Come si gestiscono le vecchie canzoni che diventano virali? Intervista a Luca Fantacone di Sony Music

Luca Fantacone è il direttore del Catalogo di Sony Music Italy, ovvero colui che si occupa di tutta la musica già uscita per Sony, quindi tutto tranne le novità. O meglio, una volta era così schematico, mentre oggi è tutto più fluido e il catalogo, grazie anche a social come TikTok, è diventato materia da trattare quotidianamente come novità. Abbiamo chiesto, quindi, a Fantacone di spiegarci come sta cambiando il mercato musicale e in che modo i social influenzano le canzoni: sempre più spesso, infatti, vediamo riemergere e vivere una nuova vita a canzoni di tanti anni fa, alcune che addirittura non avevano trovato grande successo neanche appena uscite.
Luca, partiamo dalle definizioni precise: cosa si intende per Catalogo, oggi?
Tecnicamente per catalogo si intende tutta la musica già uscita. Cioè, la divisione macro è "musica nuova, appena uscita o che sta per uscire", quindi la frontline del catalogo è tutto quello che è già uscito. Con un'enorme differenza rispetto a qualche decennio fa, ma anche rispetto a soli 4-5 anni fa e cioè che prima il catalogo era tutto l'insieme dei dischi – quando non c'era il digitale – che erano usciti, avevano esaurito il ciclo vitale, entrando a fra parte di questa categoria "un po' dormiente" che veniva rivitalizzata con operazioni di medio prezzo, di rimasterizzazione, anniversari, special edition, eccetera. Quindi erano sempre la garanzia della continuità del business, però di una parte dove i fari non erano più accesi.
E questa cosa com'è cambiata?
Negli ultimi anni, grazie al fatto che il consumo è sostanzialmente digitale, ma anche all'utilizzo dei social come strumento di scoperta della musica – che è una scoperta a volte totalmente casuale per la maggior parte delle persone – praticamente non esiste più una differenza temporale fra il catalogo e la frontline, ma è come se tutta la musica fosse su un'unica linea temporale che dipende dal momento in cui noi la scopriamo. Questo comporta, quindi, che un pezzo di qualunque genere, qualunque decade, qualunque artista, può essere un pezzo nuovissimo, da considerare alla stregua di una nuova uscita per chiunque, soprattutto per il pubblico più giovane che utilizza TikTok o altri social e si imbatte in quella determinata musica, o perché sente un pezzo in una serie o perché lo vede in un film, ma soprattutto perché lo vede unito a contenuti video e quindi in quel momento lì lo considera come un pezzo nuovo.
Che peso ha questa cosa oggi realmente sul fatturato?
Diciamo che il consumo, nel mondo, è fra il 60 e il 70%, le nuove uscite ovviamente hanno dei livelli di consumo molto più alti, ma molto più limitati nel tempo, cioè il triangolo del picco ha la base sempre più stretta. Quindi da una parte la frontline, quindi chi lavora sulle nuove uscite, lavora sempre più su nuove uscite, ma in realtà quello che c'è in mezzo fra un picco e l'altro è il consumo stabile, che è quello del catalogo che si disperde su decine di migliaia o centinaia di migliaia di pezzi e di persone. Quindi magari tu hai il fan di un artista che streama 10-12 volte al mese o alla settimana un pezzo nuovo e poi hai un altro tipo di pubblico che streama molto meno e consuma molto meno un numero molto maggiore di pezzi. Quello che sta succedendo da qualche anno è che il catalogo è la nuova frontline, cioè sul catalogo ci lavora gente come me che ha sempre lavorato sulla frontline – io nello specifico internazionale -, ma che doveva avere lo stesso approccio, quindi se domani La sera dei miracoli di Lucio Dalla sincronizzata nel film di Paola Cortellesi diventa un trend su TikTok e quindi genera streaming, io lo lavoro come se fosse un pezzo nuovo perché per un sacco di gente lo è.
