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Droghe e deliri: le pagine più “stupefacenti” della letteratura

Hashish, oppio, mescalina e LSD. Dai paradisi artificiali di Baudelaire alla “scimmia” di Burroughs, passando per Dr. Jekill e Mr. Hide: cinque esempi di cosa accade quando le droghe si mischiano con la letteratura.
A cura di Federica D'Alfonso
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Scena dal film "Paura e delirio a Las Vegas"
Scena dal film "Paura e delirio a Las Vegas"

La letteratura è piena di esempi di esperienze tratte dal mondo delle droghe. Moltissimi autori famosi hanno ammesso di averne fatto uso, dalle più pesanti alle più leggere, per potenziare le loro capacità artistiche: discusso è anche il termine “potenziamento”, in quanto è errato pensare che le droghe arricchiscano le capacità creative e immaginifiche dell'essere umano. Le droghe alterano sì la realtà, ma la realtà è continuamente costruita solo ed esclusivamente dall'individuo sulla base delle proprie esperienze. Nonostante le controversie interpretative sull'uso degli stupefacenti nella letteratura, alcune delle pagine più belle derivano proprio da questa strana commistione di immaginazione e psichedelia. Kerouac, Hugo, Novalis, Bulgakov, Bulgakov, Cocteau, Artaud, Ginsberg: questi sono solo alcuni dei nomi che hanno firmato opere ispirate dalle droghe. Ecco cinque libri che chiariscono il rapporto, particolare e complesso, fra droga e arte.

1. "Le porte della percezione", di Aldous Huxley

"Le porte della percezione", copertina dell'edizione Mondadori
"Le porte della percezione", copertina dell'edizione Mondadori

“Le porte della percezione” è stata una delle opere più influenti del secolo scorso: la nota band “The Doors” prese il nome proprio da questo saggio di Huxley. Le pagine raccontano le esperienze vissute tramite l’utilizzo della mescalina, principio attivo del peyote, sotto l'osservazione dello psicologo Humphrey Osmond. Il testo, arricchito da continue citazioni e paragoni, analizza in maniera scientifica l'assimilazione della mescalina da parte degli organi: inibendo l'assimilazione di glucosio da parte del cervello, la droga ne ridurrebbe la facoltà di filtro. L'attenzione viene quindi distolta per effetto della sostanza psichedelica e rediretta verso diverse forme di interesse: Huxley ritiene che qui si possa formare una sorta di esperienza mistica, un grado diverso e più elevato di consapevolezza e di percezione.

2. "I paradisi artificiali", di Charles Baudelaire

Appartiene all'opera “Paradisi artificiali” la famosa citazione che rivela che “chi beve solo acqua a qualcosa da nascondere”. Charles Baudelaire scrisse il saggio nel 1860, e oltre a parlare “del vino” si dedica a descrivere gli effetti dell'hashish e dell'oppio. È noto come molte altre delle opere del poeta francese, e alcune delle poesie più belle, siano state scritte sotto l'effetto degli oppiacei e dell'alcol. Seppur affascinato e in qualche modo dedito alle droghe (Baudelaire faceva parte, insieme a Rimbaud, Malarmé e Hugo, del cosiddetto “Club des Hashischins”) nel saggio Baudelaire passa da un iniziale elogio della droga quale strumento umano per soddisfare il "gusto dell'infinito" ad una irrimediabile condanna: l'Artista, che segue i Principi Superiori dell'Arte, non può che rifiutare la droga come mezzo di creatività.

Orrenda è la sorte dell'uomo la cui immaginazione, paralizzata, non sia più in grado di funzionare senza il soccorso dell'hashish o dell'oppio.

3. "Lo strano caso di Dr. Jekill e Mr. Hide", Robert Stevenson

Poster ispirato alla prima edizione del romanzo
Poster ispirato alla prima edizione del romanzo

Sia sul piano scientifico che su quello morale, venni dunque gradualmente avvicinandomi a quella verità, la cui parziale scoperta m'ha poi condotto a un così tremendo naufragio: l'uomo non è veracemente uno, ma veracemente due.

