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Francesca Woodman fra fotografia e cibo, un curioso percorso tematico al “Louvre” di Roma

Dal 24 giugno al 1 ottobre Francesca Woodman torna a far parlare di sé e a sconvolgere, nell’affascinante piccolo “museo del Louvre di Roma”. Una raccolta tematica insolita, quella che unisce l’arte surreale della fotografa statunitense e il cibo, il suo rapporto quotidiano con esso e il modo in cui si è trasformato per lei in un tramite per relazionarsi al mondo e alle persone. Francesca Woodman rimane un mistero per chi la conosce ed è oscura per chi la vede per la prima volta, ma, qualunque sia il caso, questa è senz’altro un’occasione imperdibile per ripercorrere la crudezza della sua fotografia e l’intensità della sua vita.
A cura di Federica D'Alfonso
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In quasi quarant'anni Roma non ha mai smesso di parlare di lei, un'artista controversa, difficile e sconosciuta ai più: dal 24 giugno al 1 ottobre le fotografie, le numerose lettere e gli appunti con l'inconfondibile inchiostro blu di Francesca Woodman verranno rispolverate e rilette alla luce del legame fra la sua arte ed il cibo. Il tema è infatti centrale in molte opere donate all'amico romano Giuseppe Casetti, che ha curato personalmente, insieme a lei, la sua prima mostra italiana nel lontano 1978. Nell'affascinante "museo del Louvre" di Roma in mostra non solo l'arte fotografica vera e propria, ma anche la vita quotidiana della Woodman: inviti a cena personalizzati con interventi grafici, fotografie "Riso e ricotta" e stravaganti ricette dai titoli più disparati, come la "frittata frizzante". Perché tutto, quando si parla di esperienze come quella di Francesca Woodman, diventa prezioso, ed ogni momento, anche il più insignificante, resta come testimonianza di una vita vissuta a tutti i costi fino alla fine.

"Il Museo del Louvre" è il nome giocosamente ingannevole di uno spazio difficilmente riconducibile agli odierni canoni culturali: una sorta di "casa delle meraviglie" con le stanze colme fino al soffitto di oggetti ed opere d'arte di ogni tempo. Un vero e proprio tempio della cultura del Novecento, che oltre a libri, periodici e cataloghi d’arte, propone fotografie e manifesti originali degli artisti, disegni, quadri ed altre opere visive. Situato nel cuore dell'antico ghetto ebraico di Roma, nei pressi di piazza Mattei, il museo apre nel 1995 per iniziativa di Giuseppe Casetti, e da allora raccoglie le testimonianze autentiche di artisti come Luigi Veronesi, Victor Chambi, Milton Gendel e ovviamente lei, Francesca Woodman.

Il riferimento al cibo come tramite di incontro e nutrimento reciproco, soprattutto in chiave simbolica: questo il significato primo dei lavori raccolti nella mostra. Francesca Woodman disegnava e scriveva molto, ed ogni singolo scatto era preceduto da schizzi e appunti lasciati su fogli di carta, frammenti di superfici diverse usate nei modi più inusuali; sulle pareti dello studio, sulle lettere e le cartoline inviate ad amici e parenti, ogni cosa porta le inconfondibili annotazioni con l'inchiostro blu. Tutto questo nel percorso che la racconta in modo diverso ed originale, svelando un lato particolare e quasi ironico del suo modo d'essere.

Cristiano riso e ricotta, 1977-78
Cristiano riso e ricotta, 1977-78

Le bellissime stampe risalgono tutte al breve periodo fra 1977 e '78: "Cristiano riso e ricotta" si compone di due foto stampate a contatto e un intervento a tempera con due colori sulle immagini, oltre ad una dedica personale di Francesca a Giuseppe Casetti, che lei chiamava Cristiano: riso e ricotta costituivano il suo pasto quotidiano prediletto.

Antella, settembre 1977
Antella, settembre 1977

"Se Francesca Woodman fosse stata una poesia, sarebbe stata un verso di Sylvia Plath": con questo parallelismo biografico ed artistico viene descritta da sempre una delle fotografe più precocemente tormentate ed affascinanti del Novecento. Come la Plath, Woodman impegnò tutta se stessa nell'esplorazione del paesaggio del suo corpo e della sua invisibile controparte, l'anima. A differenza della Plath però, Francesca Woodman è rimasta relativamente sconosciuta ai più. Forse per le sue fotografie non sempre facili da inserire in un canone preciso, o più semplicemete a causa della brevissima storia che l'ha vista protagonista. Appena ventiduenne, infatti, si toglierà la vita dal decimo piano di un palazzo newyorkese.

