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Enrico Brizzi: “Jack Frusciante mi ha cambiato la vita, nonostante la fama non ho mai tradito la mia arte”

Si chiama Due il nuovo libro di Enrico Brizzi, scrittore cult di Jack Frusciante è uscito dal gruppo di cui questo è il seguito: ritroviamo Aidi e Alex esattamente nel punto in cui li avevamo lasciati 30 anni fa.
A cura di Francesco Raiola
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Enrico Brizzi
Enrico Brizzi

Era il 1994 quando un libro pubblicato da una piccola – seppur illuminata – casa editrice (Transeuropa) diventa un caso editoriale e in poco tempo si erge a romanzo generazionale. L'opera era Jack Frusciante è uscito dal gruppo, titolo ispirato all'uscita dai red Hot Chili Peppers del chitarrista John Frusciante e l'autore era un ragazzo di Bologna, EWnrico Brizzi, che in un attimo si ritrova da aspirante scrittore a voce generazionale. Dalla sala musicale con i compagni di band ai divanetti del Maurizio Costanzo Show e alle chiacchiere con Vasco Rossi. Per anni i lettori gli hanno chiesto di raccontare cosa sarebbe successo ad Alex e Aidi, i due giovani protagonisti del libro, dopo che lei era partita per gli Stati Uniti. Domanda a cui non c'è stata risposta, almeno fino a oggi, quando Brizzi ha dato alle stampe per Harper Collins "Due", ovvero il seguito di quel cult (l'autore lo presenterà oggi, 22 settembre, a Pordenonelegge e eil 24 nella sua Bologna, alla Sala Borsa). Nel libro ritorviamo i due ragazzi nel punto in cui li avevamo lasciati, ma immersi in un altro mondo, quello della separazione, nel pieno della linea d'ombra, con Aidi che è negli Stati Uniti e Alex che cerca di trovare un senso, a Bologna – e in Europa con l'interrail – senza di lei. Oggi Brizzi ha 50 anni e sa cosa succede a quell'età, e infatti il racconto – che prosegue con quello slang, quel mood – ha una maturità diversa. Abbiamo parlato con lo scrittore per farci raccontare come nasce l'idea di questo seguito e com'è cambiato lui rispetto al 19enne a cui una storia ha cambiato la vita.

Hai dichiarato: "Se avessi pubblicato il seguito di Jack Frusciante con lei che torna dall’America avrei fatto un botto clamoroso e guadagnato un sacco di soldi ma a quel punto avrei dato ragione a chi diceva che ero un giovane autore che sapeva scrivere solo un certo tipo di storie”. È per questo hai aspettato tutto questo tempo per raccontare cosa è successo dopo?

Sì, la citazione che hai letto effettivamente è uscita dalla mia bocca, ma il punto molto più semplice, meno razionale, ha a che fare col fatto che è ovvio che se pubblichi una storia che esce per una piccola casa editrice in 200 copie e in maniera inattesa fa un botto clamoroso tutti ti chiederanno di continuare su quel filone e razionalmente ti rendi conto che è molto pericoloso. Sembrano quelle storie di bluesman che incontrano il diavolo al crocicchio che gli dice: Vendimi l'anima e ti renderò irresistibile con le donne, famosissimo, ricco e tutto quanto. Ma se non sei completamente scemo, ti rendi anche conto che la cosa bella della scrittura, così come della musica o di qualunque arte uno voglia praticare, ha a che fare con il seguire un flusso che non ha niente a che fare con le ragioni del mercato. Banalmente, visto che avevo 19 anni e mezzo quando è uscito Jack Frusciante, e non avevo alcuna esperienza basavo le mie scelte su quelle che avevano fatto le persone, gli autori, i musicisti e i registi che ti piacciono.

E i tuoi miti non avevano ceduto…

Esatto, quelli che stimo non sono mai andati dietro alle sirene del mercato. Per cui, banalmente, di scrivere Jack Frusciante 2 non ne avevo voglia. Certo, ti trovi ad avere un sacco di visibilità, passi dallo stare in osteria, al pub o in sala prove musicale coi tuoi amici al Maurizio Costanzo Show, con tua zia che dice "le mie amiche ti hanno visto dallo zio Rispoli" eccetera e tu ti rendi conto che stanno succedendo cose nella tua vita che è chiaro che fanno gioco al libro che hai pubblicato, ma allo stesso tempo vieni proiettato in un ambiente che avendo potuto scegliere non sarebbe stato esattamente quello che avresti voluto.

