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Francis Scott Fitzgerald: 75 anni fa moriva uno dei geni della narrativa moderna

George Steiner diceva che la critica dovrebbe nascere prima di tutto da un debito d’amore: questo debito giustifica pienamente il fatto che l’incantevole stile e la fantastica capacità affabulatoria di Fitzgerald sia ancora nei nostri pensieri. Ricordiamolo a settantacinque anni dalla scomparsa.
A cura di Luca Marangolo
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Una vecchia recensione apparsa sul New York Times , che potete leggere qui, promuoveva un volume di saggistica facendo una disamina delle  più sofisticate, penetranti e ormai forse introvabili recensioni agli scritti di Scott Fitzgerald, per mano dei suoi contemporanei, a cavallo fra le due guerre.

Con lo sguardo di chi viene circa un secolo dopo, è praticamente evidente, come del resto nota lo stesso recensore, quanto i giudizi dei contemporanei sul grande talento americano si contraddicono tra di loro in continuazione.  Per quanto brillanti, le parole dei contemporanei sullo stile di Fitzgerald già negli anni ’50 dovevano sembrare insignificanti, per quanto ispirate da menti raffinate e penetranti, e il giudizio degli editorialisti degli anni ruggenti – gli anni in cui Scott visse e scrisse con una grazia e una felicità formale raggiunta da nessun altro mai praticamente- risultano piuttosto privi di valore e incapaci, in fondo, di capire la ragione misteriosa per cui da San Paul, Minnesota sarebbe venuto uno dei grandi geni e dei classici del Novecento.

Ad esempio c’era chi scriveva : "La sofferenza è sempre

un fotogramma dall'adattamento di "Tenera è la notte"
un fotogramma dall'adattamento di "Tenera è la notte"

proporzionale all'intelligenza, ed è spesso una fuga dalla intelligenza.  Fitzgerald appartiene a questa categoria. Ed è per questo che non è commuovente. Si sente a leggerlo che negando si sta costantemente qualcosa, che l'autore  in qualche modo ci offra alcuni fatti in cambio del diritto di tenere gli altri per se stesso.”  Sottolineando in tal modo la capacità di solidarizzare con i propri personaggi in modo laconico ed ellittico, e in una certa misura elegante; c’era poi chi di fatto, rovesciava abbastanza il giudizio, scrivendo: “La cosa grandiosa di Fitzgerald era il suo candore, il suo coraggio verbale, la sua semplicità. Un piccolo uomo con gli occhi che davvero testimoniano ciò che accade, di grande obiettività in tutto ciò che affermava, anche su se stesso e sulle sue crisi personali, addirittura a volte arrogante, per una sola ragione, al solo scopo di veicolare con chiarezza il messaggio”.

È per questo che la figura dell’editorialista viene guardata, in qualche misura giustamente, con il debito sospetto: perché il corso della storia di fatto valica con grande facilità le righe d’inchiostro e le analisi storiche e culturali; e poco importa se la contraddizione che abbiamo rilevato fosse una contraddizione fra giudizi critici o fosse al contrario una contraddizione interna allo stesso autore: converremo che, se cerchiamo qualcosa di oggettivo, non lo troveremo al di fuori del successo e del talento che si sono imposti sul tempo.

Ecco perché se dobbiamo ricordare Fitzgerald nell’anniversario della sua nascita, non possiamo che decidere di farlo dichiarandoci a-priori disarmati, spogliati delle nostre sofisticazioni intellettuali e  fondamentalmente grati di poter parlare di una serie di manufatti di brillante invenzione come Il grande Gatzby, Tenera è la notte,  Il ragazzo ricco o Gli ultimi fuochi.

Del resto lo scriveva già Contini, quando iniziava a parlare del suo Montale, che la critica dovrebbe nascere essenzialmente da un debito d’amore: e tutto si può dire di Contini meno che non fosse una delle menti più sofisticate e penetranti del secolo scorso, nel campo della letteratura.

E allora con il compito le molto serio e molto difficile di usare un anniversario per trasmettere al meno una piccola parte dell’intensa esperienza  emotiva, sensoriale e umana che abbiamo provato  nel leggere i racconti di Fitzgerald, ci limiteremo a ricordare li potere della sua scrittura attraverso la nostra memoria, che è fatta essenzialmente di vividi, meravigliosi e potentissimi scorci: scorci di vita, scorci di paesaggi, interni di ville eleganti e feste decadenti, fatta di un senso diffuso di delusione e speranza, che si alternano sull’altalena della giovinezza in modo particolarmente atroce per una generazione, come quella di Fitzgerald, che si era sentita fondamentalmente  diseredata dalla guerra.

