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Copenhagen, via i nomi razzisti dai quadri del ‘600: è polemica sul politically correct

È polemica sulle didascalie razziste delle opere d’arte del ‘600, dopo Amsterdam è la volta di Copenhagen: la Galleria Nazionale della capitale danese cambia nome a 14 opere.
A cura di Silvia Buffo
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Galleria nazionale danese
Galleria nazionale danese

Continua a Copenhagen la polemica sulla proposta di eliminare i termini razzisti dai quadri del Seicento: la Galleria Nazionale della capitale danese ha, infatti, già sostituito il nome a 14 opere, alcune delle quali risalgono al 1600, che nelle didascalie fanno riferimento al colore della pelle dei soggetti rappresentati, motivo per cui sono state sottoposte ad una rivalutazione dei loro titoli. Dopo analoga iniziativa, avviata nel dicembre scorso dal Rijksmuseum ad Amsterdam, la mediocrità del politically correct continua a farsi strada ma non senza polemiche.

Si è inaugurato un lacunoso approccio nella conservazione delle opere d'arte tacciate di razzismo, ed è così che la tradizionale didascalia "negro" diviene premurosamente "africano" per evitare di essere percepita come espressione razzista ed anche lesiva verso una sensibilità sempre più global e cosmopolita, rinunciando però, forse troppo sbrigativamente e senza scrupolo alcuno, proprio al valore storico-documentaristico dell'opera stessa.

L'annuncio ufficiale è stato dato dal direttore del museo, Peter Noergaard Larsen, il quale spiega come il provvedimento riguardi opere datate tra il 1609 e il 1959, periodo in cui era consuetudine apostrofare con i tanto incriminati appellativi. Non è un fatto inedito che le opere d'arte non contemporanee identifichino i propri soggetti per il colore della pelle ma anche attraverso particolari inestetismi e patologie fisiche, fa parte dei mille volti e sfaccettature dell'arte.

Saranno state motivazioni storiche ad incentivare l'iniziativa di rimuovere le didascalie razziste dalle opere d'arte? La Danimarca ha indubbiamente creato delle piccole colonie tra Caraibi, Africa e Asia nel corso dei secoli e in qualche modo contribuito alla tratta degli schiavi. Un'accesa diatriba è in corso e i pareri sono tra i più discordanti, la polemica non tarda ad innescarsi, a cominciare dalla replica di Alek Ahrendtsen, responsabile della cultura della destra popolare danese:

All'improvviso costoro vogliono rimuovere quei termini dalla loro stessa storia, vogliono letteralmente sbiancarla e riscriverla: è un modo di agire e di pensare totalitario.

Camilla Mordhost, portavoce del Museo Nazionale della Danimarca, si oppone sottolineando il valore documentaristico di quelle didascalie, che testimoniano storicamente "un'ingiustizia tra i popoli che è parte della nostra storia". Motivazione che spinge anche il Rjiksmuseum alla conservazione dei titoli originari delle opere d'arte quantomeno negli archivi.

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