In effetti leggendo il libro e subodorando un po' di autobiografia l'idea del MCS non era a cui ci si aspettava avresti ambito, anche se è stata importante…

Il paradosso è che quella quella fama arriva pubblicando un libro dedicato fin dal titolo a uno che volta le spalle alla fama.

Però, poi, come Frusciante, sei tornato nel gruppo e quindi ti chiedo: come nasce l'idea di riprenderlo e soprattutto come mai la scelta di proseguire cronologicamente e non, per esempio, portarlo alla tua età?

La verità vera è che in tutto ciò non c'è stato niente di razionale, mentale o calcolato. È successo che a novembre dell'anno scorso, per la prima volta in vita mia, ho letto Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Ovviamente l'avevo preso in mano mille volte, avevo fatto dei reading, ma erano state sempre letture parziali, non l'avevo mai letto come leggi il libro di un altro, sedendoti sul divano e leggendolo dalla prima all'ultima pagina. A quel punto ho cominciato a chiedermii: "Ma perché mi è venuto sto desiderio?", e fai a tutti i tuoi retropensieri, tipo "Che effetto mi farà?", come quando vai a un appuntamento o a un concerto e non puoi fare a meno di domandarti: ma starò bene? Mi piacerà?.

E nella fattispecie qual la domanda?

Che effetto mi farà leggere questa roba scritta da me stesso 30 anni fa? Mi verrà nostalgia per quegli anni? Mi prenderà un istinto insopprimibile di auto editing, per cui penserò: "questa pagina poteva scriverla in maniera diversa?". Poi in realtà esattamente come quando vai a un appuntamento di quelli che si rivelano interessanti o a un concerto di quelli belli smetti di pensare e stai dentro il flusso di quello che sta accadendo e smetti di guardarti da fuori. Quello che mi è successo è che ho letto questo libro in un giorno, ho chiuso l'ultima pagina, ho aperto il computer e mi sono messo a scrivere. Non ti so spiegare esattamente, razionalmente, in maniera cartesiana perché, però è esattamente quello che è accaduto e anche con un certo senso di colpa, come quando fai qualcosa di illegale e tendi a tenerlo nascosto. Sara, la donna che amo, tornò a casa una sera – le donne percepiscono subito quando stai tenendo dei segreti – e dice: "Cosa stai facendo in questi giorni, ti vedo stranissimo!". Così le ho raccontato quello che che mi era successo, e lei mi ha detto semplicemente: "Se è quello che ti senti di fare fallo". Però l'editore si aspettava un altro libro, non sapevo se stessi facendo una stronzata, ma non riuscivo a fare nient'altro, letteralmente. Succede la stessa storia con il mio agente, mi pare dovessi consegnare un articolo e lui mi dice: "Di solito sei sempre puntuale, Brizzi, che cazzo! Cioè, non rispondi al telefono, cosa stai facendo?" e così glielo racconto e lui mi dice: "Facciamo finta che questa telefonata non ci sia mai stata, ci risentiamo la prossima settimana e se sei ancora dentro quel trip, parliamone seriamente, perché bisogna gestire la cosa".

E la settimana dopo?

La settimana dopo le pagine che erano 20 erano diventate 60 e abbiamo dovuto gestire la cosa: per prima cosa annunciarlo agli amici di Harper Collins e dirgli che stavo lavorando a quella cosa. Erano tutti abbastanza stupiti ma perché, banalmente, sapevano di avere a che fare con una persona che in 29 anni e mezzo non aveva mai voluto sapere di ‘sta cosa, eppure io ero più stupito di tutti per cui perdonavo lo stupore di chiunque altro. È ovvio che hai anche un super-io che ti dice: "Ma guarda che visto da fuori sei un coglione di 50 anni che riprende in mano un libro che ha scritto quando non ne aveva nemmeno 20, stai offrendo il fianco a qualunque critica". Però sai quello spirito bello con cui dici: E che cazzo me ne frega! È quello che voglio fare adesso, mi dà piacere, la sento la cosa giusta e gli altri giudicheranno un po' come gli pare, come loro diritto e come mio diritto in quanto lettore di cose altrui. Insomma la dimensione razionale non aveva alcuna cittadinanza in tutto ciò, francamente, per cui faccio anche fatica a dirti perché è ambientato in quell'epoca e non oggi o nel 2006. L'unica risposta onesta che riesco a darti è perché quando ho richiuso l'ultima pagina (cita a memoria: "perché il vecchio Alex quando fila così come il vento", ndr) ho ricominciato a scrivere esattamente da quel punto.

