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Daria Bignardi, la ricostruzione emotiva di una vita a partire dai libri che le hanno rovinato la vita

Daria Bignardi racconta l’importanza della sofferenza e degli incontri nel suo ultimo lavoro “Libri che mi hanno rovinato la vita”.
A cura di Francesco Raiola
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Daria Bignardi (foto di Claudio Sforza)
Daria Bignardi (foto di Claudio Sforza)

Raccontare i libri che ci hanno rovinato la vita per raccontare di sé, dei propri demoni, degli amori, ma anche, soprattutto, delle fragilità che ci portiamo dentro fin da bambini e bambine. In "Libri che mi hanno rovinato la vita", Daria Bignardi mette il proprio io – ancora una volta – al centro della stanza e lo fa con un memoir in cui ripercorre la. sua vita a partire dagli anni della formazione e dai libri – saranno tre, alla fine, quelli fondativi – che in qualche modo hanno formato quello che sarebbe diventata nel tempo. Può un libro segnarti a tal punto da incidere sulla tua vita futura? Evidentemente sì, ma il lavoro che fa la scrittrice di "Storia della mia ansia" e "Oggi faccio azzurro" è un lavoro di ricostruzione emotiva più che fattuale. Sono le emozioni a costruire il sostrato di questo libro appoggiandosi su ricordi, amori, bugie, ansie, sui rapporti coi genitori e quelli con gli scrittori e le scrittrici che l'hanno accompagnata.

Un memoir che, come sempre accade, è basato anche sulla ricostruzione che la nostra mente fa della vita: date che siamo certi siano precise, ma che non collimano con le evidenze, copertine che ricordiamo in un modo e così come le ricordiamo non esistono. Sono crepe che più che minare le fondamenta di questo libro, servono a costruirne la sostanza. Perché di crepe, pare dirci Daria Bignardi, è fatta la vita, di crepe che pensiamo possano essere male e che col tempo capiamo essere parte stessa del percorso di vita. A rovinarle la vita ci sono stati Carmelo Bene, Antonio Delfini, Virginia Woolf, Marina Abramovic (ma sono tanti i nomi fatti nel libro, anche di film che troverete comunque in Appendice) ma sono soprattutto tre quelli che alla fine del libro rimarranno: "Il demone meschino" di Sologub, "La foresta della notte" di Dunja Barnes e "Così parlò Zarathustra" di Nietzsche che sono la base da cui partono tutti i discorsi di Bignardi.

"Con Elio ormai ci conosciamo da quasi quarant'anni, anche se ci sentiamo di rado. Alla sua domanda: «Cosa stai facendo in questi giorni?» mi è venuto naturale raccontargli quello che non ho detto ancora a nessuno: «Mah, sto provando a scrivere – attraverso certi libri che mi hanno segnato – di quel piacere di soffrire che ben conosci. Solo che è difficile, faccio fatica, ci sto male». Lui ha risposto, con un sorrisetto che si percepiva anche attraverso il telefono: «Certo che è difficile, ma se non ti facesse soffrire non lo scriveresti»". È solo uno dei passaggi sottolineati di questo libro, di certo uno di quelli in cui la stessa autrice tenta, in diretta, mentre è nell'atto di scrivere, di trovare una risposta a ciò che la spinge a cimentarsi in questa impresa. In altri punti del libro la risposta è che scrivere è ciò che in quell'alternanza di emozioni alte e basse che ci troviamo a vivere ci tiene quanto più possibile lontana dai bassi della vita, dalla malinconia. Se è un po' di verità – senza morbosità – quello che cercate, questo libro vi darà soddisfazione. Se amate la scrittura di Bignardi, ebbene, ancora una volta ne trarrete soddisfazione.

Bignardi ripercorre quello che in maniera diversa ha già raccontato in altre opere, dagli amori al rapporto coi genitori, con l'ansia e i momenti di malinconia ad accompagnarla negli anni, ha raccontato il tumore, lo stress, ma anche i figli e la bellezza di un terrazzo preso in affitto per poco tempo o la Gallura dove ama scrivere. Mentre gli "altri amori malinconici" che costruiscono il sottotitolo sono vari: sono gli amori tossici dell'adolescenza, un'adolescenza avventata, arrogante, stupida e testarda, per parafrasare Abbie Hoffman citato testualmente nel libro, ma anche Caligola di Camus o Cattedrale di Carver, sono gli amori cinematografici come in "Senza tetto né legge", "Into the wild", "Querelle de Brest" ma anche Lou Salomé compagna di Barnes, tra le e gli altri. Amori che hanno un senso nell'epoca in cui li viviamo che ci danno sensazioni diverse – quando ce ne ridanno – se guardati con gli occhi della contemporaneità, con gli occhi delle persone che siamo diventati. Perché alla fine questo è un libro che racconta cosa bisogna affrontare per trovare se stessi, di quanto la sofferenza che crediamo di volta in volta insuperabile sia nutrimento per la definizione di se stessi.

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