Una delle frasi che più mi ha colpito, fra le mille discussioni riguardo alle elezioni, è stata quella di un mio vicino di casa che in risposta a un mio dubbio sul perché nessuna, o quasi, delle grandi forze politiche mettesse l'ambiente al primo punto della sua agenda politica, ha candidamente affermato che "in questo momento le famiglie hanno problemi ben più gravi dell'ambiente", con una bella chiusa goliardica "sei il solito radical chic di mer*a". Come se poi la crisi del gas, dell'elettricità, dei consumi e la crisi ambientale non fossero legati fra di loro da una sottile linea rossa. E soprattutto come se non fosse vero che, andando avanti così, non ci sarà più alcuna famiglia di cui preoccuparsi.
Ma a quanto pare, oramai, è divenuta consuetudine chiamare schiavo del politicamente corretto chiunque cerchi di proporre forme alternative o inclusive nel campo dell'ambiente, dei diritti, del linguaggio o anche solo nella cultura popolare, perché "non ragiona con la sua testa" o "perde tempo dietro battaglie inutili quando invece i problemi reali del paese reale sono ben altri". Ahinoi questo "pensiero" si è largamente diffuso, anche grazie a chi ha fatto della polarizzazione il proprio cavallo di battaglia, ha creato nemici inesistenti, ha inculcato nella testa delle persone parole d'ordine facili, ripetibili e – come abbiamo visto il 25 settembre – persino vincenti.
Ovviamente la sinistra, in tutte le sue forme, non è esente da grandi responsabilità, anzi credo che se se una certa sinistra si fosse comportata da tale e se non si fosse arroccata su posizioni elitarie e privilegiate – sempre in fuga verso il ceto medio dimenticandosi delle classe operaia che ormai è definitivamente finita all'inferno, altro che paradiso – godrebbe di una maggiore credibilità, agli occhi di chi le è profondamente avverso. Fatto sta che ogni occasione è buona per definire schiavo radical chic, chi semplicemente cerca di usare il buon senso.
Spesso accade però che quel che oggi viene definito come buon senso, ieri sarebbe stato politicamente corretto: il suffragio negato alle donne, la segregazione razziale, la persecuzione penale dell'omosessualità, la persecuzione degli ebrei etc sono "pratiche" che oggi consideriamo abominevoli, eppure c'è stato un tempo in cui rappresentavano la normalità, e chi si esponeva per denunciarne l'esistenza veniva tacciato di quello che oggi definiremmo "buonismo". E nonostante questa consapevolezza, ancora oggi, chi cerca di abbattere gli orribili strascichi di quegli abomini (la condizione disparitaria delle donne, il razzismo contemporaneo, i diritti negati Lgbt+ etc) viene spesso messo a tacere come schiavo del politicamente corretto (definizione già di per sé stupida perché dà un'accezione negativa a qualcosa che per sua natura sarebbe positiva). E il discorso potrebbe essere esteso a qualunque campo.
Per anni molte persone hanno detto – inascoltate o addirittura derise – di non lasciare gli elettrodomestici in stand-by, di fare docce brevi (anche perché non è che se ti lavi più a lungo rimani pulito più a lungo), di non lasciare costantemente attaccati i caricabatterie alle prese, di fare lavastoviglie solo a pieno carico, di spegnere le luci delle stanze in cui non ci troviamo, di cuocere la pasta a fuoco spento (anche se qui entriamo in un campo minato che vede dividersi fra gli ortodossi della cottura e i famigerati "sticazzi") eccetera eccetera, e soltanto oggi di fronte ad un pericolo immediato, personale e tangibile le accettiamo come pratiche quotidiane. Un po' come lavarsi le mani sovente, non tossire in faccia alla gente in completa libertà o fare la fila in modo ordinato: dovrebbero essere comportamenti che appartengono al comune vivere civile e non solo figlie dell'emergenza. Ma nonostante questo, troppo spesso le discussioni sulle battaglie ambientali finiscono nel medesimo modo: "tanto noi non possiamo farci nulla".
Mi viene in mente un vecchio, bellissimo adagio napoletano, "il tempo è galantuomo": perché invece c'è da pensare che forse i fatti, presto o tardi, si incaricheranno di dare ragione a chi riesce a guardare aldilà del proprio naso, del proprio interesse o del proprio comodo. La consuetudine, l'accettazione e la tolleranza (parole orribili a mio modo di vedere) creano di continuo mostri e così accade che le minoranze restino tali, anche perché è il linguaggio stesso che adottiamo a farle rimanere tali: non sono persone, ma parte di un gruppo minoritario che cerca di ottenere diritti nonostante il loro essere minori. Ma i diritti non si ottengono né si concedono: appartengono (o meglio dovrebbero appartenere) a chiunque, in qualunque luogo e momento della storia.
Io sono un vegetariano refrattario (minoranza nella minoranza), ovvero che di tanto in tanto mi lascio andare ai vizi della carne, perché ahimé di fronte a un panino con la porchetta non so proprio resistere, ma con molte probabilità fra un secolo, il veganesimo non sarà più considerato un tabù e anzi con ancora più probabilità avremo cambiato le nostre abitudini alimentari e guarderemo con stupore e sgomento chi si cibava di esseri viventi, quando aveva a disposizione qualunque altra cosa volesse. E ci ricorderemo, sorridendo, della definizione nazi-vegano e di quanto fossero vessati e bullizzati, in ogni strato della società.
Ma io ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi: gente che si lamenta degli elfi neri, perché è impossibile che un elfo sia nero e ovviamente è tutta colpa della dittatura del politicamente corretto, perché l'ultimo censimento fatto ad elfolandia ha confermato che non esistono, sono tutti bianchi. Stesso discorso per la Sirenetta, visto che in fondo al mar, tutti quelli che sono andati ci hanno raccontato di non averne mai vista nessuna con qualche pigmento in più. O ancora, persone che urlano al sacrilegio perché in una serie ambientata nella Londra vittoriana ci sono persone afro-anglosassoni ricche e nobili, cosa effettivamente impossibile per l'epoca, se non fosse che la serie parlava di un giovane Sherlock Holmes che combatteva contro mostri, fantasmi, vampiri e altre creature ovviamente esistenti nell'Inghilterra vittoriana.
Quindi mi sembra vero piuttosto il contrario: che la dittatura del politicamente corretto sia semplicemente una scusa usata da chi non ha alcuna voglia di accettare nessun tipo di cambiamento, che si tratti delle abitudini alimentari, ecologiche o, andando più a fondo, del dominio incontrastato per secoli, dell'uomo bianco, cristiano, eterosessuale. Dominio rappresentato perfettamente dal falso assoluto di un arabo palestinese, che moltiplica pani e pesci e cammina sulle acque, nato e cresciuto in medio-oriente ma bianco che più bianco non si può, con i capelli biondi, gli occhi azzurri e la barba rossiccia.
Non vi è mai alcuna predisposizione ad accettare il cambiamento perché tutto sommato stiamo bene così. Noi ovviamente, non gli altri. Ma fin quando gli altri sono lontani e non siamo noi, quei cambiamenti non solo non ci interessano, ma ci sembrano stupidi, ridicoli, inutili perché in fondo ne abbiamo paura. I cambiamenti fanno sempre paura. E di certo, finita l'emergenza, finita la paura, torneremo a pensare che ci sono problemi ben più gravi dell'ambiente. Cosa ci sia poi d'aver paura nell'uso di una borraccia anziché di una bottiglietta di plastica, io non lo so però confido nel tempo, che di certo è galantuomo.