video suggerito
video suggerito

Federico Cirillo: “La città di Sanremo non è più adatta al Festival. Per Eurovision va creato un premio a parte”

Federico Cirillo è il direttore di Island Record, la prima etichetta musicale italiana: a Fanpage racconta il rapporto della discografia con Sanremo, come cambierebbe la selezione per Eurovision, quale futuro per la musica italiana e come hanno portato la trap in Italia.
A cura di Francesco Raiola
58 CONDIVISIONI
Federico Cirillo, direttore Island Records
Federico Cirillo, direttore Island Records

Federico Cirillo ha 35 anni ed è a capo di Island Records ovvero l'etichetta musicale leader in italiana. Quando Island diede la spinta principale alla trap era A&R della label, oggi ha una visione molto precisa, ovvero riuscire a fare cose interessanti, popolari che però non abbiano precursori nel panorama musicale. È la mission di Island, spiega a Fanpage, in una delle rare interviste che concede, cercare di portare novità nel panorama ed è quello che ha provato a fare al festival di sanremo che in questi ultimi anni, grazie al lavoro a braccetto tra direttori artistici ed etichette è tornato ad avere un ruolo centrale nell'industria musicale italiana: da Soldi di Mahmood, passando per Cenere di Lazza e quest'anno unendo le arie anime con artisti come Tony Effe e Dario Brunori (due dei cinque artisti con cui Island è andata al Festival).

Cirillo ha raccontato qual è la sua visione della musica e del mercato musicale italiano, cercando di sparigliare e spiegando che forse la città di Sanremo e il teatro Ariston non sono più così adatti a mantenere il Festival, che forse l'Eurovision potrebbe non andare direttamente a chi vince, ci ha raccontato l'inizio e l'evoluzione della trap e come fanno a convivere le varie anime in una sola etichetta.

Mi racconti Chi è Federico Cirillo e come è diventato Label Director di Island?

Federico Cirillo è un appassionato di musica, partiamo da questo presupposto. Ho studiato management pubblico in Statale a Milano e audio engineering in SAE, ex producer e dj, ho sempre avuto il sogno di vivere di musica, ho fatto tanta gavetta, tanti lavori. Sono entrato in Universal 10 anni fa, per pura casualità, avevo già la mia etichetta discografica indipendente, fondata nel 2011 con un amico, e a fine 2014 sono stato contattato da Stylophonic, Stefano Fontana, che mi disse: "Guarda, ho un amico, Mario Sala (attuale direttore di Emi) che sta cercando qualcuno che segua il reparto dance-elettronico in Italia e che possa svilupparlo, firmando anche qualche artista nuovo". Credimi, io ero totalmente ignorante al tempo, non sapevo che cosa fosse Universal, una major, ignoravo quel mondo. C'era anche una conoscenza totalmente diversa di questo mondo al tempo, ora esistono tanti web media che approfondiscono di più il dietro le quinte. Ho fatto il colloquio ed ho conosciuto alcuni dirigenti che per me sono diventati delle guide fondamentali per la mia crescita professionale come Massimo Battaglia. Sono entrato con la mia solita testa dura, ho provato a cambiare un po' di dinamiche interne stesse e dopo 8 anni sono diventato io stesso dirigente con il ruolo di managing director di Island Records. Era il 2022, dopo la bellissima vittoria di Blanco e Mahmood con Brividi a Sanremo.

Prima eri A&R, giusto?

Sì, prima A&R poi Head of A&R.

Tu e Island avete contribuito a ridefinire quello che era forse l'evento più grande, ma più polveroso d'Italia, ovvero Sanremo, svecchiandolo: Lazza è una tua idea, parlavi di Brividi, prima. Com'è stato vivere Sanremo da protagonista, prima con un Festival ancora legato a dinamiche da reality e per poi portarlo diventare il più importante evento di promozione in Italia?

L'ultimo Sanremo è stato quello con più artisti Island da quando è stata lanciata l'etichetta in Italia, nel 2018, non abbiamo mai avuto cinque concorrenti più due super ospiti: Rkomi, Brunori, Tony Effe, Shablo con Guè, Joshua e Tormento, Elodie, Mahmood e Jovanotti. Negli ultimi anni, soprattutto da Soldi di Mahmood, è cresciuto l'interesse, e la verità è che la macchina discografica, che sia Universal, Sony o Warner, ha contribuito tantissimo. Ti aggiungo che quest'ultimo anno l'abbiamo fatto proprio noi lo spettacolo musicale, i discografici e i management, imponendoci con idee coraggiose. Si dà sempre grande attenzione ai direttori artistici e sempre troppo poco si parla di chi le propone le scelte “azzardate” che hanno poi tolto la “polvere” come dici tu. Mahmood, Maneskin, Lazza, Geolier, Lucio Corsi, queste scelte ti portano ad essere al passo coi tempi.

