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È morto Eugenio Scalfari, giornalista e fondatore di Repubblica, aveva 98 anni

Eugenio Scalfari è morto oggi all’età di 98 anni: addio allo scrittore e decano del giornalismo italiano, fondatore di Repubblica e dell’Espresso. Le tappe della sua carriera e l’esperienza politica.
A cura di Antonio Palma
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È morto Eugenio Scalfari. Il decano del giornalismo italiano si è spento oggi all'età di 98 anni. A darne notizia è Repubblica. Con la morte Di Scalfari il giornalismo italiano perde una delle sue figure di maggior rilievo in assoluto. Nato a Civitavecchia il 6 aprile del 1924, Scalfari aveva intrapreso la carriera di giornalista e scrittore fin dalla giovinezza, quando era ancora studente, ma sicuramente il suo nome resterà indissolubilmente legato ai due giornali che ha fondato: il settimanale l'Espresso, nel 1955 insieme ad altri, e il quotidiano Repubblica nel 1976. Aveva cominciato la sua carriera in epoca fascista – periodo di cui dopo parlerà e scriverà molto come sottolinea Simonetta Fiori nel suo ricordo su Repubblica – scrivendo poi per il Mondo di Pannunzio e L'Europeo.

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Portò L'Espresso a diventare un fenomeno e una rivoluzione nel mondo del giornalismo italiano, e lo stesso fece anche con La Repubblica fondata nel 1976: "Insieme a Carlo Caracciolo, cercai dunque di realizzare un giornale che interpretasse le nuove esigenze della società civile. Non una «casa» di sinistra – come si è detto spesso –, ma un luogo abitato da persone di sinistra capaci di raccontare, con un linguaggio nuovo, le diseguaglianze e le ingiustizie che affliggevano l’Italia" disse ad Antonio Gnoli e Francesco Merlo nel libro confessione "Grand Hotel Scalfari". Dopo essere rimasto alla direzione del giornale per decenni portandolo ai vertici e facendogli guadagnare il primato di quotidiano più venduto d’Italia, Eugenio Scalfari aveva lasciato il timone negli anni '90 ma era rimasto tra i maggiori editorialisti italiani continuando a scrivere anche ben oltre i novanta anni. I lettori di Repubblica, infatti, per anni hanno potuto leggere la sua opinione sul Paese e i suoi cambiamenti ogni domenica, fino quasi alla fine.

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Insignito di prestigiose onorificenze, quali quella di cavaliere di Gran Croce della Repubblica italiana (1996) e di chevalier de la Légion d'honneur (1999), aveva avuto anche una parentesi politica prima tra i fondatori del Partito radicale, di cui ricoprì la carica di vicesegretario nazionale dal '58 al '63, e poi come Deputato per il Partito socialista italiano dal 1968 al 1972. Scalfari è stato senza dubbio uno degli intellettuali più influenti del Paese, anche grazie al megafono giornalistico che ha avuto, e nel libro intervista citato ha anche parlato della sua idea di morte: "Non voglio prediche sull’aldilà, mi rifiuto di immaginare il paradiso come un ricongiungimento felice tra l’anima e il corpo. Non c’è che il caos oltre la mia vita; a essa resto ancorato consapevole che non mi abbia risparmiato nulla dei giorni felici e di quelli dolorosi. I soli paradisi e inferni che io conosca abitano in questo mondo. So che la fine del mio viaggio non è la morte; la fine del viaggio è stare su quella sponda mentre il corpo si allontana".

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La vita privata è stata caratterizzata dal lungo matrimonio con la figlia del giornalista Giulio De Benedetti, Simonetta, morta nel 2006, dalla quale ha avuto le due figlie Enrica e Donata. Laureatosi in giurisprudenza, Eugenio Scalfari nel 1950 iniziò la carriera giornalistica come collaboratore de Il Mondo e de L'Europeo. La svolta però durante la direzione de L'Espresso (1963-68), prima di passare a Repubblica che diresse fino al 1996 restandone poi direttore onorario ed editorialista. A salutare Scalfari anche Papa Francesco: "Papa Francesco ha appreso con dolore della scomparsa del suo amico, Eugenio Scalfari. Conserva con affetto la memoria degli incontri – e delle dense conversazioni sulle domande ultime dell'uomo – avute con lui nel corso degli anni e affida nella preghiera la sua anima al Signore, perché lo accolga e consoli quanti gli erano vicini" come ha riferito all'ANSA il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni.

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Tra le sue pubblicazioni, L'autunno della Repubblica (1969); Razza padrona (1974, in collab. con G. Turani); Interviste ai potenti (1979);  L'anno di Craxi (1984);  Intervista ai potenti (1991); Incontro con io (1994);  l'autobiografia L'uomo che non credeva in Dio (2008); e i due ultimi L'ora del blu e il saggio Il Dio unico e la società moderna, entrambi nel 2019.

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