Pride 2019: perché anche le famiglie tradizionali dovrebbero partecipare
Nel mese del Pride, nei giorni della libertà o quantomeno nei giorni in cui un po' dovunque in Italia si manifesta per il diritto d’esser liberi di essere come si è (perdonate il gioco di parole), sventolano dappertutto le bandiere multicolore simbolo dell’orgoglio gay, della fantasia, dell’impossibile che diventa possibile e, ca va sans dire, della libertà. Quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario dei moti di Stonewall, i violenti scontri tra gruppi omosessuali e la polizia nel giugno del 1969 a New York, che diedero vita al movimento di liberazione omosessuale, fissando poi nel 28 giugno la Giornata Mondiale dell'Orgoglio LGBT.
Come ogni anno, di sabato, si tengono in tutto il paese, grandissime parate per le vie delle città e come ogni anno, io e la mia ragazza, porteremo i nostri piccolini, anzi un piccolino e una piccolina, a sfilare vestiti di mille colori, perché a nostro modo di vedere, la famiglia è una e una sola: quella formata da persone che si amano. Persone di qualsiasi natura. Camminiamo a lungo, con la piccolina piccola che, seduta sulle mie spalle, sventola la sua bandierina multicolore che ha disegnato con le sue manine e il piccolino grande che si guarda frenetico in giro per non perdersi nulla. Camminiamo e sfiliamo anche noi con orgoglio, seppur qualcuno potrebbe definirci una “famiglia tradizionale”, fra i mille volti colorati e festanti di ogni genere, che nel farlo ostentano e gridano il proprio diritto ad essere, perché alla fine non bisognerebbe mai dimenticare, come dice Carlo Gabardini, che:
“Il Pride è una protesta, perché i diritti umani che chiediamo non ci sono ancora affatto. E finché una lesbica, un gay, una persona transessuale, un musulmano, un italiano, un disabile, un povero o chiunque altro sarà discriminato, in qualsiasi angolo del pianeta, sarà tempo di Pride e noi scenderemo in piazza nelle vesti e nei modi che più ci aggradano. E siccome è una protesta, è inutile che veniate a dirci come dobbiamo vestirci o cosa mettere sui carri o se la musica è troppo alta, perché le forme di protesta le decidono quelli che protestano, non quelli che negano i diritti. Quindi, una volta per tutte, sono carri nostri come decidiamo di protestare.”
Dopo aver sfilato, urlato e riso talmente tanto da farci venire il mal di pancia, decidiamo di fare una pausa merenda e prenderci un gelato. Per mangiarlo ci sediamo su un prato. Poco più in là c’è una coppia di mamme che si danno un bacio, vicino c’è il loro bimbo. Il piccolino grande le osserva attentamente e poi domanda: «Ma perché si baciano sulla bocca?». «Perché si vogliono bene.» rispondo. «E anche le ragazze si baciano sulla bocca?» «Certo, se si vogliono bene si baciano.» dopotutto li abbiamo portati in manifestazione con noi proprio per insegnar loro che l’amore non ha forma, se non quella dell’amore stesso che nessuno sa quale sia. Così dopo una piccola riflessione il piccolino grande dice solamente: «Ah… E chi è la mamma del bimbo?» «Tutte e due sono le mamme del bimbo.» «Ah. E perché?» «Perché si vogliono bene e hanno avuto un bimbo.» «Ah.» «Ci sono dei bimbi che hanno due papà, dei bimbi che hanno due mamme, dei bimbi che hanno una mamma e un papà, oppure solo una mamma o solo un papà. Dipende, l’importate è che si vogliono bene.» «Quindi ci sono dei bimbi che hanno due mamme, ho capito bene, papone?» «Sì, certo.» «Ah.» Pausa. «Che bello! Così se una mamma va al lavoro, l’altra rimane a casa col bimbo e lui non è triste.» «Sì, però non è che ha due mamme e due papà, ha due mamme e basta.» «Sì, sì, ho capito…» «Ah.» dico io. Sostanzialmente non gliene fregava un cazzo di avere due papà, per lui la figata pazzesca era avere due mamme. A lui non stupiva che due donne si amassero ma lo meravigliava l’idea che si potesse avere due mamme.
Ed è per questo che forse è dai bambini che dovremmo ricominciare tutto da capo, perché, come dico spesso, soltanto loro alle volte riescono a rendere possibile l’impossibile. Ed è per questo che manifestare per la libertà degli altri e delle altre, vuol dire manifestare anche e sempre per la propria libertà, perchè la libertà è di tutti e tutte o non è di nessuno. Ed è per questo che non diremo mai i nostri piccolini – anzi alla nostra piccolina e al nostro piccolino perchè anche le parole hanno la loro importanza – come vestirsi e comportarsi o quantomeno non dirò mai alla piccolina piccola parole che non direi mai al suo fratellino. Non diremo mai loro chi amare, né come o quando amare, li lasceremo giocare come vogliono, con le bambole o con il pallone.
A lei non insegnerò mai nulla che non insegnerei anche a suo fratello. E a suo fratello insegnerò che non deve sempre e per forza essere “maschio”, che non deve sempre mostrarsi tale, che nulla gli appartiene per diritto di casta, che il corpo è solo e soltanto della persona a cui appartiene, che può giocare con le bambole o con il pallone e che dovrà prendersi cura di sua sorella perché è sua sorella, non perché sia femmina e che lei dovrà prendersi cura di lui, perché è suo fratello. So già come molti risponderanno: «Magari in un altro mondo, ma noi viviamo in questo», ma queste sono le stesse persone che da ragazzino mi dicevano che poi sarei cambia-to, che avrei smesso di sognare, che avrei trovato un lavoro “vero”, che i ribelli muoiono a vent’anni anche quando non muoiono; son le stesse persone che quando ormai non ero più ragazzino mi dicevano che non avrei mai avuto figli, che mi sarei dovuto sposare per avere una famiglia, che i ribelli muoiono sempre e con loro le rivoluzioni, che con i figli sarei cambiato, non sarei stato più lo stesso, che il mondo va così, è così che deve andare. E allora non insegniamo ai bambini la nostra morale che tanto fa male. Insegniamo ai nostri bambini a essere uguali, a giocare alle bambole e con il pallone, insegniamo ai maschietti a non essere maschietti, insegniamogli un’altra morale, una favola con un altro finale, e che non sia solo e soltanto quella in cui il principe e la principessa “vissero sempre felici e contenti”.
Raccontiamo ai nostri bambini la favola di Rossella, una trans storica dei "bassi" di Genova, che non volle mai farsi operare e che scelse quel nome perche' sognava una vita alla "Via col vento: a un giornalista che le chiese "Se potessi rinascere, nasceresti donna o uomo ?" Lei semplicemente rispose "Vorrei nascere semplicemente Rossella".
Buon pride a tutte e tutti.