremmo fatta. Tuttavia il punto di caduta del ragionamento è: esiste un modello sostenibile per questo "mondo nuovo"? Dopo l'apprendistato che stiamo sperimentando sull'uso della virtualità, come realizzeremo un modello di qualità che regga economicamente e che non "sfrutti" il lavoro degli artisti, permettendoci di onorare il nostro ruolo di fornitori di servizio pubblico?
Sono due questioni entrambe importanti e tuttavia diverse. La prima è il modo in cui troveremo la via, dopo quest'apprendistato dello spazio digitale, per remunerare il lavoro creativo. La seconda, che mi pare venga fuori dalle sue parole, si spinge ancora più in là: gli artisti, gli architetti, gli scienziati saranno chiamati alla sfida dell'immaginazione del futuro. E ci sarà bisogno di sostenerli.
Esatto. Con le pillole della rubrica "Un mondo nuovo", sulle pagine del museo, stiamo pubblicando ogni settimana diversi contributi di qualità. Segnalo tra questi il video realizzato da Renzo Piano, in cui sono condensate molte possibili idee da cui ripartire. Innanzitutto, i giovani. Renzo Piano afferma chiaramente nel suo appello rivolto ai giovani: "Noi non siamo riusciti a cambiare il mondo, ma lo farete voi." Ed è vero. Finora abbiamo immaginato le nostre smart cities come luoghi votati alla velocità, all'efficienza. Dopo l'esperienza delle nostre vuote e bellissime metropoli di questi giorni, gli architetti del futuro espanderanno il paradigma di ciò che è smart in altre direzioni. Lo dico con una battuta: abbiamo bisogno di respirare di più, non solo essere più veloci.
Anche le istituzioni culturali e museali dovranno cambiar pelle.
Ormai è chiaro a tutti: non possiamo uscire dalla crisi uguali a prima. Ritornare al modello "Business as usual".
Come per la Sanità e i servizi pubblici essenziali, sta pensando a un poderoso ritorno del ruolo dello Stato in campo culturale?
Sto pensando a un modello ibrido, non ancorato a visioni del passato, né a quella statalista, né a quella per cui il mercato regola tutto e al meglio per ciascuno di noi. In campo culturale bisogna mettere a punto un meccanismo di collaborazione tra pubblico e soggetti privati, dal settore profit al non-profit. Solo così potremmo uscirne e bene.
È la stessa visione alla base della Human Foundation, di cui è Presidente, come per il MAXXI.
Human Foundation è un ente privato di ricerca che promuove soluzioni innovative in risposta ai crescenti bisogni sociali. Il tema di fondo delle risorse private è fondamentale nella partita del rilancio culturale del nostro Paese. Ed è questo a cui faccio riferimento quando parlo di "capitali pazienti" da investire nel nostro settore. Non elargizioni filantropiche, ma fondi di investimento con tassi di interesse più bassi di quelli offerti dal mercato tradizionale, con una vocazione civile e di lungo periodo. Non sarebbe la panacea di tutti i mali, ma potrebbe rivelarsi uno degli strumenti che sul lungo periodo contribuirà a risollevare il sistema.