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Da Primo Levi a Elsa Morante, 5 premi tra i più memorabili dello Strega

Il premio letterario più prestigioso d’Italia raccontato con 5 tra i più bei libri vincitori.
A cura di Silvia Buffo
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Un ritratto di Primo Levi, vinse lo Strega nel '79 con La chiave a stella
Un ritratto di Primo Levi, vinse lo Strega nel '79 con La chiave a stella

Tutto iniziò nel '47, l'anno in cui nel salotto letterario di Goffredo e Maria Bellonci, si riunivano assidui frequentatori, più noti come gli "Amici della Domenica", amici che fino ai giorni nostri sono poi divenuti ben 400, da De Filippo a Pasolini e Moravia, da Guttuso e Bontempelli a Piovene e Savinio. E venne un giorno che quel salotto dall'inebriante profumo letterario, luogo di digressioni e scambi intellettuali, divenne qualcosa di istituzionale nel mondo della letteratura fino ad inaugurare una vera e propria gara e a produrre un premio, quello dell'ormai storico Strega, la cui prima edizione fu vinta da Ennio Flaiano con Tempo di uccidere, edito da Longanesi. Era il 16 Febbraio 1947 quando lo scrittore fu selezionato tra quattordici concorrenti in gara. Fu una data importantissima che segnò per sempre l'inizio di quello che tuttora è riconosciuto come il premio più prestigioso di Italia e riconosciuto anche in Europa e nel mondo. Dopo gli esordi, il suo destino si confermò spontaneamente prodigioso e vide la partecipazione di tutti i maggiori autori italiani del secondo novecento, personalità dal calibro di Moravia, Eco, Morante, Pavese, Gadda, Palazzeschi, Silone, Tomasi di Lampedusa, i grandi nomi della letteratura. Moltissimi sono i capolavori memorabili nella storia del premio, ecco una cinquina d'oro targata Strega, che potrà suggerire molto dell'epoca a cui appartiene, come anche delle istanze culturali e sociali italiane di cui ogni edizione è testimone.

1951, Corrado Alvaro, Quasi una vita

Il grande intellettuale e scrittore calabrese custodì dal 1927 al 1947 un quaderno di appunti di vita, da cui è nato questo libro: una sorta di diario civile, specchio fedele del periodo più critico e tragico del nostro Paese. Costretto alla sola attività letteraria, poiché bandito dal giornalismo politico militante, Alvaro approfitta per chiarisce a se stesso i nuclei vitali della sua ispirazione zoomando via via sulla società contemporanea, fino ad un'analisi dell'Europa degli “anni venti” che a suoi occhi appare minacciosa verso la stessa civiltà umanistico-liberale da cui lo scrittore aveva ereditato la propria formazione. Un libro emblematico della forte sensibilità civile, etica e culturale di Corrado Alvaro, che gli ha consentito, già dagli anni '30, la denuncia del male che si stava diffondendo in Europa attraverso gli scritti letterari, giornalistici e la sua vasta opera saggistica.

1957, Elsa Morante, L'isola di Arturo

Una scena tratta dall'omonimo film del regista Damiano Damiani, del 1962
Una scena tratta dall'omonimo film del regista Damiano Damiani, del 1962

L’universo di un giovane ragazzo, che passando per l'infanzia e per una malinconia adolescenza si ritrova adulto: è L'isola di Arturo, il romanzo di formazione per eccellenza, ambientato fra le amenità dell'isola di Procida, a partire dagli anni Trenta. Il ragazzo è orfano di madre e vive in una dimensione quasi del tutto solitaria, in un castello diroccato con la sola compagnia di una cagnolina poiché il padre si assenta per viaggi molto lunghi. La condizione di attesa è la costante del romanzo che spinge Arturo ad idealizzare la figura paterna fino a configurarla nella sua mente come quella di un eroe, influenzato da appassionanti letture del ciclo cavalleresco. L'isola di Arturo è un libro in grado di produrre immagini nel lettore, di straordinaria bellezza dove giovinezza, sogno, evasione, fantasia si mescolano con l'esotismo del luogo, quasi dal fascino misterioso e quasi senza tempo come in una favola. Nel 1962 il regista Damiano Damiani trasformò il capolavoro di Elsa Morante in un film poetico, incantevole, onirico conciliandolo magistralmente con l'impronta neaoralistica tipica del suo cinema.

