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Fausto Paravidino ci racconta “Exit” (VIDEO INTERVISTA)

Il drammaturgo, regista e attore genovese Fausto Paravidino ci racconta il suo ultimo spettacolo, “Exit” in scena fino al 6 aprile al Piccolo Bellini di Napoli. La commedia ispirata a “E la notte canta” di Jon Fosse racconta le vicende di quattro personaggi intrecciando registro comico e drammatico.
A cura di Andrea Esposito
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Due anni fa il critico Rodolfo Di Giammarco accostò, con i dovuti distinguo, il linguaggio di Fausto Paravidino a quello di Natalia Ginzburg. In effetti, per quanto possa sembrare forte il parallelismo, i testi dell’autore genovese si distinguono per l’utilizzo di un “lessico familiare”, un linguaggio semplice e diretto che attinge al parlato e neutralizza introspezioni psicologiche e sottotesti: tutto è condensato nelle parole "dette" in scena dagli attori e nei tic cuciti addosso ai personaggi.

Gli esordi

I premi

Libri e traduzioni

Cinema e Tv

Exit

Gli esordi

Fin dall’età di quattordici anni Paravidino frequenta il teatro attraverso l’associazione culturale “La Soffitta” di Acqui Terme. Dal 1990 al 1995 recita in molti spettacoli della compagnia tra cui “Le nozze dei piccoli borghesi” un testo “difficile” e poco noto di Bertolt Brecht, “Grossenase” uno spettacolo sul teatro dell’assurdo, basato sui testi di Karl Valentin, "Appuntamento in nero" di Israel Horowitz e "In alto mare" di Slawomir. Tra il 1995 e il 1996 si sposta prima a Genova per frequantare la scuola del Teatro Stabile che subito abbandona e poi a Roma dove fonda con gli amici Giampiero Rappa, Andrea Di Casa, Filippo Dini e Sergio Grossini la compagnia Gloriababbi Teatro di cui così racconta la nascita: “Ai tempi della disoccupazione romana frequentavo spesso Piazza Santa Maria in Trastevere. Lì una sera abbiamo incontrato un barbone che con grande attenzione si è messo a costruire davanti ai nostri occhi un cerchio per terra, con dei barattoli di latta. A quel punto gli abbiamo chiesto: “Cos’è?” e ci siamo sentiti rispondere: “È un Gloriababbi. Beh? Non ci credete? C’è scritto qui.” E dalla tasca è uscito un foglietto sporco, sgualcito. C’era scritto: Gloria Baby. Calzature per bambini. Di questa storia ci ha affascinato soprattutto l’idea di spazio dentro a un altro spazio, che ha importanza e non si sa per chi”.

I premi

I primi anni romani e i lavori con Gloriababbi Teatro sono quelli in cui Paravidino inizia ad essere riconosciuto per il suo lavoro di drammaturgo e attore. Nel 1998 il suo “Gabriele”, scritto con Giampiero Rappa è vincitore della “Rassegna della Drammaturgia Emergente” mentre l’anno successivo con “2 Fratelli” vincerà il premio "Tondelli" di Riccione Teatro. Ma è dai primi anni 2000 che Paravidino inizierà a ricevere riconoscimenti importanti come l’Ubu, per migliore novità italiana 2002, sempre per il testo “2 Fratelli”, il Premio Gassman nel 2004 per “Natura morta in un fosso” e ancora l’Ubu con la traduzione di “La chiusa” di Conor McPherson.

Libri e traduzioni

Il 2002 è un anno molto importante per la sua carriera, infatti, dopo il conseguimento del Premio Ubu per “2 Fratelli”, Franco Quadri, ideatore del Premio e direttore dell’omonima casa editrice, pubblica il volume “Teatro” in cui sono raccolti “Gabriele”, “2 Fratelli”, “La malattia della famiglia M”, “Natura morta in un fosso”, “Genova 01” e “Noccioline” preceduti da un’introduzione dello stesso Quadri che, oltre a riassumere molto bene lo stile dell’autore genovese, lo dipinge come una delle più interessanti promesse della drammaturgia italiana contemporanea: “C’era una volta un giovane scrittore molto attento ai comportamenti dei suoi simili e tentato dal gusto dell'improvvisazione, che mirava a scrivere ogni volta un testo di diverso genere, e ci sapeva fare nel reinventare mentalmente le molte bizze dei linguaggi. I testi gli piaceva pensarli con un taglio da sceneggiatura, spezzati in sequenze secondarie, almeno nella fase evolutiva, rispetto ai nodi dell'azione, scene in cui si chiacchera di nulla e non si dice quel che più preme…”. Ma Paravidino è molto attivo anche come traduttore di dramaturgia anglosassone, classica e contemporanea di cui ricordiamo: Di William Shakespeare, “Enrico V, “Sogno di una notte di mezza estate”, “Riccardo III” e “Tutto è bene quel che finisce bene”; “Il bicchiere della staffa” di Harold Pinter, “Il tenente di Inishmore” di Martin Mcdonagh e il già citato “La chiusa” di Conor McPherson.

Cinema e Tv

Numerose sono le incursioni di Paravidino nel cinema e nella televisione. Nel 2003 interpreta ben due film diretti entrambi da Guido Chiesa per Fandango: “Lavorare con lentezza” (il personaggio di Vittorio) e “Sono stati loro: 48 ore a Novi Ligure”. Nello stesso anno compare, inoltre, nella fiction “Ultima pallottola” al fianco di Giulio Scarpati, diretto da Michele Soavi. Due anni dopo, nel 2005, scrive, interpreta e dirige con Iris Fusetti e Carlo Orlando il film “Texas: provincia italiana al confine con il Messico”, presentato alla Mostra del cinema di Venezia. Nello stesso anno interpreta il tenente Gualteri nella miniserie Rai “Cefalonia” e il ruolo di Luigi Reale ne “Il covo di Teresa”, episodio della fiction Rai Crimini diretto da Stefano Sollima su soggetto di Diego De Silva. Nel 2007, gira il documentario “Genova 01” che viene presentato in anteprima al Bellaria Film Festival e interpreta due film: “Signorinaeffe”, per la regia di Wilma Labate e “Amore che vieni, amore che vai” diretto da Daniele Costantini. Nel 2009, partecipa a due importanti fiction per Sky: “Romanzo Criminale” col soprannome di “Ranocchia” e “Moana” dove interpreta il personaggio del produttore Riccardo Schicchi.

Exit

Giunto al suo terzo anno di tournée lo spettacolo “Exit” racconta la storia di quattro personaggi senza nome che si distinguono per lettera A, B, C, D come elementi di un’espressione matematica. “Il primo atto è così: loro un po’ si parlano e un po’ parlano al pubblico (che al momento di scrivere ero solo io) – racconta Paravidino – Poi c’è un altro atto tutto diverso. La loro storia non funziona più e allora quei due cercano se stessi fuori di casa, così facciamo la conoscenza con altri due personaggi. Terzo atto: resa dei conti.
Resa dei conti non nel senso di vendette, nel senso drammaturgico, i conti devono tornare, quel che s’è seminato si deve raccogliere, se c’è un fucile in scena prima della fine sparerà… quelle cose lì. Qui fucili non ce n’è, ci sono i calzini, ci sono un sacco di gelati, c’è la politica, il vino, Woody Allen, l’Iraq, i figli, il non averne”. Lo spettacolo, ispirato nel motivo iniziale alla pièce “E la notte canta” del norvegese Jon Fosse, racconta attraverso un linguaggio quotidiano i cortocircuiti di una coppia attraverso una finzione scenica volutamente ostentata che punta allo straniamento e alla alienazione.

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