video suggerito
video suggerito

Da Rossellini a De Sica, il neorealismo in mostra a Torino

La parabola del Neorealismo in una mostra al Museo Nazionale di Torino fino al 29 novembre. Settant’anni da quel giorno che ha cambiato il modo di fare cinema: il 26 settembre 1945 in un cineteatro romano viene proiettata “Roma città aperta” di Roberto Rossellini. Inizia così uno dei movimenti artistici più importanti della storia del cinema: il neorealismo, l’esperienza fulminea ma intensa che ha affascinato registi come Bertolucci, Scorsese e Sissako.
A cura di Federica D'Alfonso
40 CONDIVISIONI
Immagine

"Quando da bambino chiesi a mio padre che cosa fosse il neorealismo lui mi disse: esiste un'estetica del bello. Noi, invece, cerchiamo quella dell'utile agli esseri umani". Parla così Renzo Rossellini, figlio del grande regista Roberto, che ha portato per la prima volta sullo schermo questo nuovo modo di fare cinema. C'è anche la sua testimonianza nella grande esposizione che sarà aperta fino alla fine di novembre nell'Aula del Tempio della Mole Antonelliana a Torino: oltre 180 fotografie e documenti inediti, 15 manifesti, e ben 23 monitor che riproporranno le sequenze tratte da più di 55 film. Non solo: 8 interviste esclusive ad altrettanti registi che raccontano il loro rapporto con il neorealismo, tra i quali Martin Scorsese, Davide Ferrario, Marco Bellocchio e Bernard Tavernier. Voci di intellettuali e di scrittori famosi, come Moravia, Godard e Pasolini, che spiegano la loro idea di cinema neorealista. L'esposizione si sviluppa in varie sezioni: Rossellini, Visconti e De Sica che per primi hanno sperimentato le possibilità della nuova realtà, poi Carlo Lizzani, De Santis e Lattuada, fino agli anni Cinquanta e Sessanta e a quanti raccolsero quell'eredità, come Francesco Rosi e Pietro Germi. Una vera e propria enciclopedia del cinema insomma, quella raccolta nelle sale del Museo Nazionale di Torino, un'occasione rara e imperdibile per quanti amano da sempre questo cinema del vero tutto italiano e per quanti, invece, vogliono scoprirlo.

Giuseppe De Santis sul set di Riso amaro, 1949
Giuseppe De Santis sul set di Riso amaro, 1949

Come quasi tutti i film dell'epoca, "Roma città aperta" viene girato avventurosamente, in una città ancora devastata dalla guerra, con l'uso di pellicola muta e spesso scaduta, con un'unica telecamera in spalla e l'aiuto di numerosi attori non professionisti, presi dalla strada. La caratteristica del neorealismo è infatti l'immediatezza: la necessità urgente di raccontare quegli anni, quelle città e quella distruzione.

fotogramma da Germania anno zero, 1947
fotogramma da Germania anno zero, 1947

Un taglio netto con la produzione cinematografica di epoca fascista insomma, che era stata dominata da melodrammi, commedie e film di costume, opere senza dubbio slegate dalla vera realtà. Roberto Rossellini firmerà con queste "regole" altri due film: "Paisà", nel 1946, e "Germania anno zero", l'anno successivo. Insieme, queste tre pellicole, formano la cosiddetta "trilogia della guerra", un racconto disincantato, crudo ma non privo di una cupa ironia, degli anni postbellici.

una scena dal film Paisà, 1946
una scena dal film Paisà, 1946

Assieme a questi, come non ricordare il lavoro di De Sica, che con Cesare Zavattini ha firmato due delle pellicole più indimenticabili della storia: "Sciuscià" (1946) e, su tutte, "Ladri di biciclette" (1948).

Ladri di biciclette di Vittorio De Sica, 1948
Ladri di biciclette di Vittorio De Sica, 1948

Il Neorealismo è nato con l'anno zero, con la Resistenza. L'analisi e l'esaltazione del mondo degli umili, dei poveri, gli stessi che hanno fatto la Resistenza in Italia e hanno inferto l'ultimo colpo al fascismo; senza la caduta del fascismo, senza la Resistenza, il neorealismo non poteva nascere.

Questa la forte testimonianza di De Santis, che, proprio per la sua dura impronta politica, è stato forse messo un po' da parte nelle riflessioni strettamente estetiche su questo movimento. Altri accusarono questi registi di denigrare l'Italia, descrivendola con toni esageratamente foschi e pessimisti: le voci che hanno tentato di definire il Neorealismo, nel corso del tempo, sono state innumerevoli. Se la poetica dell'immediato, del vero a tutti i costi e a basso costo, se il bisogno di raccontare le contraddizioni di un'Italia devastata attraverso gli occhi e le voci dei più umili, se tutto questo ha fatto nascere le splendide immagini che oggi torniamo a guardare, è vero anche che la prospettiva storico-politica appare oggi indissociabile da linguaggi di questo genere.

De Santis durante la lavorazione del film Non c’è pace tra gli ulivi, 1950
De Santis durante la lavorazione del film Non c’è pace tra gli ulivi, 1950

Cineasti come Roberto Rossellini, Vittorio De Sica e Luchino Visconti, malgrado la povertà dei mezzi a loro disposizione, non lasciarono nulla all'improvvisazione.

Anna Magnani in Bellissima, di Luchino Visconti, 1951
Anna Magnani in Bellissima, di Luchino Visconti, 1951

Un cinema povero ma altamente sofisticato: un linguaggio cinematografico da manuale, che per questo, lascerà il segno negli anni a venire, in registi come Pasolini o Scorsese (che nel suo "Viaggio in Italia", un documentario del 1999, aveva già parlato di questo movimento e dei film, indicandoli come esperienze fondamentali nella sua formazione artistica), ma anche in scrittori come Calvino e Pratolini, che al neorealismo aderirono da subito, contribuendo a caratterizzarlo. Tutto questo, a Torino fino al 29 novembre, mentre contemporaneamente al Cinema Massimo una rassegna cinematografica riproporrà i film più importanti del periodo, abbinati ad opere successive provenienti dalle più disparate cinematografie del mondo ma dichiaratamente ispirate all'estetica e alle opere degli autori italiani del dopoguerra.

40 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views