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Fabio Deotto: “Il cambiamento climatico è già qua, per uscirne dovremo cambiare tutto”

È l’ennesima stagione di incendi estivi che hanno colpito l’Italia e il mondo intero, a cui si aggiungono eventi climatici sempre più improvvisi e catastrofici. Prima dell’uscita del rapporto ICPP, lo scienziato e giornalista Fabio Deotto aveva affrontato gli effetti del cambiamento climatico nel libro “L’altro mondo” e a Fanpage.it ha spiegato cosa succederà se non prendiamo decisioni drastiche.
A cura di Francesco Raiola
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Un uomo guarda un incendio in California (ph David McNew/Getty Images)
Un uomo guarda un incendio in California (ph David McNew/Getty Images)

È l'ennesima stagione di incendi estivi che hanno colpito l'Italia e il mondo intero, a cui si aggiungono eventi climatici sempre più improvvisi e catastrofici, come hanno dimostrato le alluvioni in Germania. Il rapporto dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) pubblicato qualche giorno fa dice chiaramente, tra le altre cose, che l'aumento delle temperature creerà conseguenze gravi per il futuro del pianeta e che se non interveniamo a livello globale dobbiamo aspettarci eventi climatici sempre più imprevisti e catastrofici. Prima della lettura del rapporto IPCC, però, alcune di queste cose erano state scritte da scienziati e giornalisti scientifici e, per esempio, affrontati in un libro dello scienziato e giornalista Fabio Deotto, "L'altro mondo. La vita in un pianeta che cambia" (Bompiani). Deotto ha girato il mondo per cercare di capire in che modo, materialmente, la crisi climatica sta impattando sulle persone: dalle Maldive a Miami, passando per la Lapponia, i cambiamenti climatici stanno incidendo ancora una volta sullo stile di vita di milioni di persone, accentuando anche quelle che sono problematiche come la migrazione, il divario tra ricchi e poveri e la discriminazione. Deotto parla con esperti, anche con scettici, intervista le persone che vivono sulla loro pelle questi cambiamenti, analizza storicamente il fenomeno e cerca di dare al lettore una lettura ampia – politica, psicologica, tecnologica -, che è quella che bisogna avere quando si parla di clima. Quello che fa "L'altro mondo", però, lo riassume benissimo lo scrittore Giorgio Fontana nella quarta di copertina, quando scrive che questo libro ha "la capacità di incidere sulle nostre categorie cognitive".

Nel tuo libro metti le cose in chiaro sin da subito: anche rimettendoci in riga comunque le problematiche ambientali non si interromperebbero. Da dove sei partito per scrivere questo libro? Qual era l’idea di partenza e come – e se – è in qualche modo cambiata o si è modificata nella stesura.

L’idea di partenza era di andare a vedere con i miei occhi alcuni luoghi in cui gli effetti della crisi climatica sulla vita umana fossero già visibili. Siamo ancora abituati a considerare il riscaldamento globale come un problema delle generazioni future, mentre è ormai inequivocabilmente attuale. Una volta completate le tappe del mio viaggio, però, mi sono reso conto che non mi bastava mostrare come il mondo fosse già cambiato, volevo anche capire perché ci risulti così difficile prendere atto di questo cambiamento.

“È troppo tardi”, “Siamo agli sgoccioli”, “C’è tempo per cambiare il corso delle cose”. Qual è la situazione secondo te?

Tutte e tre queste frasi sono vere. Il primo volume del rapporto IPCC pubblicato lo scorso 9 agosto inquadra bene la complessità del problema: da un certo punto di vista è troppo tardi, perché alcuni punti di non ritorno sono stati superati e alcuni cambiamenti (come l’innalzamento del livello delle acque e l’acidificazione degli oceani) sono ormai irreversibili; ma siamo ancora in tempo a mantenere il riscaldamento globale al di sotto degli 1,5 gradi rispetto all’epoca pre-industriale, un obiettivo fondamentale se vogliamo evitare scenari catastrofici, ma per fare in modo che non si arrivi a superare anche questo punto di non ritorno c’è bisogno di cambiamenti drastici, perché sì, “siamo agli sgoccioli”.

