Femminicidi e violenza contro le donne: perché è necessario che anche l’uomo sia femminista
Quello che sta accadendo in questi giorni a Elena Cecchettin è la perfetta dimostrazione che viviamo in una società patriarcale che non ammette una narrazione diversa da quella imposta dall'uomo: per una volta una donna – la sorella di Giulia, ennesima vittima di femminicidio – non si adegua al copione prestabilito e non si presenta come donnina da consolare, sofferente e materna ma diventa accusatrice del sistema e accusa tutta la società patriarcale, sessista e omofoba, additando ogni singolo uomo come complice di questo sistema, di questa narrazione che è terreno fertile su cui cresce e si nutre ogni femminicidio. “Ogni uomo è complice” ma a quanto pare non è accettabile. E cosa accade?
D’un tratto Elena Cecchettin non è più vittima o sorella della vittima ma diventa colpevole: colpevole di fare fuorvianti discorsi ideologici, di essere satanista, di essere una ragazzina plagiata, di essere una matta che accusa tutti gli uomini di essere degli assassini, di piangere poco, di piangere troppo, di parlare eccetera eccetera eccetera. E via a indagare nel suo privato, tra i suoi profili, nelle sue scelte personali, nelle sue foto, e a criticare ogni sua singola espressione, parola, immagine, anche del passato eccetera eccetera eccetera. E così davanti agli occhi di tutti e dell'opinione pubblica intera si commette un'altra violenza: non la uccidiamo ma la stiamo mettendo alla gogna. Perché? Perché una donna non dovrebbe poter dire quello che pensa in ogni occasione. Soprattutto se quel pensiero non piace a noi maschi.
"Ogni uomo è complice e non ci si può fidare di nessuno” è chiaramente un’iperbole: è un modo per dire che dietro ogni uomo può nascondersi un femminicida, almeno fino a quando non cambieremo radicalmente il contesto culturale e sociale dominato dal patriarcato in cui viviamo. È ovviamente un urlo di protesta e aiuto e non un’accusa ad ogni singolo essere umano di sesso maschile. Ma nonostante questo l’analfabetizzazione che ormai sui social ha raggiunto il suo grado più elevato, non dà spazio a tempi di riflessione ma solo a scelte in merito a quale schieramento appartenere: e mi duole dirlo, ma la maggior parte degli uomini ha deciso di schierarsi dalla parte degli uomini, ognuno con una propria scusa e modalità.
“È una put*anella in cerca di visibilità” credo sia l’esemplare narrazione dell’orrore quotidiano in cui viviamo: "Il problema è la violenza, gli uomini violenti non il patriarcato che è un’invenzione ideologica!”, “Anche le donne sono possessive e violente…”, “Quante volte ho visto donne aizzare i loro uomini, attratte da loro perché davano un senso di virilità e protezione?”, “Basta con queste stron*ate comuniste sul patriarcato, le donne non si toccano nemmeno con un fiore!”, “Anche le donne uccidono gli uomini… perché questo non lo dite?”. Ma soprattutto la mia preferita: “Se su 285 omicidi 105 sono donne e 83 sono “femminicidi” allora perché nessuno parla dei 180 UOMINICIDI? EH???” con, in chiusura, il solito, immancabile, splendido “SVEGLIA!”. C’è anche una pagina Facebook, in forma di gruppo chiuso, di cui non riporterò il nome per non darle la notorietà idiota che cerca, che inneggia a Filippo Turetta come esempio di vero uomo.
Quando capiremo, noi uomini in primis, che il problema sta tutto qui, in questa nostra incomprensione o negazione della realtà davanti all’evidenza dei fatti, quando comprenderemo che la responsabilità è di questa nostra cultura sempre volta e declinata al maschile, di questa nostra (mala)educazione sessista, misogina, patriarcale, possessiva, omofobica, razzista, basata sull'uso della forza e non della discussione; quando accetteremo tacitamente che l’idea del possesso in una coppia – di qualunque geografia sessuale si parli – è sbagliato;
quando smetteremo di considerare normali i comportamenti dei “nostri” uomini – sin da ragazzini – che impediscono alle “proprie” donne di uscire da sole perché dopotutto “eh ma lui è fatto così, è geloso”, ma additeremo questi comportamenti come criminali e come terreno fertile su cui si costruiscono eventuali violenze e finanche femminicidi; quando smetteremo di dire che l'educazione sessuale nelle scuole elementari è un abominio, quando smetteremo di parlare di complotto gender, quando smetteremo di insegnare ai nostri bambini che ci sono giochi da maschi, che i maschi sono forti per natura, che i maschi giocano alle botte, che per farsi ascoltare alle volte è necessario alzare le mani "se no poi che razza di uomo sei?!", quando smetteremo di chiedere alle donne di tenersi al riparo dai lupi invece di insegnare ai lupi ad andarsene a fare in culo… forse cambierà qualcosa ma sarà comunque troppo tardi.
Quindi forse Elena Cecchettin ha proprio ragione, noi uomini siamo tutti complici: complici perché, almeno una volta nella vita, di certo abbiamo fatto un’orribile – ovvero sgradevole e schifosa – battuta sessista in presenza di una donna con l’intento, nemmeno troppo malcelato, di sminuirla; oppure perché, senza pensarci troppo, sul lavoro abbiamo tacitamente usufruito di una posizione privilegiata rispetto a una donna senza nemmeno rendercene conto; o abbiamo chiosato il racconto di una donna affermando senza tema di smentita che “minchia se c’ero io, gli davo un ceffone a quello là e risolvevo la situazione”; o abbiamo gridato incredibilmente forte ad un centimetro dal volto di una donna, facendo il gesto di trattenere le mani; o perché non abbiamo detto o consigliato o intimato a un nostro amico di smettere di ossessionare la sua compagna o moglie o ex moglie o ex compagna o ex ragazza; o semplicemente perché, seppur “innocenti”, non abbiamo mai detto o fatto nulla contro tutto questo e in definitiva non ce ne siamo accorti perché non ci riguardava. Quindi sì, è fondamentale che ogni uomo sia femminista: può e deve esserlo. Perché tutto questo non deve diventare una lotta di genere, una guerra degli uni contro le altre, bensì una battaglia comune di tutte e tutti contro un pensiero subdolo e strisciante, travestito da cultura.
La morte di Giulia, ammazzata da un uomo che la considerava cosa sua, colpisce tanto nel profondo perché, per una volta, è accaduto che non ne abbiamo appreso la triste, tragica, ingiusta, violenta, ennesima scomparsa a cose ormai avvenute, ma, per una volta, abbiamo sognato che la storia potesse andare diversamente ed avere un lieto fine: abbiamo immaginato l'assassino che, prima di diventare tale, finalmente si pentisse anche solo del pensiero di quello che avrebbe voluto fare e riportasse Giulia sana e salva a casa. Abbiamo sognato, tutte e tutti, che per un istante, uno solo, la storia cambiasse per sempre, l'assassino cambiasse per sempre i suoi panni maledetti da lupo e divenisse per sempre un essere umano. E così tutti dopo di lui. Per un istante ci siamo illusi e il ritorno alla realtà è stato più duro che mai: “Noi invece sapevamo come sarebbe finita. Non ci siamo mai illuse. Anche se lo abbiamo sempre sperato".