L'Ariston può ancora contenere i nomi che hai fatto?

La Rai è una grande famiglia con la quale si lavora costantemente per quasi metà anno. Ahimè però il teatro, che rimane un pezzo di cuore, non è più compatibile con il livello (e il numero) degli artisti e dei loro entourage. Se si vuole garantire uno spettacolo di qualità che cresca sempre di più anno dopo anno serve un upgrade con standard superiori, soprattutto in termini di servizi.
Ciò nonostante quando sono all'Ariston mi sento come a casa.

Parliamo della città: da anni si parla del cambio, pensi che sia una strada percorribile? Sanremo ha ancora i mezzi per sostenere il peso del festival?

L’evento sposta numeri davvero grandi, coinvolgendo aziende di ogni settore. A mio avviso Sanremo è troppo piccola per sostenere l’attuale dimensione del festival. Inoltre i prezzi crescono anno dopo anno ma l’offerta in termini di hospitality rimane pressapoco sempre la stessa.

Altro argomento: credi che la formula che prevede che il vincitore del festival vada direttamente all'Eurovision sia giusta o potrebbe essere rivista?

Onestamente non funziona e sarebbe giusto creare un premio ad hoc con una giuria che vada a scegliere la canzone più adatta all’Eurovision, la canzone più adatta potrebbe anche combaciare con la vincitrice del festival. In questa ottica si darebbe la possibilità a tutta la filiera di immaginare proposte artistiche con ambizioni internazionali.

Come si costruisce il rapporto tra etichetta e Sanremo?

Tutto parte dalla presentazione degli artisti, dal far capire al direttore artistico quello che stai cercando di proporre, il valore dell'artista che stai proponendo e soprattutto cosa dice il mercato in questo momento rispetto a quello che magari loro conoscono. Noi facciamo proprio dell'unicità il nostro tratto distintivo, cioè se qualcosa è troppo uniforme a quello che viene già proposto, forse è la strada sbagliata.

In tanti si chiedono come avviene la selezione degli artisti al Festival. Cosa puoi raccontarmi della macchina che c'è dietro la proposta e la selezione dei Big a Sanremo?

Si inizia, solitamente, l'estate prima, tra giugno e luglio incontriamo il direttore artistico e facciamo ascoltare le proposte che abbiamo in testa. Ogni direttore artistico ha dei desiderata che magari non combaciano con quella che è la progettualità di artista, management e discografica. I desiderata del direttore artistico sono spesso dettati dalle esperienze pregresse "L'ho avuto tanti Sanremo fa, mi piacerebbe riaverlo". Poi più si va avanti, più fai ascoltare proposte, più spieghi qual è la concreta progettualità dell'artista e più provi a convincere il direttore artistico a sposare un progetto: c'è da dire che rimani sempre col cerino in mano fino all'ultimo giorno.

Sai che questa cosa dell'ultimo giorno col cerino in mano spesso viene messa in discussione?

Sì, da fuori tutto questo viene percepito come un grande schema che noi riusciamo a definire molto prima, ma non è vero. Ti racconto questo aneddoto: a dicembre scorso con tutto il team di Island ci siamo fatti una videocall di gruppo di domenica, mentre ero a pranzo dei miei genitori, per aspettare la lista definitiva dei nomi. Questo avveniva anche con Amadeus. Poi è ovvio che ci sono dei nomi sui quali ti senti più sicuro perché, lo dico fuori dai denti, dovresti essere un folle, secondo me, per non prendere alcuni nomi giganti della musica italiana. Soprattutto se ci sono dei buoni brani proposti. Poi le sorprese possono sempre capitare. La verità è che i direttori artistici non si espongono mai.