Il libro nasce prima della pandemia. Con questa abbiamo capito quanto la cura nei confronti della natura sia intrinsecamente intrecciata anche con la nostra sopravvivenza. Che impatto credi che questi due anni possano avere anche sui Governi?

Nel 2020 abbiamo registrato una riduzione di emissioni del 7%, il che dimostra come un cambiamento drastico nel modo di vivere e produrre abbia ripercussioni tangibili sulla quantità di gas serra che immettiamo nell’atmosfera. Il problema è che stiamo già tornando al regime pre-pandemia. Secondo le previsioni nel 2021 ci sarà un aumento della domande di energia paragonabile a quello registrato nel 2010, a causa della ripresa post-crisi economica. Il rischio è che invece di imparare qualcosa da questi anni di rallentamento, cercheremo di ritornare ai ritmi precedenti puntando ancora di più sul consumo di risorse.

E sulla psiche, invece? L’ansia climatica potrebbe essere un surplus all’ansia che questo anno e mezzo di Covid ha fatto aumentare nelle persone?

È probabile. Per quanto sia presto per analizzare le ricadute psicologiche della pandemia, è chiaro che si tratta di un evento che ha cambiato il modo in cui abitiamo questo mondo. Qualcosa di simile sta succedendo con l’emergenza climatica, e non solo perché il continuo susseguirsi di eventi estremi e di notizie allarmanti incida su ansia e depressione, ma anche perché il mondo in cui viviamo ci appare sempre meno “ospitale”, sempre meno in grado di fornire conforto e sicurezza.

A leggere alcune cose che scrivi e che hanno a che fare con la nostra psicologia, l’idea che possiamo veramente invertire il percorso sembra quasi impossibile. Penso, per esempio, alla resistenza che abbiamo ai cambiamenti. Credi veramente che si possa fare qualcosa di concreto?

Lo credo eccome. Il fatto che abbiamo una serie di zavorre cognitive che ci rendono difficile affrontare questo problema non significa che non possiamo prenderne atto e agire di conseguenza. Il problema semmai è che c’è chi fa leva su queste zavorre cognitive per diffondere l’idea che il problema non sia così urgente, o che non sia del tutto imputabile all’attività umana, o che ci siano soluzioni diverse da una drastica e radicale riduzione delle emissioni. Chi ha il potere di cambiare le cose ha a disposizione tutte le informazioni necessarie a inquadrare il problema (l’IPCC non a caso pubblica anche un “sommario per i decisori politici”) e ad agire di conseguenza. Se il problema non viene affrontato non è colpa delle nostre tare cognitive, ma di una precisa volontà politica.

C’è un altro mito da sfatare, ovvero che cambiare stile di vita in maniera individuale sia sostanziale. Serve, certamente, ma il problema sono le grandi aziende, scrivi. Quanto è stato fatto in questi anni?

Il problema sono le aziende, i governi e, in definitiva, l’intero sistema economico e produttivo, che è imperniato sulla crescita e il profitto a tutti i costi. In questi anni è stato fatto molto poco, e siamo purtroppo lontani dal cambio di paradigma di cui abbiamo bisogno. Il punto è che questa volta non basterà limare gli angoli, o introdurre riforme, è necessario ripensare l’intero sistema, a partire dall’aspetto monetario, che per come funziona oggi porta in sé un imperativo di crescita insostenibile.

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Così come è da sfatare l’idea che si possa premere un pulsante per cambiare tutto, quando invece sono processi anche molto lenti che potrebbero non dare un cambiamento netto visibile immediatamente. Quanto pesa questo sulle decisioni in materia?

È questo il punto, ci troviamo di fronte a un problema così interconnesso e stratificato che supera le nostre capacità critiche. Dobbiamo accettare che non “vedremo” mai il cambiamento climatico nella sua interezza, ma solo delle manifestazioni. La buona notizia è che abbiamo una comunità scientifica che lavora da decenni su questo problema e ha dimostrato in modo inequivocabile quali siano le cause. Sappiamo che l’unico modo per contenere un problema già esistente è ridurre le emissioni e predisporre soluzioni di adattamento per conviverci. Non esistono bacchette magiche, non c’è una prospettiva tecnologica che possa consentirci di continuare a produrre e consumare come abbiamo fatto nell’ultimo secolo. È bene cominciare a prenderne atto.

