Lo sanno tutti: quando si fa il limoncello si deve prestare attenzione a mettere a macerare solo la parte gialla della buccia del limone, aromatica e sottile. Guai a tagliarla spessa lasciandoci attaccata parte di quella bianca più interna, lo farebbe diventare amaro. Lo stesso vale per tutte le ricette in cui va aggiunta la scorza d'agrume, a trucioli, a liste, o finemente grattata.
Ebbene, quella parte bianca, spugnosa, amara e più interna della buccia degli agrumi si chiama tecnicamente ‘albedo', sostantivo femminile. A vederlo così questo nome ci si presenta come un latinismo puro, infatti albedo, in latino, è letteralmente il candore, la bianchezza (da albus, ‘bianco').
L'italiano conosceva già dal Cinquecento, come voce dotta, l'albedine, che aveva proprio questi significati generici riferiti al colore bianco. Invece la registrazione di albedo è molto più tarda, si parla dell'ultimo decennio dell'Ottocento, e nel significato botanico di cui parlavamo addirittura solo degli anni '60 del secolo scorso.
Si può dire che questa parola sia stata recuperata dal latino due volte: una prima volta nel Cinquecento, in un significato più ampio e in una forma più digerita (perché non derivata direttamente dal nominativo latino, ma come più consueto da accusativo o ablativo, albedinem/albedine), e una seconda nell'Ottocento, con significati tecnici, specialistici.
Nell'Ottocento ‘albedo' compare per la prima volta come variante di ‘albedine' nel lessico della fisica, descrivendo una caratteristica di riflettività: in poche parole, l'albedo è la frazione di luce che viene riflessa da un corpo. Come sappiamo, a seconda del materiale, del colore, della superficie, ogni corpo riflette una porzione di luce diversa rispetto a quella che lo colpisce, e né gli specchi la riflettono tutta, né il Vantablack l'assorbe interamente.
In particolare però si parla di albedo in relazione ai corpi celesti che non brillano di luce propria, e che rimandano una quantità di luce differente a seconda della loro costituzione. Il valore dell'albedo è compreso fra i limiti di zero (la luce non viene riflessa) e uno (tutta la luce viene riflessa). Ad esempio, nel nostro sistema solare, il pianeta con l'albedo più notevole è Venere (circa 0,6-0,7); curiosamente la luna, per quanto ci appaia luminosissima nel cielo notturno, a causa della sua superficie scabra e polverosa ha invece un'albedo miserabile: appena lo 0,07. Il che vuol dire che riflette sette centesimi della luce che riceve. Quindi la luna ha la metà dell'albedo di una lavagna. La Terra ha un'albedo globale di poco inferiore allo 0,4, ma di zona in zona l'albedo varia sensibilmente: come è facile immaginare, praterie, mari e ghiacciai riflettono in maniera diversa la stessa luce che ricevono.
Solo negli anni '60 (a essere precisi l'attestazione del significato pare sia del 1961, impressionante) si fa largo il significato botanico dell'albedo, che dai corpi celesti ci porta nei frutteti e in cucina, dove è la nemica giurata dei limoncellisti domestici e dei più schizzinosi, che passano lunghi minuti a pulire gli spicchi di arance e mandarini da ogni traccia di albedo. Non sarà succulenta come la parte succosa di un'arancia, ma pare che l'albedo degli agrumi abbia una gran quantità di virtù nutrizionali. Ma ci si può anche accontentare delle virtù estetiche del nome.
Ah, ma la parte gialla o arancione? Quella non ce l'ha un nome tecnico? E come no. Si chiama flavedo, nome attestato nel 1973 (costruito dal latino flavus, ‘giallo, dorato'). Quindi nella torta si deve grattare la flavedo dell'arancia. Un vero mondo di raffinatezze lessicali per blog e videolog di ricette!