Giornata Mondiale del Rifugiato: iPhone, psicoanalisi e relatività, senza migranti il mondo sarebbe un posto peggiore
Albert Einstein, Sigmund Freud, George Weah. Persino il papà di Steve Jobs. Sono i rifugiati che hanno fatto grande il mondo, soprattutto il nostro. Siete capaci di immaginare il mondo senza l'iPhone? Be', con ogni probabilità è quello che sarebbe accaduto se Abdul Fattah Jandali, nato da una famiglia benestante di Homs, in Siria, nel 1950 non avesse scelto di rifugiarsi negli Stati Uniti dove è stato accolto, integrato e dove ha avuto la possibilità di concepire e crescere suo figlio, Steve Jobs. Non proprio gente qualsiasi, insomma, questi rifugiati. Non proprio il ritratto degli "invasori" come li definiscono alcuni politici nostrani.
Un rifugiato è, per sua definizione, qualcuno che scappa dal paese d'origine infestato da guerre e carestie che rendono impossibile continuare a vivere in quel luogo. Ma chi scappa spesso ha qualcosa da portare con sé oltre il proprio bagaglio (leggero) di oggetti e abiti. Si tratta di un bagaglio immateriale, fatto di conoscenze, talento, aspirazioni e sogni. Spesso succede che dopo aver ritrovato migliori condizioni di vita accettabili nei paesi che hanno deciso di ospitarli, i rifugiati diano il meglio di sé nel contribuire allo sviluppo della cultura delle società che li ospitano. Senza queste persone, insomma, la nostra vita sarebbe infinitamente meno comoda e piacevole di com'è.
Persino il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, era un rifugiato. Il motivo è facilmente intuibile: le sue origini ebraiche. Quando nel 1938 l’Austria, paese in cui viveva, venne annessa al Terzo Reich, per Freud iniziarono i problemi.G li venne concesso di migrare dalla Germania, previo il pagamento di tasse. Venne privato della cittadinanza austriaca e divenne apolide. Accompagnato dalla moglie Martha e dalla figlia Anna partì per Londra, dove ottenne lo status di rifugiato politico.
Per non parlare di Albert Einstein, padre della relatività, vittima delle persecuzioni naziste anche lui in quanto ebreo. Fu accusato di alto tradimento dal Reich e fu costretto a scappare. Quando Hitler salì al potere nel 1933 si trasferì prima in Belgio, poi in Gran Bretagna e infine negli Stati Uniti. Alcuni suo familiari vennero uccisi per rappresaglia. Insieme a sua moglie, lavorò intensamente per aiutare altri rifugiati.
Tra i tanti esempi del mondo dell'arte, delle scienze e della musica che potrebbero farsi, ve n'è un altro, in campo sportivo, che merita l'attenzione di tutti. Quello che arriva dallo sport. George Weah nasce in uno slum di Monrovia, in Liberia, il 1° ottobre del 1966. Weah gioca nel semiprofessionistico campionato liberiano fino a 21 anni, attraversando numerose sommosse e un colpo di stato militare. Si trasferisce in Francia. Quando indossò la maglia del Milan, dichiarerà: "Io sono cittadino francese, ma ho la nazionalità liberiana. Sono in Italia per rappresentare il mio paese e l’Africa e per aiutare altri calciatori africani a venire a giocare qui". Dopo l’abbandono dell’attività agonistica, Weah è diventato una figura umanitaria e politica nel suo paese, impegnandosi a fondo nella lotta contro i problemi che attanagliano la Liberia. Attualmente, dal gennaio di quest'anno, è Presidente della Liberia.