Qual è stata la sfida principale del rimetterci mano?

Quella della coerenza: è ovvio che i personaggi evolvono, perché a 17 anni un anno di vita è mezza vita, quindi cambi parecchio. Lo stesso Jack Frusciante comincia dicendo che sto ragazzo era stato il secchioncello diligente fino all'anno prima e poi a un certo punto per lui si spalanca una rivoluzione di costumi e consumi culturali. La sua vita cambia, e cambia tra i 16 e 17 anni, cambia anche fra i 17 e 18 e cambia soprattutto in una vita in cui ti sei addestrato tutto il tempo a sopravvivere, a stare a galla, non sembrare lo sfigato e a evitare le figure di merda, a fare air guitar davanti allo specchio, a sperare di non essere preso a gavettoni di piscio, mentre suoni con la tua band del cazzo o di non essere sostituito come bassista perché fai oggettivamente cagare. Tutte cose accomunate da questo continuo io, io, io, io, perché in realtà in cui stai costruendo il tuo te stesso, per cui è la roba più naturale del mondo, però all'improvviso ti confronti col noi.

La coppia.

Se mi piace davvero un'altra persona non posso più pensare solo all'io e questa è la vera rivoluzione esistenziale che capita a lui e a lei in Jack Frusciante. Mi è sembrato naturale che il passo dopo fosse scrivere di come si affronta la distanza, ma la sfida da narratore vera, secondo me, in questo testo, ha a che fare con "se vuoi raccontare una storia che è nello stesso universo narrativo, quali sono le regole che determinano questo universo e se ci vuoi stare dentro devi seguirlo perché se no è un'altra storia".

E qual è questo universo?

Quello dell'estrema giovinezza, con tutto il sua entusiasmo, l'ingenuità estrema e un senso morale della madonna, perché forse solo i dittatori sono severi da adulti come lo sono stati a 17 anni. Però se non sei un integralista o un matto preso da delirio di onnipotenza è ovvio che con l'esperienza capisci banalmente che a volte devi dire delle bugie a fin di bene, a volte non tutti quelli che si vestono in un certo modo sono dei figli di puttana, magari semplicemente seguono una sottocultura diversa dalla tua eccetera. Diventare grandi significa anche abbattere un sacco di certezze morali che hai a diciassette anni. Che non vuol dire svendersi, anzi è proprio facendo i conti con quel te stesso integralista che puoi conservare, secondo me, un senso morale sensato. Diciamo che la prima regola è che la materia di questo testo è l'estrema giovinezza, se no è un altro libro. L'altra regola della scommessa narrativa di cui mi sono reso conto solo leggendo è che qui c'è una voce molto particolare di narratore, cosa direbbe in una scuola di scrittura creativa: è un narratore onnisciente? In parte sì. Ma chi è che sta raccontando questa storia? Non lo so manco io, però di certo è qualcuno che vuole bene ad Alex e che sa come è andata la storia e che è partecipe della storia. È lo stesso Alex molti anni dopo? È suo fratello? È uno dei suoi amici? Qualcun altro che nella storia non appare ma l'ha vista da vicino? Non è un quiz, non c'è la risposta giusta o se c'è non la conoscono nemmeno io, però di certo per restare in quell'universo narrativo, devi mantenere la stessa distanza e la stessa parte della narratore, perché il Jack Frusciante a ben vedere Alex parla solo attraverso l'archivio magnetico, cioè il suo proto podcast da adolescente di quegli anni, col magnetofono si racconta le storie da solo. E poi, come tutte le sfide narrative, se prendi in mano un testo e vuoi scrivere qualcos'altro che ha a che fare con quell'universo narrativo o fai il calco o ci deve essere qualcosa in più.

La copertina di Jack Frusciante e quella di Due (disegnata da Alessandro Baronciani)
La copertina di Jack Frusciante e quella di Due (disegnata da Alessandro Baronciani)

E qual è quel qualcosa in più in questa storia?

