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Da ‘Lost’ ad Aristotele, Tommaso Ariemma insegna la filosofia con le serie Tv

Da “Lost” ad Aristotele, c’è chi ha scelto un modo del tutto anticonvenzionale di insegnare la filosofia. Una vera e propria rivoluzione didattica è in atto da qualche mese presso il Liceo classico-scientifico di Ischia. Tre rapide domande al diretto interessato, il Prof. Tommaso Ariemma, per capire e approfondire questo suo originale percorso, accompagnato dalla sua passione per l’insegnamento, dove si parte dall’analisi di contesti attuali quotidiani, dalle serie televisive fino alla sempre più consueta abitudine dei ‘selfie’, con un unico obiettivo: veicolare filosofia.
A cura di Silvia Buffo
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Il filosofo e prof. Tommaso Ariemma
Il filosofo e prof. Tommaso Ariemma

Da "Lost" ad Aristotele, c'è chi ha scelto un modo del tutto anticonvenzionale di insegnare la filosofia, è il Prof. Tommaso Ariemma, docente a Ischia, che da dieci anni elabora sperimentazioni del tutto originali per tramettere una delle materie più ostiche di sempre, la filosofia. Una vera e propria rivoluzione didattica è in atto da qualche mese presso il Liceo classico-scientifico di Ischia, in via delle Ginestre.

L'attenzione dei ragazzi è assicurata e non ci sono forzature didattiche, come spiega Ariemma:

La serialità, in particolare quella americana, è diventata molto interessante per la ricerca filosofica. Le nuove narrazioni moderne ci permettono di riflettere in modo radicale sul senso dell'arte e, in generale, della filosofia stessa. L’obiettivo è quello di mostrare che la filosofia non è un sapere polveroso e distante dalla nostra vita, ma una disciplina in grado di interrogare il presente, anche attraverso l’esame delle icone dell’immaginario popolare.

Il risultato? Gli studenti sono entusiasti di apprendere le teorie dei grandi pensatori, grazie ai parallelismi proposti ad arte dal docente, con le più note serie televisive, un bel successo considerata l'agevolazione nell'apprendimento dei concetti.

Tre rapide domande al diretto interessato, il Prof. Tommaso Ariemma, per capire e approfondire questo suo originale percorso, accompagnato dalla sua passione per l'insegnamento, dove si parte dall'analisi di contesti attuali quotidiani, dalle serie televisive fino alla sempre più consueta abitudine dei ‘selfie', con un unico obiettivo: veicolare filosofia.

Cos'è la pop filosofia?

Ciò che provo a fare con la pop filosofia può essere riassunto nel modo seguente: “esporre la filosofia”, quello che dovrebbe fare alla fine un buon insegnante, intendendo il termine esposizione nel suo senso più pieno: come presentazione di un'identità, il grande canone della filosofia, insieme alla sua vulnerabilità, ossia la possibilità della sua contaminazione. La nuova serialità televisiva si presta bene a una tale esposizione della tradizione filosofica, perché ne è comunque figlia, anche se non lo sa. Paradossalmente, si è dovuto utilizzare il prefisso “pop” per indicare l'esercizio della filosofia nel senso più rigoroso del termine, ovvero come comprensione, continua e ribelle, di ciò che ci accade, e di tutto quello che apparentemente si mostra come “non filosofico”. Per questo motivo sono davvero orgoglioso di aver contribuito, insieme a diversi amici – come Simone Regazzoni, Salvatore Patriarca, Lucrezia Ercoli, Cesare Catà, solo per citarne alcuni – all'affermazione in Italia della “pop filosofia”, a mio parere la corrente filosofica più interessante e innovativa del nostro tempo, che oggi si celebra a Pesaro con un bellissimo festival, “Popsophia”, diretto da L. Ercoli, giunto alla sua sesta edizione.

Come pensi di aver contribuito alla pop filosofia?

A caratterizzare la pop filosofia è proprio una continua ricerca di stili di scrittura e pratiche, per arrivare a quante più persone possibili. La teoria dell'arte e dei media e lo statuto contemporaneo della corporeità sono stati finora i miei campi di indagine. Recentemente ho dato alle stampe un'introduzione non-convenzionale alla filosofia dal titolo “Niente resterà intatto” per Diogene Edizioni. La mia introduzione è dichiaratamente “pop”, perché i temi e le strategie della filosofia si contendono la scena con le icone dell'immaginario popolare: zombie, personaggi televisivi, tendenze contemporanee come la diffusione della chirurgia estetica. Inoltre, a renderla radicalmente “non-convenzionale” è l'esposizione in prima persona di chi scrive: i suoi viaggi o particolari momenti della sua vita, il racconto di alcune esperienze didattiche, fanno tutt'uno con i nomi e i problemi del grande canone della filosofia. In tal modo, si cerca di “corrompere” l'immagine della filosofia, che spesso viene prodotta proprio nelle aule scolastiche o universitarie: lontana dalla vita, dal proprio tempo, incapace di esserci di aiuto per la comprensione dell'avvenire.

I ‘selfie'? Possono avere una funzione didattica

A mio parere si sottovaluta la portata epocale dell'autoproduzione, unita alla condivisione, della propria immagine, promossa dal ‘selfie'. Proprio la pratica contemporanea del ‘selfie', stupidamente demonizzata da intellettuali e studiosi a vario titolo, permette di cogliere lo specifico rapporto con sé che i media e lo sviluppo tecnologico hanno sempre promosso. Quella del ‘selfie' è, a tutti gli effetti, ciò che un filosofo come Foucault ha chiamato "tecnologia del sé". Ovviamente, per aver scritto un libro su questo tema mi sono attirato le ire dei foucaultiani che si limitano, nel migliore dei casi, a fare un lavoro spesso agiografico e sterile. I concetti dei filosofi vanno usati per comprendere il presente e non per riempire solo le sale dei convegni. Comprendere la pratica del ‘selfie' significa comprendere quella conoscenza di sé che soprattutto gli adolescenti ricercano, cogliendo così più facilmente il senso dell'antico monito attribuito a Socrate: "Conosci te stesso"!

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