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Gaia Banfi: “Oggi scrivo, produco e sono indipendente al 100%. Da X Factor? Ne sono uscita a testa alta”

Gaia Banfi è una delle cantautrici, musiciste, produttrici più interessanti che abbiamo: il suo ultimo album è La Maccaia e mescola pop, cantautorato ed elettronica. Qui l’intervista.
A cura di Francesco Raiola
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Gaia Banfi (ph Gloria Capirossi)
Gaia Banfi (ph Gloria Capirossi)

In questi ultimi anni c'è un flusso di cantautrici, musiciste, produttrici che sta dando il senso a quello che una volta definivamo, genericamente, indie, e consideravamo uno spazio in cui poter sperimentare al di fuori dagli schemi del mainstream. Gaia Banfi è una di queste, e La Maccaia è il suo nuovo album, un lavoro che unisce forma canzone a sperimentazioni sonore, elettronica a cantautorato: l'ascolto di Piazza centrale ci ha spiazzato positivamente e l'album non ha deluso le aspettative. Banfi ha fatto anche un veloce passaggio a X Factor, ma la sua musica era un po' troppo "sofisticata" per citare un collega, e forse è stato un bene perché spesso il talent lasciano un marchio e la cantautrice non ne ha bisogno, ciò di cui ha bisogno è di quanto più spazio possibile.

Chi è Gaia Banfi e come arriva a La Maccaia?

La Maccaia è un po' tutto quello che non sono mai riuscita a raccontare sia dal punto di vista autoriale che dal punto di vista musicale. Studio musica da tanto tempo, ho fatto varie cose in passato ma nel mio percorso musicale non ero mai riuscita a trovare un punto in cui riuscissi a mettere insieme tutte le cose che avevo fatto, che avevo attraversato, era sempre stata una ricerca di una mia sonorità, un mio anche modo di esprimermi. Ricordo quando, un po' diversi anni fa, ero da alcuni amici che avevano ascoltato i miei lavori vecchi e commentavano il mio modo di scrivere in maniera negativa, a quel punto c'è stata una sorta di epifania per cui mi sono detta "Ok, adesso forse è arrivato il momento in cui ho gli strumenti per mettere assieme un po' tutte le cose" e quindi sono arrivata a La Maccaia in maniera anche abbastanza naturale. Sono venute fuori diverse cose che per la prima volta, all'interno del mio percorso, sento veramente mie, perché dal punto di vista autoriale, di scrittura, ci ho dedicato molto tempo, momenti anche abbastanza intimi, introspettivi, mentre dal punto di vista musicale ho fatto tanto lavoro di sperimentazione.

In più la produci pure, no?

Sì, ho cominciato a produrre la mia musica da circa tre anni e il fatto di essere totalmente autonoma – oltre al fatto di non affiancarmi una figura di produttore – mi ha permesso di essere al 100% indipendente.

E La Maccaia cosa rappresenta?

La Maccaia è il racconto di me, in cui ho cercato di usare più immagini possibili perché non mi piace troppo parlare di me in maniera esplicita. È un po' il percorso di alcuni momenti della mia vita, utilizzando però delle immagini molto figurative, forti ed evocative.

Vedendo dei video di quando hai partecipato a X Factor ce n'è uno che mi ha colpito. Alla fine di una tua esibizione, uno dei concorrenti dice "Sofisticatissima". Troppo sofisticata per quel reality?

Guarda, penso di essere uscita da lì a testa alta, le persone sentivano la mia musica e mi chiedevano cosa ci facessi là, che cosa c'entrassi io in quel contesto. Per quanto mi riguarda l'ho affrontata veramente come un'esperienza che volevo fare, a prescindere da dove mi avrebbe portato e per me è stato qualcosa di veramente inaspettato. Mi stupisce ancora di più perché quello che si vedeva, quello che hanno trasmesso in TV, è stato niente, per questo non capisco come le persone abbiano colto questa cosa.

Ti è dispiaciuto?

Sì, è stato un peccato che non abbiano fatto vedere un po' di più perché comunque il lavoro che era stato reso live aveva un peso maggiore, ma alla fine va bene così.

Macaia, la canzone che dà il via all'album, comincia con un pezzo di ‘BE. HERE. NOW.' del Reverendo Marlin Lavanhar. Un discorso sulla felicità, sul qui e ora. Come nasce questo attacco?

La ricerca è stata casualissima, cercavo un catalogo di archivio da cui potessi attingere, me ne sono ascoltati tanti, finché sono finita nel mondo della spiritualità, anche perché è una cosa che io stessa ho ricercato, è un mondo che mi appartiene molto. Non volevo che ci fosse la mia voce, non volevo che a dire quelle cose fossi io, volevo che fosse un messaggio universale e quando ho trovato questo passaggio mi sono detta: "Ok, non sono l'unica persona ma c'è una collettività in questo" e il fatto di farlo sentire da un'altra voce per me ha avuto un peso maggiore.

È un album in cui mi pare esserci tanta ricerca, no?

Sì, io vengo da un ambiente musicale, mio padre è stato un musicista negli anni Settanta, ha visto nascere la musica elettronica e l'ha portata avanti, lavorando anche con Klaus Schulze. Quella musica e quella scuola ce le ho dentro e vorrei portarle avanti sempre di più.

Ne Il lungoriva di Genova, ad esempio, sento questa voce in primo piano rispetto agli strumenti, è una mia impressione o è voluto?

