Dune, il capolavoro di Frank Herbert che ha anticipato l’infausto presente in cui viviamo
La fantascienza è il genere della precognizione per antonomasia e Dune, la saga capolavoro di Frank Herbert che ha ispirato l'omonimo film di Denis Villeneuve, vincitrice del Premio Hugo e del Premio Nebula (due dei riconoscimenti più prestigiosi in ambito science fiction) ne è la dimostrazione.
Perché Dune è ancora così attuale
Viviamo in tempi perturbanti e angosciosi, contrassegnati dai conflitti per l'accaparramento delle risorse naturali (basti pensare alla competizione estrattiva tra Cina e Stati Uniti per l'approvvigionamento di terre rare e altri minerali critici, che rappresentano ormai "il nuovo petrolio" che anima gli appetiti delle superpotenze globali), dalle avvisaglie di catastrofe di un mondo sull'orlo della sesta estinzione di massa (a tal riguardo, l’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite è stato categorico: gli ultimi cinque anni sono stati i più caldi che siano stati registrati dal 1850 a oggi, e l’ultimo decennio potrebbe essere stato il periodo più torrido degli ultimi 125mila anni. È già troppo tardi per mantenere la soglia di riscaldamento globale al di sotto dei 1.5°C rispetto ai periodi pre-industriali, possiamo soltanto tamponare l'emorragia), dall'emergenza abitativa (si stima che il 25% della popolazione urbana mondiale viva in insediamenti informali; con riferimento ai soli Stati Uniti, ogni anno, oltre 2 milioni di famiglie vengono sfrattate dalle loro case: una media vertiginosa di 4 al minuto) alle disuguaglianze spaventose e incolmabili nella distribuzione della ricchezza (pensiamo a come i rapporti dell'Oxfam ci abbiano abituati al triste ritornello "L'1% più ricco della popolazione mondiale possiede più risorse del resto del mondo"). Ebbene, con Dune, Frank Herbert non soltanto ha anticipato buona parte di questi cortocircuiti, ma ha suggerito delle possibili vie d'uscita e prefigurato dei modelli di futuro alternativi e in perfetta controtendenza rispetto alle narrazioni dominanti che ci vorrebbero immersi nel "migliore dei mondi possibili".
Cosa ha spinto Frank Herbert a scrivere Dune
L'ispirazione per la stesura di Dune affonda le radici nel 1959, quando Frank Herbert era un giornalista freelance con una passione viscerale per l'ecologia. Ai tempi stava lavorando febbrilmente su un reportage relativo ai progetti che il dipartimento dell'Agricoltura statunitense aveva promosso per risolvere la complicata situazione di Florence, una cittadina dello stato dell'Oregon inghiottita da gigantesche dune di sabbia che stavano mettendo a serio rischio le popolazioni locali: rimanendo scosso dai mutamenti che quegli enormi mostri sabbiosi riuscivano a imporre all'ambiente naturale e alle abitudini di vita delle persone, Herbert cominciò a oliare i meccanismi dell'immaginazione, giungendo a concepire un pianeta desertico in cui l'acqua, bene scarso e sottoposto a rigidi controlli, è più preziosa dell'oro.
Dune e la finitezza delle risorse
Del resto, già in quegli anni, per alcune comunità la lotta per la fonte primaria della vita era già una realtà quotidiana: il passo successivo fu quello di studiare i loro usi e costumi, approfondire le cause della desertificazione, leggere una quantità sconfinata di report, saggi e articoli di approfondimento, fino ad acquisire un know-how che gli permettesse di padroneggiare una tematica così delicata e specifica e di utilizzare il filtro della finzione per persuadere i lettori che, in un futuro non troppo lontano, la sua distopia avrebbe potuto tramutarsi in realtà. Delle intuizioni che, oggi, parlano più che mai al presente: secondo Kofi Annan, ex segretario generale delle Nazioni Unite, l’accesso alle risorse idriche e il loro controllo potranno essere una tra le cause delle guerre del XXI secolo; da più di dieci anni, nella cronaca geopolitica l'acqua è definita "oro blu", un termine che racconta molto bene i cambiamenti che, complici mezzo secolo di neoliberismo senza freni e deregolamentazione selvaggia in tutti i settori, hanno finito per stravolgere la natura di una risorsa essenziale per le nostre esistenze e per la sopravvivenza della nostra specie, che ha ormai acquisito le fattezze di una bene di consumo da posizionare sul mercato e di una fonte strategica che può trasformarsi in una vera e propria arma di pressione diplomatica.
