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Eugenio Montale: quarant’anni fa il Nobel per la letteratura

Sono trascorsi quarant’anni da quando, nel 1975, Eugenio Montale riceveva il premio Nobel per la letteratura, e oggi la Liguria lo ricorda con un Parco Letterario a suo nome. Montale è stato uno degli intellettuali più rappresentativi del Novecento, perché attraverso le sue poesie ha indagato a fondo la più intima essenza dell’essere uomini e la possibilità stessa di “fare poesia”: a quarant’anni di distanza dal Nobel, un discorso ancora profondamente attuale.
A cura di Federica D'Alfonso
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Nel 1975 Eugenio Montale riceve il Nobel per la letteratura, "per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni". La poesia nasce spontaneamente per ogni uomo, diceva Montale, come "i funghi nati spontaneamente in un bosco" che vengono raccolti e poi mangiati: perché essa non è altro che la condizione esistenziale primaria e più autentica di ogni essere umano. Montale nasce a Genova nel 1896, e trascorre gran parte della sua vita a Monterosso, presso quella riviera ligure che farà da sfondo, reale e idealizzato, di quasi tutte le sue poesie: quello stesso paesaggio che oggi, proprio in occasione del quarantennale del Nobel, viene trasformato in Parco Letterario in memoria del grande poeta.

È ancora possibile la poesia?

Nel 1925, mentre firma il manifesto antifascista di Croce, Montale pubblica anche il suo primo libro "Ossi di seppia": inizia a scrivere poesie nello stesso momento in cui gli intellettuali si trovano a dover fare i conti con una Storia che entra violentemente nelle pieghe più nascoste tanto della società quanto dell'interiorità umana. Ma la poesia di Montale è viva, scavalca i falsi idealismi e si fa oggetto, come quei relitti che il mare abbandona sulla spiaggia, gusci vuoti che le onde portano a riva: i poeti non possono dare risposte, e le poesie restano frammenti di un discorso sottinteso approdando alla riva del mare come per caso, frutto di momentanee illuminazioni.

Il paesaggio della sua Liguria è sempre presente, luogo dove la drammatica rottura tra individuo e mondo, la difficoltà di conciliare la vita con il bisogno di verità e la dura consapevolezza della precarietà della condizione umana si concretizzano in immagini. In questo particolare momento, la poesia è possibile? Si, perché è necessaria per quanto evanescente, a rompere quelle catene che avvolgono il mondo, le apparenze, per ristabilire un corretto rapporto con la realtà.

"La poesia è una delle tante possibili positività della vita. Non credo che un poeta stia più in alto di un altr'uomo che veramente esista, che sia qualcuno. Un poeta dunque non deve rinunziare alla vita. È la vita che s'incarica di sfuggirgli". Anche quando la guerra stessa, con le sue brutture e assurdità, diviene condizione esistenziale primaria dell'umanità la poesia di Montale non cessa di interrogarsi, con ancora più inquietudine. Scompare il paesaggio lirico ligure, e irrompe la sconvolgente e brutale realtà: quella storica e politica dell'insensatezza umana. Ma la poesia è sempre presente, possibile, doverosa

E a Stoccolma, quel 12 dicembre 1975, Montale torna a rimettere in gioco ancora una volta la possibilità esistenziale del poeta, in un mondo che nel frattempo è profondamente cambiato, massificato, spersonalizzato.

La poesia, ma tutto il mondo dell'espressione artistica o sedicente tale, è entrato in una crisi che è strettamente legata alla condizione umana, al nostro esistere di esseri umani, alla nostra certezza o illusione di crederci esseri privilegiati, i soli che si credono padroni della loro sorte e depositari di un destino che nessun'altra creatura vivente può vantare. Inutile dunque chiedersi quale sarà il destino delle arti. È come chiedersi se l’uomo di domani, di un domani magari lontanissimo, potrà risolvere le tragiche contraddizioni in cui si dibatte fin dal primo giorno della Creazione (e se di un tale giorno, che può essere un’epoca sterminata, possa ancora parlarsi).

Anche dopo il Nobel, Montale ha continuato ad essere intellettuale schivo e distaccato, tanto nella vita quanto nelle opere, che non ha mai amato rivestirsi del titolo di "poeta", considerandosi invece "un uomo comune che scrive solo per se stesso". È il 12 dicembre 1975 quando Montale accetta il Nobel e in quell'occasione pone il difficile interrogativo, con un lungo discorso critico, una profonda riflessione sulla società massificata e sull'uomo sradicato da se stesso, che non cessa di essere attuale nemmeno dopo quarant'anni.

Un Parco Letterario per Eugenio Montale

(..) per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.

Presso Monterosso si trova la villa dove il poeta trascorse le sue estati giovanili, con la "sala della musica" dove mosse i primi passi nell'opera lirica, e la statua "Estate" che ha ispirato la poesia "Flussi" inclusa nella raccolta Ossi di seppia. Il paesaggio delle Cinque Terre è entrato da oggi a far parte della grande rete dei Parchi Letterari gestiti dalla società Dante Alighieri, che lavora costantemente con l'obiettivo di legare la valorizzazione dell'ambiente e del territorio alle ispirazioni letterarie dei grandi poeti italiani, che quella natura e quel paesaggio hanno raccontato.

Su una cartolina inviata a Piero Gadda Conti, Montale, prima ancora del Nobel, elencava puntualmente quelli che considerava i "motivi" della propria opera: l'amore, l'evasione umana dalla "catena ferrea della necessità", ma soprattutto il paesaggio, "qualche volta allucinato, ma spesso naturalistico: il nostro paesaggio ligure, che è universalissimo". La poetica di Montale infatti nasce lì, sulla costa frastagliata e odorosa di limoni della sua Liguria: dopo quarant'anni, la sua terra torna a celebrarlo con un Parco Letterario a lui intitolato, recuperando quel legame indissolubile che attraverso la poesia Eugenio Montale aveva stabilito con la terra e la natura.

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