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Continua “l’affare Picasso”. Duecento quadri rubati: semplice furto o questioni familiari?

Mercato nero o questioni testamentarie? Lo stabilirà il processo. Nel frattempo arrivano nuove dichiarazioni dall’imputato: “Fu la moglie di Picasso, Jaqueline, a chiedermi di tenere i quadri nascosti”.
A cura di Federica D'Alfonso
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Pablo Picasso nel 1960
Pablo Picasso nel 1960

L’affare Picasso: è così che i principali quotidiani francesi, da Le Monde a Le Figaro, hanno definito lo scandalo che in queste ore si è abbattuto sulla famiglia di uno degli artisti più famosi al mondo, Pablo Picasso. Uno scandalo che riguarda un furto di oltre duecento opere scoperto nel 2010, ma che negli ultimi tempi sta rivelando particolari interessanti circa le questioni familiari (e testamentarie) seguite alla morte del grande artista spagnolo.

L’“Affaire Picasso”

In realtà, l’affaire Picasso inizia nel novembre 2010 quando, dal nulla, spuntano ben 271 opere inedite dell’artista. Nel gennaio dello stesso anno il figlio di Picasso, Claude, che amministrava la successione del padre, aveva ricevuto una lettera da tale Pierre Le Guennec: l’uomo, che per anni aveva lavorato alle dipendenze di Pablo come elettricista e giardiniere, gli chiede di autenticare 26 opere inedite.

Approfondendo la questione, spuntano fuori dei veri e propri gioielli artistici, rimasti celati per molto tempo: opere del periodo dal 1900 al 1932, dunque estremamente rare, fra le quali nove “collage cubisti” e un acquarello del periodo blu, oltre che un raro ritratto della prima moglie Olga. A questo punto, iniziano per Claude i primi dubbi: perché Picasso, che era notoriamente maniacale nella catalogazione dei propri lavori, aveva tralasciato una parte così cospicua? Che fossero falsi? No: l’esame approfondito delle opere rivela che si tratta, dal primo all’ultimo, di quadri originali.

Che siano rubate? Pierre Le Guennec si difende, affermando di aver ricevuto in regalo dallo stesso Maestro quei quadri. Ma qualcosa non torna. Claude Picasso presenta alle autorità francesi una denuncia per ricettazione, e il 5 ottobre 2010 le forze dell’ordine sequestrano tutte le opere: un caso mediatico senza precedenti. Un furto che, se confermato, sarebbe uno dei più clamorosi della storia dell’arte.

Una questione di famiglia?

(@francebleueazur su Twitter)
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Sono trascorsi ormai sei anni, e l’inchiesta è andata avanti. Ma nei giorni scorsi, nuovi particolari sono emersi circa i motivi per i quali quelle 271 opere fossero state nascoste in un baule per così tanti anni. Le Guennec, nel frattempo condannato per furto, ha cambiato la sua versione, affermando che fu la vedova di Picasso, Jaqueline, a chiedergli di nascondere quei pezzi tanto preziosi. La dichiarazione è stata fatta durante il processo in corte d’appello e, se confermata, avrebbe delle conseguenze importanti ai fini di questa storia.

"La signora Jacqueline Picasso aveva problemi con il suo figliastro Claude Picasso," ha affermato Pierre Le Guennec, giustificando la sua nuova versione dei fatti. La vedova Jaqueline gli avrebbe chiesto di nascondere ben 17 sacchi neri, quelli che si utilizzano per i rifiuti, contenenti le opere d’arte, subito dopo la morte di Picasso, nel mese di aprile del 1973. Un incarico delicato, che Le Guennec “avrebbe dovuto tenere per sé”.

Secondo l’imputato, la donna cercava, in questo modo, di evitare che le opere venissero inventariate per entrare nel testamento e finire quindi nelle mani del figliastro. L'avvocato di Le Guennec, Eric Dupond-Moretti, ha detto di aver appreso la nuova versione dei fatti solo pochi giorni fa, mentre il legale di Claude Ruiz Picasso, Jean-Jacques Neuer, ha denunciato la testimonianza di Le Guennec come una "menzogna sconcertante”, atte a coprire una truffa multimilionaria. A chi credere, dunque? Si tratta “semplicemente” di un furto per soldi, o di qualcosa di più?

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