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David Espinosa, il microteatro che sfida le grandi produzioni

Con “Mi Gran Obra (un proyecto ambicioso)” il ballerino e performer spagnolo mette in scena, alla Biennale Teatro, un piccolo grande spettacolo: un colossal in scala 1:87.
A cura di Luca Iavarone
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Un'operazione poderosa e portentosa, in tempi di crisi e tagli alla cultura, quella di infilare in un solo spettacolo 300 attori, un elicottero, un'orchestra, un elefante; per non parlare del cammeo del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama in persona, protagonista di una delle scene più spettacolari dell'intera storia del teatro: il suo stesso assassinio per mano di un cecchino.

I costi di un'operazione del genere, considerando solo questi elementi, sono esorbitanti, ma se ci aggiungiamo anche che la megastruttura in cui tutta la pièce va agita è un enorme carro mobile compatto, frutto dell'ingegno di un architetto contemporaneo di rara bravura (senz'altro destinato a entrare nel gotha delle archistar), ci rendiamo conto di essere di fronte a un grande evento culturale, con alle spalle una grande produzione internazionale; oppure ad un grandissimo spreco di denaro. E come ha potuto la Biennale Teatro 2013 permettere una tale concentrazione di risorse in un solo spettacolo? E possibile che nessuno ancora abbia gridato allo scandalo?

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C'è solo una risposta plausibile: che a ideare la pièce sia stato David Espinosa. Spagnolo, calsse 1976, di formazione ballerino di danza contemporanea e successivamente performer teatrale con Àlex Rigola, Segi Faustino e Mal Pelo, Espinosa è una delle scoperte più convincenti di questa Biennale. Con un impianto minimale (qualche riflettore, due speaker e una valigia piena di personaggi in miniatura) ha allestito uno spettacolo dignitosissimo e scorrevole, dal tono mai retorico e per nulla compiaciuto, in una piccola sala di Palazzo Giustiniani. Di fronte a una platea ridottissima di 20 spettatori al massimo, disposti su tre file e dotati di un binocolo, l'autore di "Mi Gran Obra (un proyecto ambicioso)" incolla, una alla volta, in sequenza, le sue piccole comparse su di una tavola di scotch biadesivo. Il gioco risulta sempre piacevole e imprevedibile, perché ogni scena e ogni inquadratura su cui il nostro binocolo si sofferma è soggetta ad un continuo ed implacabile slittamento di senso.

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Se in un tableau regnano insieme il narcisismo solare della bagnante, il contrasto sportivo di due calciatori, l'esposizione del pancione di una donna incinta e la nuda spensieratezza di bambino, basta l'aggiunta di pochi personaggi accanto a ciascuna microstoria perché la narrazione da innocua assuma i toni violenti della sopraffazione e del sopruso: la bagnante è così affiancata da un'auto accartocciata divenendo vittima e simbolo di una tragedia, ai calciatori viene piazzato sotto i piedi un arbitro, la donna incinta è minacciata dalla presenza di due energumeni, il bambino nudo diventa l'oggetto del voyeurismo di un operatore televisivo. Ma tema ricorrente nell'opera di Espinosa è anche la critica al mercato e alla società capitalistica, che imperversa in quasi ogni scena grazie al peso e all'ingombro di una gigantesca (considerate le minuscole dimensioni degli attori) lattina di CocaCola, albero della vita di un turismo irresponsabile e consumista e, poco dopo, pianeta intorno al quale la Terra è costretta a girare come un satellite. Anche una riflessione sul tempo e sulla vita è possibile ed efficace grazie a questa elegante tecnica di giustapposizione, a metà tra la stop motion ed il time lapse ma dal ritmo teatrale di danza.

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Non di scarsa importanza la scelta di fornire un binocolo ad ogni spettatore, squisita intuizione che duplica amplificandolo il piano di ricezione dell'opera. La divertentissima scena di sesso su tamburello battuto e l'immaginifica già citata uccisione di Obama completano ed arricchiscono il quadro. Certo la provocazione, la "trovata", la critica al modello circense vuoto e spettacoloso delle grandi produzioni avranno giocato e giocheranno un buon ruolo nella diffusione di questo spettacolo, ma c'è da dire che "Mi Gran Obra" è un'operazione riuscita e autosufficiente di per sé, poetica e sensata, ben al di là della contingente polemica sui finanziamenti.

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