Nella notte del 4 gennaio il cuore di Napoli si fermò. Una corsa folle all'ospedale Sant'Eugenio di Roma, partendo dalla sua villa tra Magliano e Orbetello, in Toscana, conclusasi con la constatazione del decesso da parte dei sanitari alle 22.45. La città lo apprese nella notte inoltrata, quando era già il 5 gennaio, a ventiquattrore da una notte di festa per tutti i napoletani, quella della Befana. Fu una notte di lacrime e di ricordi. Di centomila persone che riunirono a Piazza del Plebiscito per cantare le sue canzoni. Pino Daniele è morto così, lasciando un posto vuoto nella musica napoletana colmato però da un ricordo costante che ancora oggi continua a influenzare generazioni di musicisti e di appassionati.
La rivoluzione blues di Napoli
Pino Daniele è stato una rivoluzione per Napoli. Ne ha reinventato il suono, creando un ponte inedito tra i vicoli dei Quartieri Spagnoli e il Delta del Mississippi. Partito nel solco dei Napoli Centrale di James Senese, come lo stesso mahatma del jazz ci ha raccontato, Pino Daniele ha costruito disco dopo disco, la sua rivoluzione mescolando il blues e la tarantella, George Benson e Roberto Murolo. Pino Daniele cercava "il sapore del Mediterraneo", come viene raccontato dal figlio Alessandro nel libro uscito per RaiLibri nel 2022, "Tutto quello che mi ha dato emozione viene alla luce". Qualcosa di impossibile, una commistione impensabile, che in parte era riuscita a Renato Carosone, ma con i testi intrisi di umorismo e doppi sensi. Pino aveva dentro un messaggio di rabbia, voleva mangiare il mondo e in questa sintesi tra linguaggi e mondi differenti ha lasciato un manifesto culturale impossibile tenere da parte, quando si vuole avere a che fare con l'universo Napoli.
Quando parte Napule è, sei già dentro il mistero della città spiegato anche a chi tutti i giorni la vive e crede di conoscerla. Je so' pazzo è la voce che si ribella, ma che finisce strozzata proprio come è finito Masaniello. Quanno chiove è struggente al punto che sembra partorita dalla stessa lucida poetica di Salvatore Di Giacomo. Come d'altronde, A me me piace ‘o blues è la più vivianesca delle canzoni di Pino Daniele perché, al pari del teatro di Raffaele Viviani, mescola tradizione e innovazione. Quando è il simbolo di una trasformazione compiuta, di un bluesman pronto a scegliere di cantare in italiano. Una scelta che, inevitabilmente, ha spezzato la carriera in due parti distinguibili dalle lingue, ma che hanno dato a Pino Daniele nuova linfa.
Oltre i confini di una città cristallizzata
Erano in tanti – dotti, medici e sapienti – a volere che Pino Daniele diventasse il custode di una napoletanità cristallizzata. Critica e pubblico lo cercavano nel passato, lui se ne andava tra le sperimentazioni di melodie arabe e altri mondi sonori mai esplorati. Cito tra tutte, le perle realizzate con Al Di Meola (da The Infinite Desire a Acqua ‘e rose), la ferocissima voglia di elettronica in Come un gelato all'equatore, il mondo arabo di Medina e quello caraibico di Iguana Cafè. Nel 2007, un disco dal titolo in polemica con l'ambiente: Il mio nome è Pino Daniele e vivo qui, la foto dell'album è una soggettiva del pianeta Terra visto dalla Luna.
Il decennale e le celebrazioni
Sarà questo l'anno delle celebrazioni e delle ricorrenze. Ci saranno tante iniziative – un live contest, una mostra al Palazzo Reale, un documentario ufficiale diretto da Francesco Lettieri con Federico Vacalebre e un concerto tributo in Piazza del Plebiscito a settembre – tutte con il sigillo "70/10 Anniversary" della Fondazione Pino Daniele, a cui va dato merito di aver saputo gestire il peso del nome di Pino Daniele. In dieci anni, sono state centellinate le attività ufficiali, pochissimi i singoli prima di "Again", giusto qualche provino, qualche piccola traccia, ma nulla che avesse mai dato idea di pensare a una mercificazione del mondo di Pino Daniele. Ci saranno anche tante attività non ufficiali, ma non per questo meno importanti: pensiamo al libro in uscita il 17 gennaio Feeling. Pino Daniele di Gianni Valentino per Colonnese. Una sorta di calendario per ricordare, una canzone al mese, l'unicità del bluesman.
La sua chitarra ora tace, ma il suo messaggio continua a risuonare. La musica è un ponte, non un muro. E Napoli, grazie a Pino, ha imparato a suonare il blues e a guardare il futuro, senza mai dimenticare le sue radici. Pino Daniele, oggi e per sempre, è la colonna sonora di una città che non smette mai di reinventarsi.