In alcuni brani abbiamo riportato la voce davanti perché l'attenzione alla scrittura per me è primaria in questo disco, l'intenzione è stata quella. Poi ce ne sono altri in cui c'è molta più attenzione alla strumentale. In brani come Il lungoriva di Genova o Congelati, che sono molto più acustici, per certi aspetti, la voce è primaria, ma era proprio per cercare di mettere sempre di più il focus sulla scrittura, niente di più.

Questa canzoni nascono come un corpo unico oppure hai trovato un filo successivamente?

No, non nascono con l'intenzione di mettere assieme una raccolta di brani, quindi fare un album, la fortuna è stata che la necessità di scrivere è coincisa con un periodo emotivo particolare quindi, alla fine, i brani sono stati scritti abbastanza nel breve termine, sebbene non con l'intenzione di metterli assieme. Quello che ho trovato assurdo è stato il fatto che mettendoli assieme si è creato un filo conduttore. Sette, per esempio, è una canzone che scrissi 3-4 anni fa, ce l'avevo sempre lì bloccata e ho voluto reinserirla perché riprendeva un po' quello stato emotivo che era ritornato.

Prima parlavamo di spiritualità, in che modo influenza la tua scrittura? Penso, per esempio, ai loop nelle tue canzoni. 

La spiritualità – e tutto quello che ne concerne – è veramente un campo gigante. Il momento in cui mi dedico a fare meditazione, per esempio, è quello in cui mi perdo in qualcosa, non ho nulla attorno e per me la musica che riesce a ricreare quel tipo di sensazione, di emozione, insomma è la musica giusta per me. E quindi i loop, i suoni ripetuti, questi arpeggiatori che si portano avanti, richiamano esattamente quella cosa lì, è come se ti portasse in uno stato di trans, nel senso che c'è questa ripetizione che funziona come un mantra, cioè ripeti, ripeti, ripeti ed entri un po' in questo stato che non so neanche spiegarti.

Proviamoci.

È come se tutto si fermasse, e quella sensazione mi dà un estrema pace interiore e quindi mi fa piacere che succeda anche nella mia music. Che poi è ciò che ritrovo pure in quello che ascolto, ormai in questo periodo sto ascoltando soltanto musica meditativa, ma anche un album come Music for Psychedelic Therapy di John Hopkins. Quelli adesso sono i miei punti di riferimento, proprio perché mi danno un'estrema gratificazione ed è stata anche l'intenzione più legata alla musica, perché nella scrittura l'ho ricercata meno quella cosa. I miei ascolti si stanno portando lì, anche perché quando riascolti questi album è come se sentissi sempre qualcosa di nuovo e di diverso e io sto cercando di portare un po' la mia musica lì.

Una volta consideravamo mondo indie quello che ti dava la possibilità di poter fare anche musica al di fuori dei canoni abituali e nonostante ciò esisteva un pubblico. Poi quella cosa si è trasformata, oggi la mia impressione è che quel mondo lo stiano riportando in auge una serie di cantautrici, musiciste, produttrici. Tu ti ci ritrovi in questo flusso?

Sì, assolutamente, ne conosco ancora poche di persona, ma le conosco musicalmente. Purtroppo nella realtà bolognese in cui mi trovo non ci sono molte figure femminili, quindi non ho tanto il feedback, non lavoro con donne, però mi piacerebbe ovviamente in futuro farlo. E sì, mi sento parte di quel flusso, sono contentissima del fatto che ci siano finalmente anche delle figure femminili rispettate che portano avanti anche un discorso di produzione, cosa che non si sente mai in realtà. Spero di farne parte sempre di più in futuro e spero che ci siano sempre più donne che si avventurino in questo mondo incredibile della produzione, anche perché ci sono un sacco di compositrici che escono dal conservatorio, ma poi non si mettono in effettivamente a fare quel lavoro o magari non le conosciamo, io non conosco molti nomi di donne che producono e quelli che conosco, comunque, sono più all'estero che in Italia.

E pensi che esista uno spazio per quello che fai?

Non lo so, io me lo auguro, intanto posso dirti che non mi aspettavo, nel mio piccolissimo, tutti questi feedback all'uscita dei due singoli. Col mio manager parlavamo proprio del fatto che molti ascolti sono organici e questa cosa è molto bella.

Racconti Genova, città di cantautorato, ma ultimamente anche di trap. Insomma una città e una regione fervida, come ha influenzato l’album? E il suono?

Io non sono genovese, lo è la famiglia di mia madre, Genova per me è stata la città in cui ho passato molto tempo nella mia infanzia, per incontri familiari, quindi l'associo a un periodo in cui stavo crescendo, a quei momenti in cui pensavo che nella vita avrei voluto fare questo, ero in quel periodo adolescenziale in cui ti fai tante domande e cerchi anche di capire che cosa vuoi fare e lo associo proprio a certe immagini.

Il lungoriva, per dire…

Esatto, parlo del lungoriva di Genova, che poi è Corso Italia, ovvero questa camminata di un paio di chilometri che parte dal porto e arriva fino a Boccadasse ed è proprio tutto un percorso che fiancheggia il mare, è una camminata che ti fa pensare molto, almeno per me è stato così, quindi associo Genova al racconto di certi momenti, ma semplicemente perché la maggior parte di questi sono stati molto forti, legati al mio passato. Non avevo mai avuto il coraggio – oppure semplicemente non era il momento – di tirarli fuori e adesso mi ci ritrovo, li ho ripescati e mi sento anche in un certo senso liberata.

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