È giusto chiudere il museo Cesare Lombroso?
È guerra sul web per una petizione lanciata sulla piattaforma Change.org dal comitato "No Lombroso": oggetto del dibattito, il già tanto contestato Museo intitolato all'antropologo veronese, a Torino. La piattaforma ha registrato ad oggi quasi 8500 firme finalizzate a far chiudere definitivamente questo museo degli orrori, aperto nel 2009 e già da molto tempo al centro di aspre polemiche, contestazioni e processi. Il comitato anti-Lombroso porta avanti da anni una dura battaglia ideologica, che vede in Cesare Lombroso e nei suoi studi di antropologia criminale la radice delle discriminazioni e dei razzismi verso il Sud. Il comitato raccoglie consensi in tutta la penisola, ma soprattutto fra le fila dei Neoborbonici; attivissimo sui social, il gruppo in questi giorni sta promuovendo l'ennesima petizione per chiudere quella che viene da loro stessi definita la "fossa comune dei briganti". Ancora di più: obiettivo primario è "la rimozione ufficiale delle teorie criminologiche di Cesare Lombroso dai libri di testo" e la soppressione della commemorazione museale a nome dell'antropologo.
La petizione definisce il Museo Cesare Lombroso un "omaggio che la città di Torino fa" ad uno scienziato che ha teorizzato l'inferiorità dei meridionali rispetto ai settentrionali. Pur essendo teorie ad oggi riconosciute totalmente false e senza fondamenti scientifici, secondo il comitato il museo
resta ancora aperto e mostra al suo interno centinaia di crani, diversi scheletri e ricostruzioni di volti in cera, ma con peli e capelli originali. Di questi resti umani, che furono trafugati da Lombroso e dai suoi seguaci illegalmente, ne sono presenti ancora quasi mille all'interno del museo, resti che l'Università di Torino deve restituire ai comuni di appartenenza perché ottengano una giusta e dignitosa sepoltura.
La richiesta del comitato No Lombroso è dunque quella di chiudere definitivamente il museo, cancellando ogni testimonianza del lavoro portato avanti da Lombroso fra Otto e Novecento, e di restituire i numerosi cadaveri esposti nelle sale ai comuni di appartenenza.
Cesare Lombroso è in effetti uno dei personaggi più controversi della storia dell'antropologia: basando le sue teorie sull'idea della criminalità "per nascita", l'antropologo portò avanti una serie di studi atti a dimostrare che l'origine del comportamento criminale fosse da imputare a tare genetiche e a particolari caratteristiche fisiche. Figlio del positivismo e delle teorie del darwinismo all'epoca in pieno sviluppo, Lombroso partecipò anche alla campagna contro il brigantaggio successiva all'unificazione italiana, portando a compimento studi anatomici sui cadaveri e sostenendo peraltro l'inferiorità fisica, e di conseguenza naturale, dei meridionali rispetto agli abitanti del nord d'Italia.
Gli studi lombrosiani hanno indubbiamente preparato il campo a tesi razziste, come quelle di Niceforo che nel 1901 scrisse "Italiani del Nord e Italiani del Sud", dove si stabiliva a chiare lettere l'inferiorità della razza meridionale, definita "razza maledetta". Teorie inquietanti, assurde, rese ancor più terribili dalla storia successiva. Teorie che però, è bene ribadirlo, sono state riconosciute come false e prive di qualsiasi fondamento scientifico: teorie in fondo nate da un tempo che ha creduto ad un concetto diverso di "progresso", determinato più da fattori biologici (peraltro scarsamente verificati scientificamente) che da studi approfonditi ed oggettivi sulla società e le sue componenti.
Il Museo Lombroso, di proprietà dell'Università di Torino, è nato nel 2009 in occasione del centenario della morte dell'antropologo. Certamente inquietante: conserva 904 crani, scheletri, cervelli e maschere di cera, tutti oggetti appartenenti alla collezione privata che Cesare Lombroso ha allestito in seguito alle sue sperimentazioni su individui ritenuti criminali, malati di mente, omosessuali, e prostitute, con l'unico scopo di dimostrare "scientificamente" la stretta relazione fra comportamento e fisiognomica.
Ma lo scopo dichiarato dell'allestimento museale è molto lontano dalle finalità celebrative discusse in questi giorni: nella presentazione visibile a tutti sul sito ufficiale, l'obiettivo è quello di fornire strumenti concettuali, documentazioni, ricerche, per comprendere come e perché un personaggio così controverso abbia potuto formulare le sue teorie, nelle quali vi furono errori di metodo scientifico che lo portarono a conclusioni poi risultate e riconosciute come del tutto errate. Nessuna celebrazione dunque, nessun santuario della pseudoscienza lombrosiana né alcuna volontà di riportare teorie obsolete in voga: la semplice funzione storica che qualsiasi museo svolge, quella di ricordare, anche se a volte con documenti forti e poco piacevoli, il percorso compiuto dall'umanità per arrivare ad essere ciò che siamo oggi.
Il direttore scientifico del museo, Silvano Montaldo, ha ribadito lo stesso concetto: "È impensabile che un ente come l'Università di Torino si faccia promotore di un messaggio razzista. Il pensiero di Lombroso è figlio del suo tempo e lo scopo del museo, inserito in un contesto multiculturale e impegnato in iniziative anti razziste con le scuole, non è di tipo celebrativo".
Ma la polemica continua da anni, e non senza conseguenze importanti: nell'ottobre 2012 infatti, una sentenza del Tribunale di Lamezia Terme ha stabilito la restituzione, da parte dell'Università, delle spoglie di uno dei cadaveri contenuti nel museo. I resti sono quelli di Giuseppe Villella, presunto brigante sul quale Lombroso fece il suo primo esperimento nel 1872. Dopo una lunga battaglia condotta dal comitato No Lombroso, il tribunale ha sentenziato la restituzione del corpo, o di quello che ne resta al suo paese natale, Motta Santa Lucia, in provincia di Catanzaro.
Un risultato di certo importante, se ci fosse ancora qualcuno spaventato dalle conseguenze di teorie ormai obsolete e prive di qualsiasi fondamento: teorie che però paradossalmente, per quanto datate ed oggettivamente folli, se prese ad esempio per una battaglia ideologica forte possono tornare ad essere molto pericolose, soprattutto se vengono a mancare gli strumenti di concettualizzazione e documentazione storica a riguardo.