Però la differenza è che su pezzo nuovo hai il tempo di programmare, su una cosa del genere no…
Bravissimo, centrato in pieno il punto, per questo spesso ci tocca inseguire, benché ormai sia una caratteristica di tutto il lavoro sulla musica. Io ho iniziato 33 anni fa quando si dava per scontato che le case discografiche facevano partire l'informazione perché lo dicevo a te che sei un media e tu lo pubblicavi sulla carta e da lì il pubblico recepiva la notizia. Ora è sempre meno così, il pubblico si muove in autonomia, soprattutto sui social e quindi il nostro lavoro è fatto di monitoraggio, rapidità di reazione e attivazione anche molto rapida, perché a volte tu ti puoi rendere conto che un pezzo diventa un trend, poi bisogna vedere se un trend su TikTok diventa effettivamente un pezzo che streama, cosa che non è assolutamente da dare per scontata e quindi noi seguiamo, capiamo cosa fare per capire se un pezzo effettivamente ti piace solo perché lo attacchi a un tuo video e fine, oppure se inizi a stremarlo e da lì si segue l'onda.
Un altro tema è la quantità, perché oggi la quantità è potenzialmente infinita…
È normale tenere d'occhio, avere una considerazione molto attenta, ogni giorno, su decine di pezzi e decine di progetti.
Mentre prima il catalogo presupponeva album, oggi credo siano soprattutto i singoli il materiale su cui lavorare, no?
Sì, soprattutto singoli, diciamo che l'album ha ancora un'importanza molto grande per gli artisti di carriera, non per forza sessantenni o settantenni, anche trentenni o quarantenni che però hanno carriere e credibilità, anche se ormai il grosso del consumo del pubblico più giovane è quello track by track, quindi quello che noi cerchiamo di fare è: dopo aver capito se un trend diventa effettivamente un consumo, quindi si trasforma in streaming, cerchiamo di dire anche a tutto il pubblico: "Guarda che questo artista ha fatto anche altre cose e quindi se stai lì sulla sua pagina puoi scoprire altra musica", ed è la parte più difficile di tutto.
Che percentuale di artisti viventi avete a cui potete chiedere di fare di nuovo promozione su musica di catalogo?
Una percentuale non è possibile stilarla, però è ovvio che tutto questo cambiamento nel modello di business sarebbe meglio che corrispondesse anche a uno switch mentale degli artisti, perché ci sono artisti che lì per lì sono disorientati ed è anche normale: casomai tu stai promuovendo un album nuovo e di botto ti esplode un pezzo di anni fa. A noi è capitato con Beggin' dei Maneskin, che penso sia il caso più eclatante, quello che ha iniziato a mostrare un po' a tutti come funziona in questo momento. Altri artisti fanno fatica, però ci arrivano, altri decidono di lasciarti lavorare il catalogo ma senza di loro, cosa che ovviamente è uno uno svantaggio, perché se e quando l'artista interviene, il pubblico reagisce di più.
E Sanremo – che è appena terminato – in che modo influenza il catalogo di quelli che ce l'hanno, ovvaimente?
Lo influenza nel senso che noi iniziamo a lavorare insieme agli artisti prima di Sanremo dal momento in cui è ufficiale che un artista è al festival si va dal pubblico e con diversi strumenti gli si dice: in attesa del festival, torna sulle hit o sul repertorio di di questo artista, glielo ricordi e quindi gli indichi il punto dove stremare. Poi si segue il festival per capire se la performance su un pezzo nuovo inizia ad avere una ricaduta sul catalogo perché magari c'è gente che non sapeva che tu oltre al pezzo di Sanremo hai altri pezzi. L'altra cosa che si guarda sempre con attenzione e si monitora, sono le cover. Per esempio, Damiano ha fatto una cover eccezionale di Felicità di Lucio Dalla che non è incisa, non è disponibile in streaming, quindi da subito iniziamo a vedere se l'originale sta godendo di un pubblico nuovo. A quel punto andiamo a vedere se effettivamente c'è un impatto oppure no, e se c'è iniziamo a vedere quanto dura e da lì poi capiamo se ha un senso spingere e ricordare al pubblico che Felicità è di Dalla.