Dune e il colonialismo
Arrakis (noto anche come Dune) è il perfetto referente letterario della catastrofe che, di lì a pochi decenni, avrebbe costretto l'umanità a ripensare i propri paradigmi di sviluppo: sottomesso al giogo di caste ricchi e potenti come quella degli Harkonnen (eccola, la concentrazione della ricchezza di cui parlavamo poco sopra), che governano la popolazione con pugno di ferro, di fatto schiavizzandola, è ormai un mondo arido e morente, in cui la lotta per l'approvvigionamento del melange, chiamato anche "spezia" (una droga, prodotta dai pericolosissimi vermi delle sabbie, capace di estendere la durata della vita umana di centinaia di anni) è diventata lo status quo di un'esistenza precaria. A farne le spese – un po' come accade nel nostro, di mondo, dall'Amazzonia di Bolsonaro funestata dagli incendi agli Inuit canadesi costretti ad abbandonare le loro case per via dello scioglimento dei ghiacci – sono ovviamente le popolazioni indigene, proprio come gli abitanti "originari" di Arrakis (dove, in realtà, sono arrivati dopo una lunga diaspora intergalattica), i Fremen, una civiltà depositaria di antichi saperi che ha saputo adattarsi e sopravvivere in un mondo così inospitale, imparando a fare i conti con la scarsità d'acqua e riuscendo a giocare un ruolo cruciale per gli equilibri dell'impero, data la loro capacità di adattamento alle distese desertiche che li rende perfetti per la raccolta del melange. Come ha scritto Alessandro Mazzi in un bellissimo articolo su Kobo: "Nell’estrazione e monopolio della spezia, Herbert compie una critica feroce del colonialismo europeo e americano, mentre allo stesso tempo rivela la pochezza spirituale del potere occidentale, indicando che qualunque pretesa di dominio sulla cultura indigena porta il colonizzatore a fare i conti con l’assuefazione derivante dalla propria spiritualità perduta".
Come Dune ha anticipato il presente
Herbert aveva intuito queste trasformazioni da tempi non sospetti, addirittura dodici anni prima della pubblicazione del rapporto The limits to growth, l'indagine che il Club di Roma commissionò a un gruppo di ricercatori del MIT – i coniugi Meadows, Jørgen Randers e William W. Behrens III – nel 1972 con l'ambizione di fotografare lo stato di salute del Pianeta e delle sue risorse. La ricerca, pubblicata a due anni di distanza dal primo Earth Day, dimostrò scientificamente l’esistenza di un limite invalicabile alle tanto decantate “magnifiche e progressive sorti dell’umanità”, rappresentato dalla finitezza delle risorse a disposizione presenti in quantità fissa in natura, come il petrolio, il carbone e il gas naturale, ricreando le condizioni per una mobilitazione globale in difesa della Terra.
Un universo narrativo straordinario in cui perdersi
Anche se oggi il tema dell’esauribilità delle risorse tiene banco su base quotidiana – e, per fortuna, i dubbi relativi all'incidenza di questo fattore sulle sorti del genere umano sono stati pressoché azzerati -, al tempo lo studio dei ricercatori del MIT fu criticato aspramente e reputato eccessivamente catastrofico: eppure, per Herbert questi quesiti rappresentavano una priorità assoluta già nel 1959, ai tempi del reportage sui mostri di sabbia dell'Oregon. Del resto, l'osservazione del quotidiano delineava continuamente i contorni di un pianeta un tempo florido e ospitale che, dopo aver garantito per anni crescita e benessere a un'umanità che, per tutta risposta, ha depauperato le sue risorse senza soluzione di continuità, stava per rivelare il suo volto peggiore, costringendo gli homo sapiens a mettere in discussione credenze acquisite nell'arco di secoli e a pagare un conto salatissimo per i loro appetiti estrattivi. Dune è soprattutto questo: un manuale di consapevolezza ecologica e una profezia auto-avverante che ha anticipato il presente funesto in cui viviamo; nel farlo, però, Herbert non ha vestito i panni del messaggero dell'Apocalisse: si è limitato a tessere le trame di un racconto straordinario e ad innovare, per sempre, quell'oggetto letterario ambiguo che chiamiamo fantascienza, creando un universo narrativo straordinario in cui perdersi.