Il dottor Jekill giunge a questa conclusione dopo aver ottenuto una pozione dagli effetti straordinari: il protagonista del noto romanzo di Robert Louise Stevenson sperimenta su di sé gli effetti della nuova invenzione, che fa emergere improvvisamente una seconda e spaventosa natura, quella del signor Hide. Attraverso lo strano miscuglio di diverse sostanze, il protagonista, da educato con solidi principi morali si trasforma in un essere brutto, sadico, selvaggio ed egoista. Una profonda riflessione sull'animo, sempre scisso, umano: una scissione mai del tutto effettiva, in quanto ciascuna delle due parti conserva una traccia, un ricordo, dell'alter ego. Pubblicato nel 1885, “Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde” è uno dei più famosi romanzi polizieschi del secolo: pochi sanno però, che esso venne scritto in soli sei giorni sotto l'effetto di derivati dell'ergot, un fungo delle segale e del frumento, allucinogeno e potenzialmente letale.

Il dramma del dottor Jekill nasce dunque così, e non a caso la trasformazione del personaggio avviene tramite un intruglio artificiale: Robert Louise Stevenson riporta nel romanzo una delle esperienze più forti della sua vita, ovvero la dipendenza da ergotina. L'ergotina veniva utilizzata nell'Ottocento come rimedio contro la tubercolosi, e Stevenson era appunto tubercolotico: secondo due studiosi dell'università di Glasgrow, l'effetto su Stevenson fu quello di trasformarlo in una sorta di “doppio” del suo Mr.Hide, dandogli la spinta per scrivere il romanzo. Si racconta addirittura che la moglie, durante la dipendenza di Stevenson dalla sostanza, riuscì a stento a convincerlo a smettere di stare a letto in posizione inginocchiata con la faccia sul cuscino. Due settimane dopo, Stevenson scriveva il famoso racconto sulla duplicità della natura umana.

4. "La scimmia sulla schiena", di William S. Burroughs

William S. Burroughs con David Woodard, in piedi dietro a una dreamachine
William S. Burroughs con David Woodard, in piedi dietro a una dreamachine

Insieme a Jack Kerouac e Allen Ginsberg, William S. Burroughs fu uno dei più influenti scrittori della cultura beat. Con “Junkie”, tradotto in italiano con l'allegorico titolo di “La scimmia sulla schiena”, Burroughs porta nella letteratura lo scottante tema dell'eroina. Il romanzo esce nel 1953, e si tratta di uno sguardo lucido, estremamente scientifico e crudelmente personale sulla tossicodipendenza, la sua "scimmia", come definisce il bisogno di droga nel momento dell'astinenza. Il suo è un resoconto è preciso, lucido, attraverso uno stile pulito, senza fronzoli, diretto e pericoloso: il romanzo si pone come una visione nello stesso momento "ad personam" e sociologicamente di massa, uno sguardo crudele sull'America che stava iniziando a conoscere i movimenti artistici giovanili.

Io ho imparato molto ricorrendo alla droga: ho veduto la vita misurata in pompette contagocce di morfina in soluzione. Ho provato quella straziante privazione che è il desiderio della droga e la gioia del sollievo quando le cellule assettate di droga la bevono dall’ago. (…) Non esiste chiave, non esiste segreto in possesso di qualcuno e che possano essere ceduti. Ho imparato l’equazione della droga. La droga non è, come l’alcool o come la marijuana, un mezzo per intensificare il godimento della vita. la droga non è euforia. È un modo di vivere.

5. "Kubla Kahn", di Samuel Taylor Coleridge

Pagina autografa del romanzo "Kublai Khan"
Pagina autografa del romanzo "Kublai Khan"

A Xanadu Kubla Khan volle un'imponente dimora di piacere, dove Alfeo, il sacro fiume, trascorre caverne ad occhio umano smisurate e s'immerge in un mare senza sole.

Un viaggio affascinante attraverso le meraviglie del palazzo dell'imperatore mongolo Kublai Khan, che inizia a causa (o grazie?) ad una visione in sogno indotta dall'oppio. Dopo essersi svegliato il poeta Samuel Coleridge inizia a scrivere alcune linee del poema che non venne però mai completato. Grazie a Byron, il testo venne comunque pubblicato nel 1816, incompleto. Considerata una delle opere principali di Coleridge, essa porta all'estremo l'immaginazione descrivendo paesaggi e spazi oltre il reale: il carattere onirico dell'opera fa sì che i diversi quadri si susseguano senza un preciso collegamento tra loro, con sensazioni e immagini dunque forti e improvvise.

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