Questo qualcosa in più a me è venuto in maniera molto naturale: questi due ragazzi sono in paranoia perché scoprono per la prima volta di volersi bene, con il terrore del caso, e ora sono di fronte a una prova clamorosa: la separazione. E a quell'età fai per la prima volta la stessa domanda che poi si fanno gli amanti per tutta la vita, ovvero: ma se ci allontaniamo le cose resteranno uguali? E la risposta, ferocemente, è: ma manco per il cazzo, cambiano, la vita va avanti ed è inutile illudersi. Ma cambiano anche tra genitori e figli, tra amici etc. Per questi giovani, Alex e Aidi, l'idea di un anno di lontananza spaventa, è chiaro che sono appesi alla speranza folle che le cose non cambino, restino uguali. Uno si troverà essere tra i grandi del liceo, quelli fighi, eccetera, dopo una faticosa carriera in cui parti da meno della merda, poi sfigato generico, poi cerchi di alzare la testa, poi cerchi di metterti in vista, poi sei all'apice della tua carriera nella scuola secondaria superiore. Lei addirittura è in un altro mondo, ed è la prima a rendersi conto che restare aggrappati al passato significa spegnersi, morire e vivere isolati, non è possibile farlo. Se non sei un hikikomori devi affrontare la sfida nuova del contesto in cui ti trovi, e questo fa male perché stai tradendo qualcosa, stai tradendo il te stesso che diceva: "Restiamo abbracciati anche se siamo lontani e questo sentimento resterà uguale", perché la vita non è fatta così e la roba meravigliosa è proprio che facendo lunghi giri separati, torni a cercarti, quello è meraviglioso.

“Valgono ancora le regole che ti eri dato da ragazzo, quando nessuno poteva ricattarti? Sei rimasto fedele a quello che ti faceva sentire libero come l’aria?”. A queste domande che Manuel fa ad Alex tu come rispondi?

Questo è il cuore della faccenda, l'unico aspetto veramente autobiografico. Cioè io non smetto di essere tormentato dall'apparizione del me stesso diciassettenne o diciottenne che è severo e ti dice: Tu hai avuto un destino curioso, cioè una cosa che facevi per passione è diventata il tuo mestiere, non c'era niente di scontato in tutto ciò, specie partendo con una piccola casa editrice che ti stampa in 200 copie, te lo devi meritare. Te lo stai meritando o stai facendo il paraculo? I diciassettenni non perdonano dal punto di vista morale, loro sì che sono talebani e integralisti, per cui con tutte le scelte che cerchi pazientemente di spiegare al te stesso diciassettenne – perché lui non le conosce, non sa che cazzo vuol dire chiedere un prestito per comprare una casa o rendersi conto che se non fai la fila alle poste ti arriva la multa ed è peggio che fare la fila alle Poste – lui comunque ti dice: ma che te ne frega? Ma per lui pensava a tutto la mamma a casa, per cui è anche facile fare il duro da questo punto di vista, però c'è qualcosa di più profondo che banalmente è: hai tradito la tua arte? Hai tradito l'aspirazione di quello che ti faceva sentire bello raccontare, leggere e scrivere a diciassette anni? Questo credo di non averlo fatto mai.

Due è il tuo Kyushu no bi (La bellezza delle cose alla fine)?

È il mio kyushu no bi? Non lo so, questo lo devono dire gli altri. Per me è stato da una parte qualcosa che ho sentito molto naturale, dall'altra molto rischioso e questo mi eccita, ovviamente e dall'altra ancora molto coerente. È stato anche estremamente tenero rileggerlo con mia figlia più grande che oggi ha 20 anni – la stessa età che avevo io quando è uscito il libro – e sentire la sua opinione, i suoi consigli su un testo il cui primo volume è uscito dieci anni prima che lei fosse anche solo nella mente di suo padre e sua madre.

Che peso ti porti addosso per aver scritto uno dei principali romanzi generazionali del Paese?

Non so, si tratta di separare completamente l'aspetto pubblico dall'aspetto di quello a cui pensi quando sei per gli affari tuoi. È ovvio che se c'hai di fronte una fila di persone che ci tengono a farsi fare una firma su un libro di 30 anni fa e ti dicono che per loro è stato importante al punto che hanno deciso di andare a vivere a Bologna o chiamare i figli Adelaide o Alex, senti una responsabilità. Però nella mia vita di tutti i giorni, mentre vado in bicicletta o mentre vado a prendere il caffè al bar e soprattutto mentre scrivo, non ci penso mai perché sarebbe un condizionamento veramente inopportuno.

Quanto ti diverte ancora ficcare easter egg all'interno della narrazione, quindi titoli di pezzi di canzone, di libri, noncome se fossero citazioni, ma parte della scrittura?

