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Diego De Silva: “Raffaella Carrà ha normalizzato la trasgressione in un’Italia bigotta”

Raggiunto da Fanpage.it Diego De Silva, autore dei libri con protagonista Vincenzo Malinconico, ricorda con minuzia di particolari Raffaella Carrà. L’icona della tv è spesse volte citata dall’avvocato nato dalla penna dello scrittore campano che, quindi, ci spiega perché “la Carrà non ha eredi, nella televisione attuale non potrebbero mai esserci”.
A cura di Ilaria Costabile
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Raffaella Carrà ci ha lasciati, in un caldo giorno d'estate è morta all'età di 78 anni, senza fare rumore, in controtendenza con quanto lei stessa avesse fatto per una vita e una carriera intera, costruita attorno alla musica e allo spettacolo. Una artista che ha primeggiato con naturalezza tra i grandi nomi della televisione, tra coloro che hanno gettato le fondamenta dell'intrattenimento all'italiana. A palarci del mito di Raffaella Carrà, del suo essere rivoluzionaria, è Diego De Silva, scrittore dal cui estro nasce il personaggio di Vincenzo Malinconico, che spesse volte nelle sue peregrinazioni mentali, nel soffermarsi a leggere la realtà, analizza in maniera puntuale la grandezza di quella che, a tutti gli effetti, è diventata un'icona pop.

Chi meglio di Diego De Silva o Vincenzo Malinconico, che tanto ne ha parlato nei suoi libri, potrebbe ricordare un'icona come è stata Raffaella Carrà. 

In effetti nel terzo libro di Vincenzo Malinconico (Sono contrario alle emozioni ndr) potrei dire che è la vera protagonista. Nei libri di Malinconico io gioco con le canzoni di musica leggera italiana, per leggerle, dargli un taglio differente. Nel caso di Raffaella sono sempre stato convinto che lei fosse un personaggio molto all’avanguardia, era davvero un personaggio pop. È riuscita ad infrangere una serie di tabù pur restando all’interno di un contesto istituzionale, quello della tv generalista. La televisione italiana per come noi la conosciamo è stata fondata da lei, Mike Bongiorno, Pippo Baudo, Corrado.

Non a caso è stata una delle figure più versatili della televisione italiana, tra le più irriverenti.

Raffaella Carrà riusciva ad essere presentatrice, cantante, star, ballerina, aveva fatto molte esperienze di cinema, recentemente l’ho vista in un vecchio film con Frank Sinatra. Era abbastanza poliedrica, aveva capito molto prima di tantissimi altri che c’era la possibilità di lavorare su un personaggio che si muovesse su più campi. Riusciva ad essere contemporaneamente più cose, ed è quello che mi colpiva molto, perciò ne ho parlato nei miei libri soffermandomi sull’analisi delle sue canzoni. Le canzoni che lei faceva erano molto dirette, all’avanguardia per l’epoca. Lei stessa era all’avanguardia dal punto di vista scenico, è stata la prima a mostrare l’ombelico. La prima a dare una familiarità al corpo, prima di lei non esisteva. Scoprire l’ombelico era qualcosa di fortemente allusivo, molto sensuale, simbolico e lei riusciva a far passare questa allusività in televisione, in prima serata, in programmi per famiglie. Era questa la sua grandezza.

Eppure il pubblico non l'ha mai percepita come un personaggio trasgressivo, secondo lei perché? 

La sua forza era questa: era molto familiare. Piaceva alla gente, a milioni di persone, quando ho saputo che era un'icona gay la cosa mi ha colpito molto, perché lei era adorata dalle massaie, era adorata dagli operai, dai gay, questo mostra quanto fosse  trasversale, quanto riusciva ad arrivare a tutti e allo stesso modo. Se la Carrà avesse voluto lavorare sulla nicchia dell’avanguardia avrebbe avuto un successo internazionale, poteva diventare una rockstar, invece no, lei attraverso questa familiarità quel personaggio lo ha diluito, lo ha anestetizzato e ha trascinato anche i suoi brani in una dimensione popolarissima.

Però credo si tratti di una scelta, quella di non espandersi come avrebbe potuto. 

Sì, lo ha scelto, senza dubbio. Credo che la Carrà avesse un grande rispetto e un grande affetto nei confronti del pubblico, era una persona riconoscente. Era una donna che aveva capito di avere delle grandi potenzialità altrove, però le piaceva giocare su più tavoli, era una artista all’avanguardia che aveva sperimentato una serie di forme estetiche trasgressive, nuovissime, e molto scandalose per l’epoca e lei riusciva a far passare tutto. In questo senso è stata unica e certamente non ha eredi e non perché lei non abbia voluto, ma perché nella televisione attuale non potrebbero neanche esserci.

