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Escher a Palazzo Magnani. Metamorfosi, enigmi e labirinti

Reggio Emilia svela l’Enigma Escher: da oggi fino al 23 febbraio, 130 opere in mostra nella grande antologica dedicata ai paradossi grafici dell’incisore olandese.
A cura di Gabriella Valente
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Prima di perdersi in architetture paradossali, visioni multiple, illusioni ottiche ed enigmi percettivi, è bene affrontare subito la questione, e affrontarla con le parole stesse dell’autore: “Per me rimane una faccenda aperta se il mio lavoro appartiene al regno della matematica o a quello dell’arte”.

M.C. Escher, Relatività, luglio 1953, litografia
M.C. Escher, Relatività, luglio 1953, litografia

Il limbo in cui vaga l’opera di Maurits Cornelis Escher (1898-1972) somiglia a uno dei labirinti delle sue costruzioni impossibili, con infiniti percorsi ma senza soluzione: tra disegno e matematica, geometria e tecnica artistica, il tentativo di compiere una classificazione disciplinare rigorosa rispetto all’autore olandese è vano. Resta di fatto che la sua opera è tra le più innovative, geniali e sorprendenti nel campo della grafica del secolo scorso ed il suo successo è enorme e indubbio: ai matematici, architetti, intellettuali e artisti che nel corso degli anni hanno studiato entusiasti il suo lavoro, si affianca un pubblico non specializzato di persone comuni che di generazione in generazione rimangono affascinate da quei paradossi visivi, riprodotti ormai su copertine di libri o di dischi, utilizzati nel fumetto, citati nel cinema – come accade nel film del 1986 Labyrinth dove David Bowie percorre le scale e i pavimenti invertiti dell’opera di Escher Relatività.

M.C. Escher, Giorno e notte, 1938, xilografia
M.C. Escher, Giorno e notte, 1938, xilografia

Proprio oggi alla Fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia apre al pubblico un’ampia antologica che celebra l’Enigma Escher, mettendo in mostra, fino al 23 febbraio, 130 opere dell’incisore e grafico olandese, comprese quelle più famose come Mani che disegnanoConvesso e concavo e l’eccezionale fregio di Metamorfosi II, una delle più lunghe xilografie a quattro colori mai realizzate dove una scena si trasforma nell’altra attraverso piccole e graduali mutazioni di forme. Provenienti da musei, biblioteche e istituzioni nazionali o anche da collezioni private, i lavori raccontano la produzione di Escher dalle prime ricerche alla maturità.

M.C. Escher, Nastro di Möbius II (Formiche rosse), febbraio 1963, xilografia
M.C. Escher, Nastro di Möbius II (Formiche rosse), febbraio 1963, xilografia

L'Enigma Escher di Reggio Emilia è una mostra dalla vocazione didattica, che punta a fornire ai suoi visitatori gli strumenti per comprendere il percorso creativo dell’autore in maniera suggestiva, attraverso installazioni immersive che consentono al pubblico di entrare nel mondo di Escher, nei suoi giochi ottici, nelle folli geometrie, nelle prospettive invertite, così da svelarne, per quanto possibile, trucchi e misteri. Con lo stesso intento, all’esposizione si aggiunge inoltre un ciclo di conferenze dedicate al maestro, ai suoi studi e alle discipline che lo hanno ispirato.

Padrone di tante tecniche incisorie, dalla xilografia alla litografia, dall’acquaforte alla mezzatinta, in ambito artistico Escher ha guardato precisamente alla pittura medievale olandese ed italiana per gli aspetti grotteschi ed i giochi prospettici, così come al Futurismo per le visioni multiple e dinamiche. Fondamentale influenza hanno avuto per l’artista i lunghi viaggi e soggiorni in Italia, dove è rimasto affascinato ed ispirato in particolare dai paesini arroccati sulle montagne del territorio calabrese per la loro conformazione assurda. C’è un’ulteriore splendida visione che ha segnato l’arte di Escher: è quella del palazzo di Alhambra a Granada, un edificio moresco del Trecento, i cui raffinati dettagli architettonici e decorativi di matrice islamica hanno conferito una forte impronta a tutta la sua produzione dell'artista olandese.

M.C. Escher, Su e giù, luglio 1947, litografia
M.C. Escher, Su e giù, luglio 1947, litografia

Oltre all’arte, alla matematica, alla psicologia, imprescindibile per l’opera di Escher è stata la Gestalttheorie, la teoria della forma che studia le modalità di percezione visiva nelle interazioni tra cervello e occhio ovvero tra esperienza e visione. Le leggi della semplificazione, della continuità, della prossimità, del pieno e vuoto, del convesso e concavo svelano interessantissime dinamiche di percezione dell’occhio umano, permettendo di prevedere cosa un osservatore coglierà in un’immagine, cosa l’occhio preferirà vedere. Sulla base di queste leggi Escher, pienamente consapevole, costruiva i suoi enigmi, disegni perfettamente realistici per rappresentazioni assolutamente irreali: attraverso la tassellatura del piano, attraverso i contrasti chiaroscurali e una geometria tanto rigorosa quanto paradossale, metteva in scena il frutto fantasmagorico della sua immaginazione, visioni caleidoscopiche dalle molteplici letture, illusioni ottiche che giocano sull’alternanza tra le due e le tre dimensioni, in una totale incertezza ed ambiguità visiva che ipnotizza e cattura qualunque osservatore.

“I miei soggetti sono spesso anche giocosi”, diceva. “Non posso esimermi dallo scherzare con le nostre inconfutabili certezze. Per esempio, è assai piacevole mescolare sapientemente la bidimensionalità con la tridimensionalità, la superficie piana con lo spazio, e divertirsi con la gravità…”. Il divertimento è dunque bilaterale, da una parte quello dell'autore, dall'altra quello del suo pubblico piacevolmente perduto tra soffitti che diventano pavimenti, geometrie che si tramutano in animali, punti di vista dalle molteplici prospettive che creano visioni assurde, surreali e impossibili.

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