Fitzgerald raccontò con un misto di candore romantico e di

Robert Redford nell'adattamento del Grande Gatsby sceneggiato da Francis Ford Coppola, recentemente il regista Buzz Luhrmann ha proposto una sua versione, con Leonardo di Caprio.
Robert Redford nell'adattamento del Grande Gatsby sceneggiato da Francis Ford Coppola, recentemente il regista Buzz Luhrmann ha proposto una sua versione, con Leonardo di Caprio.

razionale scetticismo l’infrangersi di quel sogno, e collocò nell’atmosfera vitale ed entusiastica degli anni ruggenti anime la cui profonda complessità, le cui caverne spirituali, per così dire, erano affidate fondamentalmente al non detto, alla capacità di trasparire dalla vita. Quasi a manifesto di questo stile che coniugava splendore formale ed ellissi, potenza espressiva e pudore umano, c’è un po’ forse l’inizio del Grande Gatzby, in cui Nick per parlare di Jay Gatzby  inizia dal rapporto con suo padre :

Nei miei anni più giovani e vulnerabili mio padre mi diede un consiglio che non ho mai smesso di considerare: «Ogni volta che ti sentirai di criticare qualcuno», mi disse, «ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i tuoi stessi vantaggi». Non aggiunse altro, ma nel nostro riserbo siamo sempre stati sorprendentemente comunicativi e compresi che voleva sottintendere molto di più. Di conseguenza, sono incline a sospendere ogni giudizio, abitudine che mi ha aperto a un gran numero di persone strane e mi ha inoltre reso vittima di non pochi seccatori consumati.

Ed effettivamente in queste righe dal ritmo quasi ipnotico c’è tanto di Scott Fitzgerald, o almeno, diciamo così, noi a leggerle vi troviamo tanto, ne percepiamo la densità: c’è il senso di un patto generazionale tradito, come quello fra la grande America industriale dei primi del Novecento e i reduci dal conflitto mondiale;  c’è poi un senso di profondo rispetto umano, che sfiora un po’ tutti i personaggi disegnati da Fitzgerald, dai ricchi illuminati a quelli più ipocriti e bestiali, accecati dalla loro stessa condizione,  c’è già il modello del rapporto fra Nick e Jay nel romanzo, basato sulla mutua comprensione,  al di là della vanità un po’ decadente del bel mondo che sta loro attorno.

Tutto ciò, ma non solo, si respira nelle pagine di Fitzgerald, che aveva questa capacità schietta, di descrivere le cose con gusto ed esattezza parimenti uniche, e i suoi romanzi si aprono con indimenticabili panoramiche che avvolgono le storie con un nitore veramente cinematografico, un ambiente che diventa essenziale, quasi, per capire i personaggi che lo abitano: come le pagine di Tenera è la notte, che si apre con una splendida marina della costa azzurra, fotografata di scorcio in modo idillico ma al contempo realista; in grado di trasmettere  forse meglio di qualsiasi opera cinematografica i sentimenti di un’adolescente, Rosemary, in vacanza con la madre e pronta a cedere al sogno di un'estate d’incanto, per poi tornare a casa con un sentimento impossibile nel cuore, ecco un saggio della sua prosa incredibile:

L'albergo e la sua luminosa stuoia marroncina di spiaggia erano una sola cosa. Nel primo mattino, l'immagine lontana di Cannes, il rosa e il crema delle antiche fortezze, le Alpi violacee  che fasciavano l'Italia, venivano buttate nell'acqua e rimanevano tremule, sulle onde increspate e negli anelli che le piante marine facevano affiorare attraverso la limpida acqua bassa,  Prima delle otto, un uomo scendeva in spiaggia in accappatoio azzurro e dopo essersi cosparso più volte il corpo con l'acqua gelida, dopo molti grugniti e sospiri, si dibatteva in mare qualche minuto. (…)

A circa un chilometro e mezzo dal mare, dove i pini cedono il passo ai pioppi polverosi, c'è una stazione di treno isolata dalla quale una mattina di giugno del 1925 una victoria portò una donna e sua figlia giù all'albergo di Gausse. Il viso della madre era di una bellezza appassita e presto sarebbe stato solcato da venuzze; l'espressione era piacevolmente tranquilla e consapevole di sé. Ma gli occhi si spostarono velocemente sulla figlia, che aveva una magia nelle palme rosate e guance illuminate di una splendida fiamma, come l'improvviso rossore dei bambini dopo il freddo bagno della sera.

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