Nel suo libro, Sono contrario alle emozioni, analizza il testo di Rumore. La ritiene una canzone innovativa, dove il ritmo della musica dance quasi attenua il significato stesso del pezzo. Ci spieghi meglio. 

Credo che la Carrà avesse il potere di contraddire e diluire se stessa. In Rumore è evidente. Questa canzone parla di una donna rimasta sola dopo la fine di un rapporto e inizia a vivere la vita da single. Una sera, a casa da sola, sente un rumore e ha paura, rimpiange l’uomo che non è più accanto a lei e, quindi, sperimenta la fatica della libertà: pago la mia libertà a caro prezzo, questo era il senso del pezzo. Su questo brano, in particolare in una delle copertine del 45 giri, la Carrà indossa una maschera che lascia scoperti solo gli occhi. È vestita come un rapinatore, psicologicamente cosa significa questo? Lei si identifica con l’aggressore, quindi, è come se dicesse "sono l’aggressore di me stessa". Questo era un pezzo sulla paura. E lei non solo fa un pezzo sulla paura, che è un pezzo dance, ma lo fa in una maniera intelligentissima: c'è il basso che pulsa costantemente proprio come un cuore che pulsa perché preso dal sentimento dell’inquietudine. Nello stesso tempo esteticamente lei raffigura la canzone, mostrando solo gli occhi come il ladro che le entra in casa, se lo avesse fatto Peter Gabriel sarebbe stata una cosa eccezionale, lo ha fatto la Carrà e sembra una cosa normale. E quella era la stessa ragazza che vedevi presentare Canzonissima con Corrado. È come, per intenderci, se il cantante dei Maneskin dopo aver cantato "Sono fuori di testa ma diversi da loro", andasse a fare il chirichetto alla Santa Messa, uguale, ma lei se lo poteva permettere.

Copertina di Rumore
Copertina di Rumore

Se Damiano dei Maneskin facesse il chirichetto in chiesa, la cosa farebbe notizia, con la Carrà questo al contrario non accadeva. Era tutto fluido, non trova?

Era lei che normalizzava. Il suo non era un tempo disposto ad accettare una proposta scandalosa, al contrario. Siamo l’Italia che per molto tempo non ha potuto vedere Ultimo tango a Parigi, era una Italia bacchettona, bigotta e molto proibizionista, era Raffaella che riusciva a far passare tutto questo attraverso un codice che veniva accettato e questa era una sua capacità naturale, un talento che aveva ancora prima del saper cantare del saper presentare. Entrava in sintonia con i gusti delle persone e far passare dei contenuti, in cui chiaramente credeva, era lei che riusciva ad anestetizzare il messaggio scandalistico e nessun altro lo ha fatto. Chi in televisione ha pisciato fuori dal vaso l’ha pagata sempre.

Come nasce il feticcio di Malinconico per la Carrà?

Era tanto tempo che riflettevo su di lei come personaggio. In un libro parlo di un altro pezzo che era la sigla di una Canzonissima, una trasmissione che faceva milioni e milioni di telespettatori. Il pezzo era Chi sa se va, dove lei dice “La vita è tanto bella ma se non ci sta il coraggio non è saporita senza un po’ di guai”. La canzone viene cantata da milioni di persone, come se fosse una cosa assolutamente ovvia. Facciamo un salto di 25 anni o qualcosa in più: Vasco Rossi va a Sanremo con Vita Spericolata e canta “Voglio una vita, la voglio piena di guai”, e succede il finimondo. La Carrà ha anticipato Vasco Rossi di almeno trent’anni e nessuno se n’è accorto, arriva Vasco Rossi sul palco del Festival e quella strofa fa uno scalpore allucinante. Questo per dire quanto fosse avanti, era una cosa che lei faceva con una naturalezza, cantata in una sigla, una canzone che rimane nella memoria per sempre. Era proprio Madonna ante litteram, una che ha anticipato tutto.

Ma, in tutto ciò, Diego De Silva ha conosciuto Raffaella Carrà?

No, ma avrei tanto voluto. Adesso stiamo girando una fiction su Malinconico, abbiamo fatto il primo step e il secondo lo gireremo a settembre. Stiamo già iniziando a pensare al dopo, nel caso la serie dovesse andare bene, e in una eventuale seconda stagione avrei tanto voluto lei, farle fare un cameo, partecipare alle riprese, colloquiare proprio con Malinconico sulle canzoni, sarebbe stato bellissimo. È un grande rammarico, lo stesso che provo per Massimo Trioisi e Fabrizio De Andrè se il Padre Eterno non li avesse portati via così presto.

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