Probabilmente è vero che l'Europa sta attraversando i suoi giorni più bui dal Dopoguerra ad oggi. Quelli dell'emergenza sanitaria da coronavirus sono giorni bui in cui si contano i morti, i contagiati, sono giorni bui in cui dividere i malati in terapia intensiva da quelli in sub-intensiva, gli ospedalizzati dai guariti dal Covid-19. Tutti, nella nostra giornata, siamo dilaniati dalla paura e dal timore di poterci ammalare o che qualcuno tra i nostri cari si ammali, soprattutto i più anziani: abbiamo il fiato sospeso per genitori, amici, nonni. Temiamo l'infezione e temiamo le infiammazioni che l'infezione porta con sé, temiamo tutto. Ma sono giorni bui anche per un'altra Europa, quella della cultura.
L'Europa delle opere d'arte, del genio, del sapere, l'Europa dei viaggiatori: pilastri che fanno di questo piccolo e storicamente litigioso continente, il centro della cultura mondiale da millenni. Ed è di questi pilastri oggi in crisi e su cui è fondata l'Europa di cui presto bisognerà tornare a occuparci. Dare fiato e sostegno a musei, siti archeologici, teatri, sale cinematografiche, produzioni audiovisive, ai restauratori, agli artisti di strada, ad attori, librai, editori, operatori turistici, al mondo della formazione e della ricerca: tutto ciò che è arte, cultura e conoscenza. Perché è da questi settori che oggi riteniamo "non essenziali" che storicamente sono arrivate le basi della nostra civiltà.
Se oggi possiamo permetterci di aspettare in tempi record la messa a punto di un vaccino in grado di sconfiggere il virus, ciò lo dobbiamo a secoli di cultura, di pensiero, di filosofia e di arte, di scienza e di creatività che ha consentito allo sviluppo umano di arrivare a livelli tali da poterci consentire di affidarci alla medicina per salvare le nostre vite, quelle dei nostri cari, di tutti. L'Europa della civiltà ha creato la civiltà del mondo, è bene non dimenticarlo mai.