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I critici la avvicinarono al movimento surrealista: forte è infatti, in ogni suo scatto, il desiderio di spezzare il codice delle apparenze e di ridimensionare e sconvolgere la percezione della realtà. Non fornì mai una spiegazione alle proprie opere. Raccolte come "Angel Series" e "Eel Series", appartenenti entrambe al periodo romano, riflettono il suo crescente avvicinamento a questa corrente. Nata a Denver nel 1958 in una famiglia di artisti (il padre George è un pittore mentre la madre Betty è ceramista), sviluppa fin da bambina un legame molto forte con la fotografia e con l'Italia, dove viaggia spesso con i genitori: prima a Firenze, poi Roma. Proprio qui si stabilirà per continuare gli studi, e qui, organizzerà la sua prima mostra personale nella libreria Maldoror (marzo 1978). A Roma si appassiona alle opere di Max Klinger e si avvicina agli ambienti nascenti della Transavanguardia italiana. Parlando correntemente l'italiano pian piano inizia a sentirsi a casa a Roma, con le sue mura antiche e la sua sensualità senza tempo.

Il suo corpo nudo, relazionato a pochi oggetti fortemente evocativi, diviene un mezzo espressivo al pari degli oggetti comuni: imita un'anguilla con le braccia e le gambe avvolte attorno ad una bacinella, oppure diventa una calla spingendosi contro il muro e piegando il braccio e la mano, diventa parete lei stessa.

Eel Series, maggio 1977
Eel Series, maggio 1977

Nelle rare occasioni in cui ha fotografato il suo viso, esso appare straordinariamente distante. Con l'uso delle esposizioni lunghe o doppie partecipava attivamente all'impressionamento della pellicola, rappresentando il suo corpo preso con l'autoscatto sempre all'interno delle mura domestiche o di spazi abbandonati, e non utilizzando mai le luci artificiali: aspettava il momento migliore per sfruttare la naturalità delle luci e delle ombre al chiuso delle sue stanze.

Angel series, 1977
Angel series, 1977

"Era un misto fra una bambina innocente che non avrebbe mai voluto crescere ed un'aspra vecchia donna che ha visto troppo. Queste due parti di lei non si sono mai conciliate, e in lei c'era sempre, per questo, una febbricitante impazienza". Lascerà Roma nell'estate del '78 per concludere gli studi a Providence. Nel gennaio del 1981 pubblica la sua prima e unica collezione di fotografie, dal titolo "Some Disordered Interior Geometries": di lì a qualche mese morirà suicida, a soli ventidue anni, gettandosi da un palazzo.

Untitled, 1975-76
Untitled, 1975-76

Oltre alla sua raccolta di disordinate geometrie interiori, ha lasciato più di 500 foto in bianco e nero, svariate centinaia di negativi, lettere e piccoli diari, la gran parte dei quali si trovano proprio a Roma, nel piccolo Louvre. A cinque anni dalla sua scomparsa, nel 1986, si tenne la prima esposizione, al Wellesley College di Boston, e di seguito, varie altre mostre in America e in Europa, la più importante nel 2012 al Guggenheim di New York. Nel 2000 in Italia ci fu la sua primissima e più importante retrospettiva, curata da Achille Bonito Oliva: tutte le stampe originali delle foto scattate a Boulder, in Colorado, tra il 1972 e il 1976, quelle risalenti agli anni tra il 1975 e il 1978 realizzate a Providence, e le immagini del '77 e del '78, a Roma, la città che lei stessa definiva la sua unica vera casa. Rare sono le possibilità di veder raccontata quest'artista in modo completo ed esauriente, e la mostra al museo Louvre di Roma è senz'altro l'occasione unica ed imperdibile per entrare nel mondo disordinato di Francesca Woodman:

Ho dei parametri e la mia vita a questo punto è paragonabile ai sedimenti di una vecchia tazza da caffè; vorrei piuttosto morire giovane, preservando ciò che è stato fatto, anziché cancellare confusamente tutte queste cose delicate.

Untitled, 1975-76
Untitled, 1975-76
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