Una folla di sguardi. Di racconti, visioni. La città di Napoli è da sempre una delle più raccontate da cineasti, drammaturghi, poeti e, naturalmente, scrittori. Non a caso l'esergo di Thomas Bernhard con cui si aprono le dodici storie di "Così lontana, così vicina" di Pier Luigi Razzano (Edizioni Intra Moenia, pp. 160, euro 16,00) è l'emblema di questa perenne rappresentazione su Partenope, cellula madre di sguardi e racconti dei suoi figli, ma anche e soprattutto di quelli – talvolta più lungimiranti – dei suoi visitatori:
Guardare il Vesuvio è per me una catastrofe, perché così tanti milioni, forse miliardi di persone l'hanno già fatto.
Visitatori d'eccezione, d'altronde. La folla qui, infatti, è speciale. C'è Marcel Proust "alla ricerca del tempo perduto" di ciò che fu l'antica Pompei. Oppure Fëdor Dostoevskij, che nell'estate del 1863 sta lasciando la città in piroscafo per rientrare in Russia, ammorbato dai personali "dèmoni" del gioco d'azzardo e dell'amore per Polina. C'è la ricerca dell'ispirazione di Henrik Ibsen, tra Amalfi e Sorrento, "la nausea" di Jean Paul Sartre e Simone De Beauvoir all'arrivo in stazione durante un'asfissiante estate del 1936. Sono solo alcune delle immagini su Napoli che fuoriescono dalla penna dei grandi della letteratura, dai loro scambi epistolari, dalle frasi intercettate. Schegge di letteratura sottratte miracolosamente alla vita, ai libri, ai sudati fogli, alle opere che furono clamorosi successi oppure dei fiaschi completi.
Scrittori esuli: da Neruda a Gogol, la delusione di Freud
È dalla frizione tra biografia e letteratura, da questo perenne vagare al buio nel mondo e nella propria esistenza, che nascono le perle sottratte all'oblio di "Così lontana, così vicina". Tutti i viaggiatori speciali di questo libro sono a loro modo esuli dalla terra natia, in fuga dalla patria come, per esempio, Pablo Neruda a Capri per motivi politici, o Nikolàj Gogol' che, dopo le tiepide reazioni a "Il revisore" nella primavera del 1836, decide di mollare tutto e partire per "dissipare la tristezza e meditare profondamente sui miei doveri di autore, sulle mie future creazioni". Ma sono anche viaggi di piacere, intrapresi per conoscere da vicino i monumenti, la storia e, perché no, assaggiare la buona cucina della vita meridiana. Comodità della vita che, in fondo, animano il più borghese tra gli scrittori presenti in questo volume, quel Sigmund Freud che all'alba del XX secolo decise di lasciare la plumbea Vienna per l'Italia. Ma anche Napoli, in un certo senso, lo deluderà. Perché non troverà il meraviglioso mare che si aspettava e, soprattutto, perché il Vesuvio non sta eruttando come sperava.
Lo "splendido" errore della Dickinson
Il vulcano, come sempre, è più centrale nello sguardo dei visitatori di quanto sia mai stato in quello dei napoletani, autori di una rimozione collettiva che va avanti da secoli. Nell'affastellarsi di immagini sul Vesuvio, dunque, a volte si incappa in qualche errore di geografia. Succede anche ai grandi. E infatti succede a Emily Dickinson, la grande poetessa che non lasciò mai la casa paterna ad Amherst, in Massachusetts, che in una lirica scrisse: "Quando l'Etna si scalda e fa le fusa/Napoli ha più paura". Chissà.
C'è poi il gustoso racconto di Hans Christian Andersen al Teatro di San Carlo, il cuore palpitante di Albert Camus, il famoso itinerario di Walter Benjamin verso l'isola di Capri, oppure la rivelazione dell'ambiguità nascosta in fondo a se stessi di André Gide. Tra queste pagine ce n'è per tutti i gusti. Per chi vuol ritrovare i segni di una città e dei suoi fantasmi, per gli appassionati bibliofili, per chiunque abbia voglia di cimentarsi nel viaggio alla scoperta dell'incontro tra la letteratura e l'altrove che risiede in ognuno di noi.
"Così lontana, così vicina": il racconto di una perdita
Un paio d'anni fa Pier Luigi Razzano aveva pubblicato un libro affine, eppure a ben vedere molto diverso da "Così lontana, così vicina". Si intitolava "AmericaNa" ed era il racconto sul passaggio dei grandi narratori statunitensi a Napoli. Stavolta, pur usando uno schema similare, il tono è cambiato: gli intrecci tra la poetica degli autori e la città si fanno più serrati, meno indulgenti, a volte dolorosi, spesso – come nel caso di Emily Dickinson – soltanto immaginari.
Anche lo stile è diverso, più tornito e profondo, orientato al nobile servizio di mettere in risalto l'audace incontro tra gli amati scrittori e l'amata/odiata città. Emerge, da questo duello, una presa di posizione su Napoli, città solare che contempla in sé una dimensione livida, proscenio di una cupezza storica che l'autore sente l'obbligo di raccontare. Lo fa con discrezione e rispetto, senza mai venir meno al coscienzioso patto che ha stipulato con le grandi voci a cui sta dando parola, ma con guida ferma e senza tentennamenti. Da buon narratore della post modernità, usa i materiali di un puzzle scomposto in scatole diverse per ricomporre le fila di un discorso che parla a noi uomini e donne dell'oggi. A ben vedere, dunque, ciò che emerge come necessario in questo libro, è il tentativo di ricomposizione, attraverso la folla di sguardi dei grandi scrittori del passato, di un percorso che apre possibili spiragli a una riflessione più ampia sulle ragioni storiche e sociali che hanno portato Napoli a essere quella che è oggi. Città determinante nell'immaginario collettivo e, allo stesso tempo, grande assente dal dibattito pubblico.
È quasi come se mancasse un'appendice, a questo volume: il presente. Ma è una mancanza voluta, la sociologia non appartiene all'orizzonte dell'autore che, saldamente radicato nella sua città (dove scrive e lavora), offre al lettore degli spunti, getta raggi minimi di luci e ombre, come fa o dovrebbe fare ogni scrittore che ha ben chiaro un orizzonte narrativo del proprio percorso. E nel farlo, tesse la trama di uno dei capitoli del grande romanzo su Partenope che, probabilmente, non finirà mai.