“Elfi al quinto piano” di Francesca Cavallo: “La mia fiaba natalizia disubbidiente”
Dopo aver dato vita al fenomeno mondiale di "Storie della buonanotte per bambine ribelli", di cui è co-autrice, Francesca Cavallo torna in libreria con una fiaba natalizia che racconta i bambini e le famiglia di oggi dal titolo "Elfi al quinto piano" (Feltrinelli, pp.128, euro 14). La storia di Manuel, Camila, Shonda e delle loro due mamme, Isabella e Dominique, e degli elfi al quinto piano, è il racconto di un salvataggio del Natale, grazie a questa strepitosa, anticonformista famiglia, che oggi definiremmo "arcobaleno". Il tema dell'omosessualità, nella fiaba illustrata da Verena Wugeditsch, è decisamente presente nella storia, in cui dei bambini salvano il Natale impacchettando tutti i regali di una città. Abbiamo raggiunto Francesca Cavallo a Los Angeles, dove vive.
Cosa ti ha ispirata questo racconto?
La casetta a Trastevere dove ho deciso di vivere la scorsa primavera per un paio di mesi! Era una bellissima mansarda al quinto piano senza ascensore, in cima a 104 gradini e ho deciso di ambientare la mia nuova storia nel posto in cui stavo vivendo. Per questo la città nella quale è ambientato "Elfi al Quinto Piano" si chiama R.
"R." come Roma. Ma anche come ribellione. Che è quella a cui danno vita anche i tuoi personaggi. Secondo te oggi i ragazzini possono salvare il mondo?
Non credo che i bambini possano salvare il mondo, come non credo che nessuna categoria di persone, da sola, possa salvare il mondo. Credo però che trattare i bambini da cittadini, imparare ad ascoltarli e a renderli partecipi di ciò che succede intorno a loro sia fondamentale per costruire ogni giorno un mondo migliore.
E gli adulti? Nella fiaba la contrapposizione c’è ma non è totale. Pare che da qualche parte, ci siano ancora degli adulti in grado di sostenere il percorso “rivoluzionario” di questi ragazzini…
Tendenzialmente cerco di stare alla larga dalle generalizzazioni, perché trasformano qualsiasi storia in un esercizio retorico un po' vuoto e troppo didascalico. Le storie che scrivo parlano sempre dell'incontro tra individui, del lasciarsi sorprendere anche in situazioni dalle quali non ci si aspetterebbe nulla, perché credo che – soprattutto in un clima politico e culturale così polarizzato – sia necessario ricordarsi sempre che siamo persone e che dobbiamo riconoscerci e trattarci come tali. Tutte le volte che invece di un individuo si vede una categoria, è molto più facile che si manifestino episodi di violenza o intolleranza.
Quanto è giustificata l'etichetta di libro politico relativamente a “Elfi al quinto piano”?
Le fiabe di solito fanno riferimento a una dimensione mitica, ad un non-tempo che ha contatto con temi legati all'interiorità oppure con concetti assoluti (la paura, la gelosia, il conflitto con i genitori, il bene e il male). In questo senso, le fiabe tradizionali non sono politiche perché sono difficilmente collegabili a temi riconducibili all'attualità o a ciò che avviene al di fuori della relazione del bambino con se stesso o con la propria cerchia ristretta di conoscenze (famiglia, amici). Le mie fiabe mutuano le strutture della fiaba tradizionale, ma le popolano di temi che hanno una forte riconducibilità al dibattito pubblico contemporaneo, permettendo ai genitori di affrontare in modo facile conversazioni difficili con i propri bambini. Per questo vengono considerate "politiche".
Quali sono i tuoi riferimenti narrativi principali?
Leggo di tutto! Adoro i graphic novels, i libri per bambini di Munari, leggo molti saggi e molti memoirs. Recentemente, ho letto L'educazione di Tara Westover che ho trovato meraviglioso e adesso sto leggendo La vita bugiarda degli adulti di Elena Ferrante, che è una scrittrice che amo molto.
In che modo un’artista oggi può disubbidire?
Prima di tutto mettendo da parte l'illusione di potersi occupare solo della propria arte. Se non ci si occupa anche di come finanziarsi e di come comunicare il proprio lavoro, si rimane soggetti alle logiche stantìe per cui si deve aspettare che qualcuno ci dia il permesso di fare qualcosa per poterla fare. Invece, occupandosi in modo più imprenditoriale della propria carriera, si possono aggirare le porte chiuse e trovare modi inusuali di mettere al mondo i progetti a cui si tiene di più, senza chiedere permesso a nessuno.