Federico Cirillo e Tony Effe a Sanremo 2025
Federico Cirillo e Tony Effe a Sanremo 2025

Però ogni anno un po' di nomi sono spoilerati: si guarda a chi deve uscire con l'album, ai concerti estivi, ai tour, ma qualcosa sicuramente filtra…

È vero, ma non ho nemmeno gradito tanto questa cosa, devo essere sincero, non è stato bello vedere tanti nomi "spoilerati", come se ci fossero delle soffiate che arrivano da qualche parte. Sono cosciente del fatto che tanti media parlano spesso con gli addetti lavori, con i discografici, perché il nostro settore è un'industria molto piccola comparata ad altre. Quindi ci sta che un giornalista si faccia dare l'indiscrezione, e poi nascono le indiscrezioni: se un giornalista viene a sapere che un discografico o un manager ha presentato Giorgia, Elodie, Lazza, Mengoni in mezzo ad altri nomi magari emergenti dà per scontato che quei nomi BIG vengano presi. Giorgia o Mengoni non sono nostri artisti però è per farti un esempio di artisti che con una bella canzone, se fossi il direttore artistico, dovresti prendere per forza. Giorgia è qualcosa di immenso e durante questo ultimo Sanremo l’ha proprio dimostrato, mia personale opinione. Tornando agli spoiler, ho visto tanti giornalisti rinomati cadere anche nelle bufale soprattutto sulla serata dei duetti, annunciando combinazioni che poi non si sono verificate.

Insomma, è normale che un direttore artistico non possa conoscere benissimo tutte le sfumature del mercato, e ci sta che si confronti con gli addetti ai lavori…

Guarda, è tutto molto più semplice e naturale, lo dico perché ho visto dei detrattori di alcune figure manageriali. Ho visto quello che è successo a Marta Donà e non l'ho per niente gradito. Credo che Marta sia una grande professionista di questo settore. È una delle persone che lavora di più a stretto contatto con i suoi artisti con l’obiettivo di creare carriere durature. Di professionisti come lei ne conosco e di esempi ne potrei fare tanti. Prima di Sanremo in tanti scommettevano su Olly, Tony Effe ed io lo dicevamo da mesi consci del fatto che avesse tutte le carte in regola e ci fosse un bel team di lavoro con lui, dal producer (Jvli) ai discografici fino ad arrivare al management. Vedere delle macchinazioni è stato brutto, se dovesse succedere a me o ad altri che conosco e reputo grandi professionisti la vivrei molto male, perché riduce il lavoro che facciamo a complottismo di bassa lega. Chiudo citando una frase di Lazza: "Lazza non sono solo io ma lo sono tutte le persone che mi circondano e lavorano al progetto".

Anche perché pensare che una sola persona abbia il potere di vincere Sanremo a scapito di etichette – come Island – e altri management è quantomeno sorprendente: Marta Donà è così potente da vincere su tutti?

Purtroppo questa dietrologia è qualcosa che esiste in tutto il mondo. Dietro ad una macchina come quella di Post Malone, di Sabrina Carpenter, di Taylor Swift esistono persone, persone che fanno questo di mestiere ad alti livelli con passione, dedizione e competenza. Ma ai leoni da tastiera con tanto tempo da perdere sul divano, mossi da giornalisti di bassa lega, piacciono le fanta-storie complottistiche.

Ma torniamo a te, tu sei andato a Sanremo anche con Tony Effe, arrivato al Festival con un'immagine diversa da quella che ci aspettavamo, nonostante ICON sia stato l'album più venduto del 2024. Come nasce l'idea di portare un artista dall'identità così forte con una veste così diversa?

Parto un po' dalla fine: la cosa che secondo me ha penalizzato questa scelta è stata la polemica scoppiata a dicembre. Ma in realtà l'idea di Damme ‘na mano nasce molto prima, in piena estate. Nasce da una chiacchierata che abbiamo avuto io, Davide Petrella, che è autore anche del brano, Tony ed Drillionaire, Diego Vettraino, che è il produttore: per noi Tony, oltre ad essere un artista con un carattere ben definito, è anche un personaggio molto forte, iconico. Ci piaceva arrivare con qualcosa di sorprendente, che avesse anche un sapore molto italiano. E quando abbiamo iniziato una ricerca, mirata soprattutto a creare diversi percorsi che avrebbe potuto seguire Tony da qui in avanti – anche per cercare di trovare nuove strade per esprimere se stesso – era uscita questa reference dello stornello romano. Tony, ovviamente, era amante del profilo di Califano, mentre Petrella ha tirato fuori Nino Manfredi e fa: "Ragazzi, ma vi immaginate se andiamo là con una stornellata à la Nino Manfredi?". E da lì poi è nato questo mostro di Damme ‘na mano perché ci sembrava proprio una cosa gagliarda da fare. Poi, ti dico, col senno di poi, siamo fieri della scelta fatta che sicuramente ci aprirà a diversi scenari per il futuro vicino e lontano.