Non smette di stupirmi come ci sia gente che quando ci sono incontri pubblici mi dicano: grazie mille perché ho scoperto gli Smiths, ho scoperto i Clash, ho scoperto Tondelli. Per me è il complimento più bello, più che vincere un premio, perché hai lasciato qualcosa a qualcun altro. Se stai dedicando il tuo tempo a leggere la mia storia, io ti devo dare qualcosa che non è solo la storia, ma anche un'indicazioni di mondi possibili che secondo me puoi trovare interessanti. Mi rendo conto di essere una persona molto noiosa, però per me è molto naturale parlare – specie quando lo faccio ai ragazzi – di qual è la loro mitologia, quali sono i loro libri del cuore, quali sono i loro ascolti, quali sono i videoclip che all'epoca li esaltavano e gli facevano dire: questo sta parlando proprio della mia vita. In un'età, tra l'altro, in cui è molto importante riconoscersi in qualcosa per similitudine o per differenza o tutte e due le cose, ma stai prendendo le misure alla vita e lo fai attraverso la mitologia che per i bambini dell'antica Grecia erano Ettore e Achille e per te sono gli Smiths, i Cure o Cristiana F. in Noi ragazzi dello zoo di Berlino. È stato come rientrare nel Pantheon che avevo da minorenne o appena maggiorenne e constatare che effettivamente è identico, perché il diciassettenne-diciottenne che siamo stati è rimasto lì ed è sempre uguale a se stesso.

Un successo così grande non leva neanche un po’ di purezza? A un certo punti avrai dovuto trovare dei compromessi, quanto sono stati grandi prima che tu dicessi basta?

Non so, la prima volta che mi hanno chiamato al Maurizio Costanzo Show io non ci volevo andare perché era un programma troppo pop dal mio punto di vista. Però ti trovi l'editore, tutti i compagni di casa editrice, che dicono: non fare cazzate, fallo per tutti noi eccetera e alla fine è solo andare a una trasmissione a cui non hai voglia di andare, ma non è che ti stanno chiedendo di mangiare merda, per cui lo fai. Poi succedono anche un sacco di cose belle con la fama, ma parlo di cose banali: il mio sogno non era a comprarmi una Lamborghini, il mio sogno era andare a vivere via da casa dei miei e abitare con qualche amico e  questa cosa diventa realizzabile. O diventa realizzabile che persone che per te sono dei poster o degli adesivi li conosci in carne e ossa.

Tipo?

Ho capito che stava succedendo qualcosa quando una notte a Bologna, passeggiando per strada, vedo un signore e una signora che stanno caricando delle valigie in macchina e dico: "Merda, è Luca Carboni!" e passo per gli affari miei, lui mi ferma e mi fa: "Ma sei Enrico Brizzi?". E io dico: merda, cioè Luca Carboni riconosce me, qui sta succedendo qualcosa di strano. O Vasco che ti vuole conoscere ma vorrebbe andare al tuo pub, così ti chiede di scegliere un posto dove vedersi e ti lascio immaginare la faccia del tuo amico barista quando entri con Vasco, senza preannunciarglielo. Ma succedono anche cose brutte, cioè banalmente tentazioni sataniche che già nel Faust erano chiaramente evidenziate.

Ti chiedo un esempio pure qua.

Ti faccio due esempi diversi tra loro: fare la campagna antidroga per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Io da giovane anti proibizionista dico no, sono contrario alle campagne antidroga, cioè sono contrario personalmente a farmi le pere, però fare una campagna che butta nello stesso calderone e condanna il disagio, l'abiezione della vita degli eroinomani, per me era no way. Mettere sullo stesso piano questo e il ragazzo che si fa una cannetta e beve due birre? No, sono contrario a questa propaganda per cui dici di no. E ovviamente dire di no alla politica è complesso, non è che te la perdonano in quattro e quattr'otto. O un'altra cosa su un altro piano, ma che per me era ugualmente moralmente inaccettabile: Vieni a fare il giudice a Miss Italia. Ovviamente ho detto di no e banalmente quando dici di no a due tre programmi Rai, poi la Rai non è che continua a chiamare tutte le settimane. E se sei cresciuto con consumi culturali più underground che mainstream capisci che sei di fronte a delle tentazioni che rischiano di fottere tutto quello di sincero e onesto che c'è nella tua ispirazione, per cui devi dire di no. Sei al bivio tra fare il sub vip televisivo che può parlare dei Nirvana o della guerra nell'ex Jugoslavia o dire se i giovani amano non amano festeggiare i compleanni, oppure fare il narratore. E tutti quelli che mi piacevano avevano scelto di fare i narratori, per cui li ho copiati.

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