Eugenio Montale e la bellezza della malinconia
Moriva 35 anni fa, Eugenio Montale grande poeta icona del ‘900. Era il 12 settembre del 1981 quando il panorama letterario italiano perdeva uno fra i suoi più indimenticabili scrittori. Premio Nobel per la letteratura, ricordato per i tratti decisi della sua poetica ermetica, coordinata esistenziale di chiusura radicale durante l'epoca fascista, per il suo ‘male di vivere', quello che inevitabilmente aveva tradotto e decifrato nell'animo di molti, erigendosi rappresentate di un sentimento umano e comune. Perché proprio questo è il ruolo più nobile della poesia, generare identificazione, sollievo, far sentire compresi gli altri e ritrovare se stessi, un'alchimia fra autore e lettore che appare del tutto naturale in Montale.
La condizione umana, l'anima dei versi di Montale
Senza tabù aveva fatto emergere questo nei suoi versi, sempre conduttori di semplicità, da "Ossi di Seppia" a "Le occasioni", il comune denominatore di ogni sua raccolta. Ed è infatti con essenzialità che Montale si fa carico di sviscerare ciò che avverte durante il suo percorso esistenziale. In "Confessioni di scrittori, Intervista con se stessi", nel 1976 spiegava come alla base del suo slancio poetico ci fosse la condizione umana:
L'argomento della mia poesia è la condizione umana in sé considerata: non questo o quello avvenimento storico. Ciò non significa estraniarsi da quanto avviene nel mondo; significa solo coscienza, e volontà, di non scambiare l'essenziale col transitorio. Avendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia.
Il coraggio di scacciare il demone dell'ipocrisia
Se dovessimo ricordare Montale ci verrebbe in mente senza ombra di dubbio il suo "Meriggiare pallido e assorto", quei versi taglienti che tanto ci riportano all'inevitabile asprezza dell'esistenza:
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com'è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia
L'istinto di inseguire in alto la luce del sole, oltraggiato dall'elevarsi di un muro insormontabile e quei cocci aguzzi al vertice di una salita, come fatale rivelazione. Eccolo il tipico modo di raccontare la vita montaliano, la durezza del suo ‘male di vivere', una coscienza comune collettiva, sviscerata dal poeta senza pudore ma sempre addolcita dalla bellezza della malinconia.
Il valore della semplicità
Il linguaggio di Montale è soffuso, pallido, semplice. L'esuberanza di registro dei ‘poeti laureati', come egli stesso li definisce, che chiamano le piante con nomi ricercati e desueti, quella del D'Annunzio della "Pioggia del pineto" ad esempio, è respinta, obliata. Che bella la poesia "I limoni", in cui la stagione invernale del cuore si allieta davanti allo spettacolo sgargiante del colore, così semplice e così radioso:
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d'oro della solarità.
Una folgorazione che seduce anche i più giovani
La poesia di Montale, proprio come quei limoni giallo-sole, è una folgorazione, un richiamo intramontabile per gli amanti del verso. Ha conquistato generazioni di lettori e tutt'ora conquista finanche i più giovani, come di recente è accaduto a Ravenna. Un ragazzo neodiplomato, Matia Kulundžić, ha coinvolto Franco Costantini, Francesca Viola Mazzoni e Alessandro Scala e di fronte a Piazza Dora Markus, ha inaugurato un'iniziativa culturale per commemorare i 120 anni dalla nascita di Eugenio Montale. Le sue poesie fanno breccia nel cuore dell'esistenza, seducendo anche la generazione dei nativi digitali, gioventù che siamo abituati a pensare come poco sensibile alla poesia e più affaccendata nella frenesia del fare tecnologico. Invece Matia, presentandosi alcuni mesi fa nell'ufficio territoriale del Mare ha raccontato il suo innamoramento verso il poeta:
Quest'anno a scuola, quando l'insegnante di lettere ci ha illustrato la poetica di Eugenio Montale e, nello specifico, la poesia “Dora Markus”, sono rimasto affascinato, è stato per me un colpo di fulmine! Ho capito che dovevo fare qualcosa per i miei compaesani, soprattutto per i più giovani, a partire dal far conoscere da dove proviene il nome della nostra bella Piazza Dora Markus.
Così con il contributo della Pro Loco di Marina di Ravenna e dell'Ufficio territoriale del Mare, è stato messo in scena uno spettacolo molto apprezzato dal pubblico presente e dai passanti che si sono piacevolmente fermati ad ascoltare. La poetica di Montale si è delicatamente diffusa nell'atmosfera cittadina e la cultura rivive così, anche in questi piccoli grandi gesti.