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Se il Tar boccia i direttori dei musei a perdere siamo tutti

Da un lato, il Tar del Lazio che boccia la nomina di alcuni direttori nominati dal MiBact. Dall’altro, il ministro Dario Franceschini che si dice “senza parole”. Verrebbe da dire: un classico all’italiana. In cui a perderci siamo soprattutto noi.
A cura di Redazione Cultura
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Da un lato, il Tar del Lazio che ha bocciato la nomina alcuni dei direttori nominati dal MiBact meno di due anni fa. Dall'altro, il ministro Dario Franceschini che risponde piccato su Twitter, dicendosi "senza parole". Verrebbe da dire: un classico all'italiana. Sin dall'inizio, infatti, la polemica sulle nomine di direttori, in alcuni casi perché stranieri, somigliava a una di quelle questioni infinite, che si sarebbero trascinate a lungo.

Il provvedimento del tribunale amministrativo del Lazio è solo l'ultima tappa, in ordine cronologico, di una lotta intestina profonda tra il ceto burocratico e i cosiddetti uomini nuovi che puntano allo svecchiamento del sistema Italia attraverso una costante azione di "deregulation" e profonda erosione di certezze che, fino a l'altro ieri, sembravano immutabili.

Ma sbaglia chi pensa che la lotta sia tra innovatori e conservatori. Al momento, infatti, il confronto è tra due pensieri vecchi e superati, molto ancorati a schemi da ventesimo secolo, soprattutto nella gestione del patrimonio culturale. La somma del gioco, quindi, è pari a zero. E in attesa che il Consiglio di Stato si pronunci, le considerazioni da fare sono almeno due.

Innanzitutto, se confermato, l'idea che nel 2017 in Italia sia ancora valido un apparato di regole che impedisce a cittadini stranieri di concorrere per un posto di direttore in un'istituzione culturale è semplicemente folle. Bisogna dirlo con chiarezza, altrimenti non se ne esce. Basta un semplice confronto per rendersene conto.

Il nuovo presidente francese Emanuel Macron ha appena nominato nel suo staff la direttrice del marketing territoriale del Comune di Milano, Claudia Ferrazzi, la quale si occuperà di cultura. Ferrazzi, bergamasca, era arrivata a Milano dopo essere stata ai vertici del Louvre di Parigi.

Invece nel nostro Paese, negli stessi giorni, i delusi dalla selezione ministeriale effettuata due anni fa ottengono la vittoria di Pirro di riuscire a congelare la nomina di alcuni direttori nei più importanti siti museali e archeologici. Tutto ciò – ancor di più se confrontato con quanto accade in un paese fratello come la Francia, storicamente azzoppato dalla burocrazia – è il segno di un'Italia sempre più bloccata, ripiegata su se stessa e, quindi, destinata al declino.

Allo stesso tempo: chi fa in questo momento da contraltare all'oppressione burocratica nel nostro Paese? Un ministro che si dichiara senza parole su un social network, quando di parole dovrebbe averne molte. Allora cosa dovremmo dire noi cittadini?

Prima di lanciarsi in riforme-spot, che offrono molta visibilità a chi le promuove ma pochi risultati strutturali a chi le subisce, oltre che inseguire insensate deregulation in un settore come quello del patrimonio museale, bisognerebbe lavorare preventivamente sulle regole, ascoltando prima tutti gli interlocutori e poi modificarle. E rispettare le procedure stabilite, naturalmente. Non si possono fare colloqui a porte chiuse, questo lo sanno tutti. Ma ci rendiamo conto che questo tipo di azione politica meditata e sensata poco o mal si sposa con la necessità di mostrarsi rapidi, veloci, smart, di apparire in maniera frenetica e sempre più spesso sui social e in tivù.

Così come poco si sposa con l'idea che alcuni hanno di trasformare il nostro immenso patrimonio culturale in una location per sfilate d'alta moda, sagre del vino, dell'olio e, soprattutto, in tritacarne dello sbigliettamento, al fine di poter inviare l'ennesimo, provincialissimo comunicato stampa in cui celebrare un nuovo record di ingressi (perlopiù gratuiti, ça va sans dire) in questo o quel museo lungo la penisola.

Insomma, ancora una volta in Italia siamo nel mezzo di una situazione lose-lose. In cui, come al solito, a perdere sono entrambi i contendenti. Ma prima di tutto la maggioranza degli italiani che non si riconosce nelle fazioni in lotta.

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