Se dovessi fare un elenco, quali sono gli effetti più visibili del cambiamento climatico e di questo mondo che cambia e un po’ precipita?

Un simile elenco potrebbe rivelarsi infinito, tante sono varie le ricadute di questo problema. Dobbiamo ricordare che il riscaldamento globale è un “moltiplicatore di rischi”, nel senso che spesso va ad aggravare problemi già esistenti. In ordine sparso: aumento dei livelli degli oceani, acidificazione degli oceani, desertificazione, erosione costiera, sbiancamento delle barriere coralline, aumento della frequenza e dell’intensità di fenomeni metereologici estremi, scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari, aumento dell’incorrere di siccità e ondate di calore, etc.

La crisi climatica è anche cartina di tornasole di cose che a volte difficilmente leghiamo a essa: la povertà, la discriminazione (i decisori sono spesso bianchi, per esempio) e ovviamente la migrazione climatica. Ci specifichi le complessità di questi punti?

Come dicevo il cambiamento climatico è un moltiplicatori di rischi, e dunque molte delle iniquità che registriamo oggi sono destinate a peggiorare nell’immediato futuro. Per adattarsi a un mondo in cambiamento sarà necessario investire risorse, e non tutti sono nella posizione di poterlo fare. Un caso emblematico è quello che ho trovato a Miami, dove le persone più abbienti investono fortune per riparare le proprie abitazioni dalle mareggiate e dagli uragani, e nel frattempo investono nelle aree più elevate (che sono anche le più povere), per assicurarsi un posto all’asciutto per il futuro. Il risultato è che in quelle aree gli affitti stanno crescendo e sempre più persone finiscono per strada.

Un’altra cosa che mi ha colpito è l’importanza che ha il vocabolario che usiamo. A dimostrazione di come le parole formano il pensiero e siano importanti (per citare il solito Moretti)… in che modo la parola aiuta la lotta al cambiamento climatico?

Il modo in cui parliamo determina il modo in cui pensiamo, e di fronte a un problema così difficile da concepire nella sua complessità le parole possono aiutarci a rendere più ampio e profondo per indicare quello spaesamento dovuto al fatto che un ambiente familiare cambia al punto da non riuscire a fornire più riparo e conforto a chi ci vive, “la nostalgia di casa quando si è a casa”. Ma penso anche ai nuovi termini con cui inquadriamo il cambiamento climatico, come “emergenza climatica” e “crisi climatica”, che aiutano a restituire la portata trasversale della questione.

Negli ultimi giorni un quotidiano nazionale ha scritto, recensendo un libro, che l’apocalisse di cui si parla non c’è. Sul clima, come sul vaccino, per esempio, esiste un fronte ampio negazionista o almeno riduzionista, e c’è chi dice che la Natura, alla fine, si adatta. Ci sono elementi che non sono del tutto errati, secondo te, in queste posizioni?

Credo sia una posizione scellerata, dovuta a un triste connubio di ignoranza e malafede. Ma al di là del singolo articolo, la differenza rispetto al negazionismo sui vaccini, è che il negazionismo climatico spesso viene diffuso da persone che conoscono bene la realtà del problema, e che consapevolmente inquinano il discorso in modo strumentale.

Quanto e perché c’entra il cambiamento climatico con questa ennesima stagione di incendi che stiamo vivendo in Italia? Senza contare quello che abbiamo visto, tra le altre cose tra Canada, Germania e Siberia…

Che gli incendi siano o meno dolosi, la loro estensione e la velocità di propagazione sono esacerbate dal cambiamento climatico. L’aumento delle temperature porta a una maggiore presenza di vegetazione secca, l’allungamento dei periodi piovosi invernali porta a un accumulo di vegetazione (e dunque di combustibile), a questo si aggiunge una scarsa gestione boschiva che peggiora una situazione già di per sé drammatica. Dicevamo prima che il cambiamento climatico è un moltiplicatore di rischi, ecco: gli incendi estivi sono un caso esemplare.

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