Ecco i nuovi ‘Promessi Sposi’: la Bur pubblica il romanzo con le illustrazioni originali
Perché leggiamo i Promessi Sposi? Rispondere a questa domanda è il modo migliore per apprezzare la nuova, importante, edizione Bur del nostro romanzo nazionale: ottocentesco e barocco, tragico, poetico e caravaggesco nello scorciare con il suo sguardo plumbeo l’Italia seicentesca, uno sguardo etico, come ha scritto Matteo Palumbo, proprio nel senso che tiene insieme etica e visualità, immaginazione e cultura.
Leggiamo i Promessi Sposi per due ragioni che solo apparentemente sono in conflitto. La prima è che, a discapito della lungaggine delle famigerate (ma in verità bellissime) descrizioni della peste a Milano, i Promessi Sposi sono un romanzo scritto in modo magistrale, sono un capolavoro di retorica, “quella fine”, diciamo. La seconda ragione è che ci obbligano a scuola. Questi due motivi, così antipaticamente intrecciati, sono forse il segreto della grandezza de i Promessi Sposi.
Incatenati nei banchi ascoltiamo le voci cantilenanti dei compagni di turno biascicare pagine che in quel momento perdono di significato per noi. La realtà è che la ragione per cui ci obbligano a leggerlo a scuola con tanta insistenza dipende proprio dal fatto che è un grande romanzo, e come tutti i grandi romanzi parla lingue diverse; parla la lingua dei cattolici, parla una lingua patriottica, parla la lingua dell’uguaglianza sociale, parla –insomma- la lingua di tutti noi italiani, salvo miracolosamente rubare a ognuna di queste ideologie italiane il primato morale.
È proprio questa la ragione che ha portato I Promessi Sposi a diventare il classico da leggere a scuola, perché la sua arte è in grado di incarnare questa lotta per l'immagine di se stessa che l’Italia ha compiuto, una lotta simbolica che, nei Promessi Sposi, ritrova una rappresentazione potente, talora grottesca, così come di fulminante precisione psicologica, installando –con tutta la visività di cui è capace- un incredibile theatrum philosophicum dove le tensioni sociali che hanno dato corpo alla nostra identità vengono meravigliosamente intrecciate. È per questo che viene letto a scuola, che è il luogo per eccellenza dove oggi si combatte la battaglia dell’ideologia e dell’identità.
Ma a maggior ragione il merito di questa edizione tutta nuova messa a punto per Bur è quello di de-automatizzare una lettura incrostata degli strati di questa battaglia ideologica: questa edizione ha il merito di ripensare accuratamente il testo di Manzoni per privilegiare l’arte, per fare emergere senza pregiudizi la forza del testo che ha saputo generare tutto questo seguito.
Due sono le grandi novità –sconvolgenti, in un certo senso- la prima è la scelta di recuperare finalmente tutte le illustrazioni, incredibili, di Gonin, l’incisore ingaggiato da Manzoni, il quale commissionò le immagini ad una ad una e pensò l'illustrazione del romanzo secondo un criterio formale preciso, finora disatteso dalla critica. E cosa può esserci di più importante per un libro che fa della visione, dell’immaginazione, tutta la sua forza?
Cosa può esserci di meglio per restituire al lettore il gusto manzoniano per la visione, per lo scrutare i suoi personaggi in modo a volte comico, buffo e a volte sublime, quei personaggi che sono proprio “un mazzo di carte” come diceva Pasolini. Soprattutto se, come nota Giancarlo Alfano, le illustrazioni sono parte stessa della strategia linguistica del testo, e intervallano la narrazione secondo una strategia inter-mediale precisa in grado di contribuire in modo cruciale alla suggestione del libro.
La seconda novità, altrettanto significativa, è quella di includere Storia della colonna infame all’interno del romanzo, sottolineando che, infatti, la parola Fine era scritta solo lì, alla fine di quel testo che, visto come conclusione di un romanzo senza idillio, demolisce uno dei pregiudizi più resistenti: e cioè che i Promessi Sposi siano il romanzo della Provvidenza, siano il romanzo dello sguardo divino che ordina le umane vicende; invece I Promessi Sposi sono proprio il romanzo dell’incertezza umana, sono proprio il romanzo in cui lo sguardo realista prende il sopravvento sulla cultura del suo stesso autore.
Tornando alla volontà di Manzoni, questa edizione curata da Francesco de Cristofaro, coadiuvato da un team di italianisti e linguisti napoletani, Matteo Palumbo, Giancarlo Alfano, Marco Viscardi e Nicola De Blasi, ci restituisce paradossalmente il romanzo in una veste incredibilmente nuova.
Portando alla luce il dispositivo formale il commento riesce efficacemente a smascherare il processo che ha portato la capacità letteraria di Manzoni a diventare canone, permettendoci di disinnescare i pregiudizi storici e di riappropriarci della forma che li ha suscitati. Per poter apprezzare, finalmente, il fatto che a dispetto di tutto è proprio perché è un bel romanzo che noi lo leggiamo a scuola.
Cosa può esserci di meglio che incarnare il paradossale abbraccio della novità e della tradizione? Cosa c’è di più importante per la letteratura che essere lo specchio stilizzato dell’ideologia? Non c’è nulla di più importante, e il commento di de Cristofaro lo mostra bene, dell’essere una meravigliosa panoramica storica, così come il luogo in cui prende forma catartica la tensione sociale-il corpo grottesco, direbbe qualcuno- o se si vuole l’intarsio seicentesco che si è rivelato così efficace nel descrivere il crogiolo psicologico e culturale che, nel tempo, ha visto proiettarsi in questo testo tutte le figure e le generazioni dei Don Abbondi di oggi e di sempre.