1979, Primo Levi, La chiave a stella

Si dice sia il libro più ottimistico di Primo Levi, scritto trent'anni dopo Auschwitz e le testimonianze dei Lager nazisti in Se questo è un uomo. Memorabile proprio per il contrasto di contenuti rispetto al precedente: è un romanzo, quasi umoristico, in cui il protagonista Tino, di questa sua «opera prima», intesa difatti come primo romanzo d'invenzione, è un operaio specializzato che vuol dimenticare la sua vecchia vita, quella di operaio nella durissima catena di montaggio alla Lancia, nel cui animo invece si innesca via via il sintomatico desiderio di girare il mondo a montare gru, ponti sospesi, strutture metalliche, impianti petroliferi. L'opera di Levi vinse lo Strega proprio per la calzante illustrazione di un' Odissea moderna dove un titanico Ulisse, dall'India alla Russia, dall'Alaska all'Africa, offre la sua volontà e la sua tecnica come se fosse occasione preziosa della più grande avvenuta del mondo. Fra ironia e tenerezza Levi racconta i piccoli grandi sogni di quest'uomo, gli orrori del Lager sono ormai un ricordo, e lo scrittore si aggira con una certa sorpresa verso atmosfere narrative finalmente libere.

1990, Sebastiano Vassalli, La chimera

Per cercare le chiavi del presente, e per capirlo,
bisogna uscire dal rumore: andare in fondo alla notte,
o in fondo al nulla; magari laggiù, un po' a sinistra
e un po’ oltre il secondo cavalcavia, sotto il «macigno bianco»
che oggi non si vede. Nel villaggio fantasma
di Zardino, nella storia di Antonia. E così ho fatto.

Ecco un suggestivo passo de La Chimera che si commenta da sé per il connaturato senso di anelar ad  un qualcosa. Con questo romanzo Einaudi vinse la sua prima edizione e il libro risultò essere tra i più ristampati, venduti e studiati a scuola ed anche tradotti, quasi considerato come un secondo Promessi sposi per la sua valenza didattica. Infatti si presenta anch'esso come una bellissima e intrigante storia del Seicento, quello di manzoniana memoria, in grado però anche di illustrare il presente in tutte le sue speranze e disillusioni. Un libro carico di interrogativi interiori ancora molto attuali in cui ci si identifica ed è per questo che ha affascinato generazioni di lettori e ricoperto nelle scuole un ruolo classico ed educativo.

2002, Margaret Mazzantini, Non ti muovere

Un ritratto della scrittrice Margaret Mazzantini
Un ritratto della scrittrice Margaret Mazzantini

Non ti muovere è il libro della verità, il libro in cui le ipocrisie e le sovrastrutture vengono spazzate via di colpo, senza preavviso, casualmente, come succede a Timoteo in una giornata uggiosa, quando per un incidente in motorino sua figlia dopo una corsa in ambulanza si ritrova nello stesso ospedale dove lavora come chirurgo. Lui è la voce narrante di un destino terribile. La freddezza e il cinismo professionale del medico in casacca verde e in stato di attesa in sala operatoria divengono di colpo fragilità, precarietà esistenziale, incertezza. Così Margaret Mazzantini introduce la minuziosa descrizione di un crollo emotivo, quello di un padre che di colpo dimentica di essere il professionista stimato del reparto o il marito di una brillante giornalista, dimentica tutto difronte alla cruda realtà. L'equilibrio borghese che si era innescato nella vita quotidiana, in quella routine di sempre viene infranto d'improvviso. Lo stato della figlia diviene il contesto inscampabile per fare i conti con il proprio vero sé, quello che troppo spesso viene messo da parte, si annebbia o si insabbia volutamente. Ma ecco il fortuito incidente, che come una catarsi, una scintilla riaccende il fuoco del ricordo, quello di un’estate rovente di molti anni prima in una squallida periferia urbana e il ritornare alla mente di una donna derelitta, con un nome troppo ingombrante per la sua docilità, Italia. Timoteo confiderà alla figlia, nel silenzio tagliante della sala operatoria, la sua passione viscerale per quella donna così lontana dalla sua vita borghese, una passione che riemerge senza poter esser controllata e lo riporta alla sua vera identità per certi versi scabrosa ma sopratutto indifesa. Non ti muovere è la metafora dell'autenticità più intima che non possiamo tradire, neanche a volerlo.

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