È un addio alla trap?

No, assolutamente. Questo non vuol dire che la parte più trap e dura verrà abbandonata, anzi, ci dà solo uno step in più e un colore diverso.

E la polemica come ha influito?

Il problema è che la polemica che è scattata con le decisioni del sindaco di Roma a Capodanno hanno fatto sì che il ragazzo, l'artista, arrivasse sotto una tempesta di fuoco e più volte l'ha detto anche lui che ne ha sofferto, perché quella era la sua città ed essere trattato in questa maniera non è stato sicuramente bello. In più è arrivato a Sanremo accusato del "si vuole ripulire", ma non gliene fregava assolutamente niente. Tony l'ha dimostrato anche nelle interviste che quello è il suo personaggio, lui porta avanti un'idea ed è libero di poterla esprimere musicalmente come vuole. Se si fosse fatta una ricerca musicale alcuni si sarebbero resi conto che la strada “Narcos Romana” era già affine però poi è emerso tutt'altro e quindi lui ha affrontato Sanremo come l'uomo da abbattere, mettiamola così e questo ha influito indubbiamente.

Però voi siete anche coloro a cui tutti possono dare la colpa di aver sdoganato la Trap in Italia. Quante volte vi hanno chiesto Sfera in gara?

Eh figurati, chiunque. Come con Marra. Poi ci sono altri nomi che mi sono stati chiesti. Ti racconto questo aneddoto, dopo l'uscita di Bon Ton, il brano di Lazza Blanco e Sfera con Drillionaire mi chiamò Amadeus e mi disse "Ma Blanco Lazza e Sfera a Sanremo?" e gli risposi che era una cosa che non si sarebbe potuta mai verificare, pura fantascienza.

Federico Cirillo con Jovanotti
Federico Cirillo con Jovanotti

Festival no, però la Trap è un fenomeno enorme, come ve ne accorgeste?

Sfera con tutta la corrente trap esplode nel 2016. Siamo stati i primi a credere in quella scena, grazie anche alla partnership storica con Thaurus. Da un lato c’erano gli artisti, dall’altro c’erano gli addetti ai lavori: Shablo, Buccolieri, Pizzoccolo, Pesce e io umile operaio. Nel momento in cui vennero fondate le etichette in Universal – parlo di Island, EMI/Virgin, Polydor/Capitol -, venivamo dati come gli sfigati, quelli che non avevamo i big, non avevamo i Vasco, i Zucchero, i Jovanotti, i big storici, insomma, ma avevamo tutti questi ragazzi.

Poi le cose sono velocemente cambiate.

Senza dubbio, risultati alla mano, oggi Island è la label numero uno in Italia. Nel tempo i progetti trap sono diventati crossover pop in maniera totalmente naturale. Siamo sempre al fianco degli artisti anche su temi come la censura e sulla libertà di espressione. Riuscire a garantire la forma originale dell’opera proprio come l’ha concepita l'artista per dare uno specchio reale di quello che è la società che ci circonda, oggi come ieri, è la nostra mission.

C'è stato qualcosa che ha cambiato la vita di Island?

Onestamente io non imputo a niente e nessuno il cambiamento della vita dell'etichetta. In Island c'è sempre stato Brunori come Sfera, Elisa come Lazza, c'è Tropico come Rkomi. La forza della direzione artistica è rinchiusa nelle sue due storiche anime: quella un po' più alternative pop e l'anima un po' più urban. La “fortuna” di Island non è merito di un singolo artista. Negli ultimi 7 anni (quindi dal 2018, anno della fondazione) cinque artisti Island differenti hanno avuto l’album più venduto dell’anno.

Nel suo libro Paola Zukar racconta come Universal Italia, nel 2006, fosse l'unica al mondo a non avere una sezione rap e Pascal Negre, all'epoca appena approdato alla direzione, decise di firmare Fabri Fibra e sappiamo cosa è successo. C'è qualcosa, oggi, che secondo te Island non ha e su cui si dovrebbe puntare?

Noi stiamo lavorando tanto a due microgeneri. Uno è sicuramente l’RNB made in Italy. Sono un paio di anni che ci crediamo e lavoriamo nel sottobosco con ragazzi emergenti che secondo me faranno la differenza, uno dei quali è Joshua, che pubblicherà un album più avanti. L'Italia, penso a quando ero ragazzino, ha avuto già dei semi di R&B e Soul: ogni volta che penso all'R&B italiano, per esempio, penso ad Alex Baroni.

