Cento anni fa nasceva Gianni Rodari. Lo scrittore, il pedagogista, il giornalista, il poeta e partigiano, veniva al mondo il 23 ottobre 1920 ad Omegna in Piemonte. In sessant'anni di vita (quest'anno, curiosamente, oltre al centenario, ricorre anche il quarantennale della morte avvenuta nel luglio del 1980) è diventato lo scrittore italiano più amato dai ragazzi, strepitoso inventore di favole e filastrocche per bambini, autore di quella "Grammatica della fantasia" che resterà un faro per la scrittura dedicata ai più giovani. E non solo. Nel 1952, infatti, più di trecento operai restarono chiusi per oltre un mese nelle viscere della miniera di zolfo più grande d’Europa, a Cabernardi e Percozzone, in provincia di Ancona. Non fu un incidente, ma una scelta: i minatori si asserragliarono sottoterra in segno di protesta contro le lettere di licenziamento inviate a ottocentosessanta di loro. Una vicenda umana e politica che oggi, con la chiusura annunciata da Whirlpool, fa riflettere. I sepolti vivi (Einaudi Ragazzi) viene da un’idea dello storico Ciro Saltarelli, che ripropone il reportage con cui Gianni Rodari, all’epoca giornalista militante, raccontava ai lettori di “Vie nuove” quest’esperienza di lotta sindacale con la stessa sensibilità e intelligenza che lo avrebbero poi contraddistinto come scrittore per l’infanzia. La storia – che arriva nel centenario della nascita di Gianni Rodari, nato il 23 ottobre 1920 – è accompagnata dal materico disegno della pluripremiata Silvia Rocchi. Ecco il loro dialogo per i lettori di Fanpage.it.
Ci raccontate (brevemente) chi è stato per voi Gianni Rodari?
Saltarelli: Sono stato un “bambino rodariano”. Molto spesso la sera prima di andare a letto mi venivano lette favole e racconti di Gianni Rodari. Durante l’università mi capitò di rileggere le sue opere e scoprii un autore immenso, capace di parlare ad adulti e bambini rivoluzionando la letteratura per l’infanzia in Italia, me ne innamorai. Successivamente durante l’attività di ricerca storica scoprii, per caso – come si dice in queste occasioni – il giornalista con il gusto di narrare che Rodari fu all’inizio della sua carriera e continuò ad essere per tutta la sua vita, e con lui l’affascinante e toccante storia dei Sepolti Vivi.
Rocchi: Rodari per me è stato a lungo lo scrittore di quei racconti e di quelle filastrocche che mi venivano lette da piccola, soprattutto a scuola. L’ho poi riscoperto qualche anno dopo, grazie a un concorso di illustrazione a tema “Cipollino”, rilessi la storia rilevando nuove sfumature e notando la complessità dei temi trattati. Quando poi Ciro mi ha fatto leggere l’articolo de “I sepolti vivi” ho messo un altro tassello che ancora non conoscevo, il primo periodo della sua vita in cui lavorava come giornalista.
Chi sono i sepolti vivi e dove nasce l'interesse per questo reportage?
Saltarelli: Nel 1952 poco più di trecento minatori si asserragliarono per più di 40 giorni a 500 metri sottoterra per difendere il proprio lavoro e il futuro dei propri figli, dando vita così ad una delle occupazioni più significative della nostra storia repubblicana. La lotta coinvolse un’intera comunità e fu espressione dell’autentica solidarietà umana che caratterizzò la società italiana desiderosa di riscatto durante gli anni della Ricostruzione. I valori umani espressi dalle gesta dei minatori, che la penna di Rodari colora d’incanto, mi hanno colpito fin dalla prima lettura e convinto dell’attualità di tematiche quali la dignità del lavoro e il desiderio di emancipazione, che questo reportage descriveva magistralmente.
Rocchi: “I sepolti vivi” sono ed erano una comunità, composta da uomini, donne, vecchi e bambini che ruotava attorno a una fonte di lavoro sicuro, la miniera, che dava loro una forma di stabilità economica. Quando si prospetta la fine delle loro abitudini per come le conoscevano, lottarono per mantenerle e fu talmente importante come sciopero, che sono stati un esempio di tenacia e determinazione. Sono interessata a questo tipo di storie perché ritengo abbiano una portata ancora attuale e perché credo che la mancanza di lavoro sia il primo tassello per far vacillare una struttura sociale già fragile in cui naturalmente non si rispetta la specificità del singolo individuo.
Come avete lavorato alla sua "trasposizione in immagini"?
Rocchi: L’articolo di Rodari è un reportage ricco di suggestioni visive, ha un certo ritmo che torna nelle azioni dei protagonisti, andare a tradurre in immagini la sua inchiesta è stata un’operazione delicata, complessa, mai scontata. A livello di disegno ho giocato molto con l’alternanza di luci e ombre, di pieni e vuoti, procedendo in maniera lineare nella narrazione e riportando fedelmente in calce (non in tutte le pagine naturalmente), le didascalie dell’articolo stesso. In modo da animarlo grazie ai movimenti dei protagonisti ma anche per ricreare quell’atmosfera propria di quel periodo grazie alle parole del “giovane” Rodari.
Saltarelli: La trasposizione in immagini del testo giornalistico ha richiesto un’opera certosina di selezione di tematiche e livelli di lettura differenti. Il reportage di Rodari è ricco di spunti e argomentazioni lucide e circostanziate molto differenti tra di loro: dalle condizioni sociali dei minatori alle politiche dell’industria mineraria internazionale. Il lavoro di adattamento del testo ha tenuto conto dei due livelli concentrici descritti da Rodari e la sua capacità di tenere insieme saldamente le microstorie dei minatori e dei loro affetti con la macrostoria delle lotte sindacali e del percorso di attuazione della neonata Costituzione italiana.
Ritenete che le immagini riescano oggi a "illuminare" quelle zone buie della nostra storia (o della nostra società) così come le parole lo facevano all'epoca?
Rocchi: È una domanda complessa. Oggi le immagini hanno un ruolo esteso a vari livelli di comunicazione e di pensiero. Ritengo che ci sia bisogno di un’importante e massiccia educazione all’immagine in modo da avere un buon livello di consapevolezza quando fruiamo qualcosa, sia essa un’illustrazione, una foto, o un’immagine random che non abbiamo cercato noi stessi. Credo che chi opera in questo settore ad oggi debba essere di anno in anno sempre più consapevole di questo, in modo che la ricerca a livello compositivo, di colore, e di ritmo (se si parla come in questo caso di fumetto), sia complessa e che dia modo a più lettori di avere diversi piani di lettura, proprio come le parole di Rodari.
Saltarelli: Da insegnante sento l’urgenza di trovare delle forme di comunicazione capaci di stimolare interesse e curiosità nelle nuove generazioni per renderle maggiormente partecipi e consapevoli dell’eredità culturale e storica delle lotte sindacali e civili del nostro Paese. Le immagini rappresentano sicuramente un linguaggio privilegiato e immediato ma vanno supportate da un’opera costante di studio e comprensione delle trasformazioni storiche che hanno generato il nostro presente.