Sono state definite una “pratica coercitiva e orrenda” dal governo britannico e “una forma di discriminazione, stigmatizzazione ed esclusione sociale”, oltre che di “tortura”, dal Concilio internazionale per la riabilitazione delle vittime di tortura, che lavora a stretto contatto con le più importanti organizzazioni per i diritti umani al mondo. Sono le terapie di conversione o terapie riparative che sostengono di “guarire dall’omosessualità”, diffuse in più di 69 Paesi, Italia compresa.
Le terapie riparative sono pratiche antiscientifiche
Nonostante siano riconosciute come pratiche antiscientifiche da più di un decennio, solo da pochi anni si è cominciato a studiare gli effetti devastanti che hanno su chi ne è vittima, tanto da spingere alcuni Paesi a metterle al bando. Gli ultimi sono stati il Canada e la Francia, che nel giro di pochi giorni hanno entrambi reso un reato praticare, promuovere e pubblicizzare le terapie di conversione. Con questo termine ci si riferisce a una grande varietà di pratiche che vanno degli incontri di gruppo, agli esorcismi, all’isolamento, all’elettroshock e alla somministrazione di psicofarmaci, fino ad arrivare in casi estremi anche alla violenza fisica e al cosiddetto “stupro correttivo”, inflitto in particolare alle donne lesbiche. Le terapie di conversione sono diffuse non solo in certe comunità religiose, ma sono anche ritenute valide da alcuni psicologi e psichiatri, sebbene la comunità scientifica le consideri inefficaci. L’assunto di base è che l’omosessualità o una variazione nell’identità di genere siano malattie che possono essere curate attraverso una terapia o con la forza di volontà o della fede.
Come si muove l'Europa sulle pratiche di conversione
Oltre a diversi studi che hanno confermato che è impossibile cambiare l’orientamento sessuale o l’identità di genere di una persona, omosessualità e transessualità non sono più considerati disturbi mentali rispettivamente dal 1990 e dal 2018. Tuttavia, sono soltanto tredici i Paesi al mondo ad aver preso provvedimenti contro queste pratiche disumane, senza però riuscire a vietarle in maniera totale: in nome della libertà religiosa, in diversi luoghi al mondo il divieto si limita solo agli operatori sanitari, oppure si applica soltanto nel caso in cui ci sia una forma di obbligo o coercizione. In Europa, oltre alla recente legge francese, Malta è stato il primo Paese ad agire contro le terapie riparative nel 2016, la Germania le ha vietato per i minori nel 2019, mentre il Regno Unito sta discutendo proprio in questi mesi una legge che ne restringerà il campo, senza però bandirle del tutto.
Cosa succede in Italia
Per quanto riguarda l’Italia, si tratta di un fenomeno ancora sommerso, ma molto più diffuso di quanto si pensi. Esiste infatti una fitta galassia di associazioni che propongono cure, percorsi spirituali o terapie pseudo-psicologiche che promettono di “guarire dall’omosessualità”. A volte queste figure salgono più o meno alla ribalta: è il caso di Luca Di Tolve, reso noto dalla canzone di Povia “Luca era gay”, che oggi propone corsi per diventare ex-gay; oppure di Alessandro, il cui grido “Pazzo sì, pazzo per Gesù” – lanciato mentre raccontava durante una messa di come ha allontanato “lo spirito dell’omosessualità” – si è trasformato in un meme con tanto di remix musicali. Nelle terapie di conversione, però, non c’è niente di comico: secondo un sondaggio del Trevor Project, circa 6 giovani su 10 appartenenti della comunità LGBTQ+ hanno raccontato che qualcuno ha cercato di convincerli a cambiare il proprio orientamento sessuale o identità di genere. Il 28% degli adolescenti che si sono sottoposti alle terapie di conversione ha tentato il suicidio. Questi dati sono confermati anche dai sempre più numerosi studi sul tema, che dimostrano come le terapie di conversione non siano solo inefficaci, ma anche dannose: le conseguenze riscontrate includono calo dell’autostima, ansia, sindromi depressive, odio verso se stessi, disfunzioni sessuali e pensieri suicidi.
L'unico tentativo per vietare queste pratiche
L’unico tentativo in Italia di bandire le terapie di conversione è stato fatto nel 2016, quando l’ex senatore Pd ed ex presidente di Arcigay Sergio Lo Giudice presentò un ddl che prevedeva la reclusione fino a due anni e la multa da 10mila a 50mila euro per chi le praticasse. Il ddl è caduto nel vuoto e il tema delle terapie resta ancora poco discusso. Anche durante il dibattito e le audizioni sul ddl Zan contro l’omolesbobitransfobia, di terapie riparative non si è parlato quasi mai. In quei giorni, i detrattori del provvedimento sostenevano che l’Italia avesse bisogno di leggi sulle violenze concrete e non di censure sulla libertà di espressione (che, vale la pena ribadirlo, era fatta salva espressamente nel testo del ddl): le violenze perpetrate nelle terapie riparative sarebbero un ottimo punto di partenza. Eppure, continuano a essere ignorate.
C’è da scommettere che se un giorno anche da noi si cominciasse a discutere di mettere al bando chi sostiene di poter guarire l’omosessualità, come sta facendo tutta Europa, si tirerebbe fuori ancora una volta l’argomentazione della libertà religiosa. E allora sarebbe una conferma che, per quanto riguarda la comunità LGBTQ+ in Italia, nessuna violenza sembra mai essere abbastanza grave da meritare una legge.