E l'altro microgenere?

È la corrente alternative, quello che molti in Italia definiscono “indie”. Abbiamo una serie di artisti come Chiello, Giovanni Truppi, Matteo Alieno o GiovanniTiAmo… Chiello ad esempio è un cantautore, fa dei dischi che non scendono a compromessi e ci crediamo tanto. Sono due generi che probabilmente non daranno risultati immediati ma sono sicuro che grazie alla persistenza si riusciranno a perforare il mercato.

A proposito di cantautori, Brunori è uno in cui avete creduto da un po' di anni, prima che diventasse il fenomeno che oggi è.

Sì, Dario è un artista Island da tantissimo tempo. Ti racconto un aneddoto, forse l'ho raccontato anche in conferenza stampa a Sanremo: io, insieme a Zanobini (suo manager, ndr) l'ho convinto a andare a Sanremo, perché lui non voleva andarci. Durante la finale gli ho detto: "Guarda Dario devi rimanere qui, la Rai mi sta dicendo che devi rimanere in zona per la parte finale della gara". E lui fa: "Ma come Fede, ma non è che ci danno qualche premio? Ma io neanche ci volevo venire, è colpa tua". Per convincerlo a partecipare ho fatto un viaggio a Lamezia Terme, poi un'ora e mezza di macchina per raggiungerlo nell'entroterra cosentino, forse pure di più, perché avevamo questa canzone bellissima, L'albero delle noci, e continuavo a dirgli: "Guarda, secondo me c'è un palco perfetto per quella canzone, ed è il palco di Sanremo. Tutta l'Italia, pure le persone che non ti conoscono ancora, deve sapere che musica facciamo". Ecco, forse l'Italia nazional-popolare non l'aveva visto arrivare, ma lui riempiva già i palazzetti ampiamente e i dischi andavano già benissimo, anche senza Sanremo. Ecco, lì secondo me deve spuntare il lavoro del discografico che deve essere in grado di dire, a un certo momento della carriera: "Ok, è il momento giusto per essere riconosciuti a livello nazionale. Hai fatto il tuo, adesso meriti di avere quel riconoscimento ulteriore".

Vero, Brunori è un artista con un bel pubblico, ma con un potenziale ancora maggiore…

Tanti non lo conoscevano prima di Sanremo, non sapevano che musica facesse, lo stanno scoprendo adesso. Ti dico che quello è stato forse il momento più bello di tutto il mio Sanremo, vedere Dario crescere così tanto e arrivare a tanti. Era già scritto, per quanto mi riguarda, sapevo che sarebbe andata così.

Prima di Sanremo 2026 a cui immagino stiate già lavorando, c'è l'estate, che è un altro dei segmenti fondamentali della musica italiana, no?

Sì, dal lunedì dopo il Festival pensi agli estivi e sull'estate ci si diverte tantissimo. Questa cosa, detta così, se uno la legge tende a pensare: "Oddio, il solito discografico!", ma l'estate è proprio terra franca, dove puoi fare quello che ti pare perché è il momento in cui l'ascoltatore vuole soltanto divertirsi, ha bisogno di leggerezza.

Qual è il peso vero della musica italiana all'estero in questo momento?

Guarda, noi abbiamo avuto degli exploit abbastanza importanti con Soldi di Mahmood che per poco non arrivava addirittura al primo posto all'Eurovision, lui ha un pubblico a livello internazionale incredibile e le collaborazioni parlano chiaro: se se vai a vedere chi lo segue su Instagram ti spaventi, ci sono artisti di tutto il mondo, ma veramente big, cioè da Dua Lipa a Maluma o Angele, che è la top artist belga francese. Io e Stefano Settepani (suo manager, ndr) ci riflettiamo spesso. Detto ciò, secondo me non è ancora arrivato il momento di picco massimo o meglio non c’è stato ancora un vero e proprio exploit di un brano italiano a livello internazionale, la barriera linguistica va abbattuta in qualche modo. Ti confesso che è uno degli obiettivi che vorrei raggiungere prima di smettere completamente di fare questo lavoro. L'interesse c'è, basti vedere quello che ha combinato Tommy Cash, quest'anno, l'Italia è motivo di interesse da parte di tutto il mondo, bisogna soltanto trovare la canzone giusta.

58 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views