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Come nasce l’estate, da stagione di paura alle vacanze di massa: intervista ad Alessandro Vanoli

Cosa è l’estate? Quando nasce quella che conosciamo noi? Lo spiega lo storico Alessandro Vanoli in un saggio che parte dall’antichità e arriva a oggi.
A cura di Francesco Raiola
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Foto di Mike Hewitt/Getty Images
Foto di Mike Hewitt/Getty Images

Alessandro Vanoli è uno storico che ha voluto indagare la storia umana usando come fil rouge le stagioni. Da poco è uscito – sempre per Il Mulino – l'ultimo capitolo di questa tetralogia, "Estate", un libro in cui si racconta come la stagione più calda è nata e come sono nate tutte le cose che a essa attribuiamo. Quello di Vanoli è un viaggio interessante nella storia dell'umanità, ma solo in estate (se volete, però, avete anche le altre tre stagioni), e potrete scoprire cose che a volte diamo per scontate, ma che scontate non sono. È una storia che parla di mietitura, ovviamente, ci porta nell'antica Roma e nell'antico Egitto,  ci racconta di lucciole e zanzare, ma anche di come l'idea di pulizia sia moderna (e una volta si aveva quasi paura dell'acqua), poi ci sono i libri, la musica e l'invenzione dei giovani e delle vacanze estive. Abbiamo chiesto allo storico di parlarcene.

Estate è il racconto di come nasce questa stagione. Ci racconta come e quando nasce l’idea di “Estate”?

L’idea nasce come parte di una quadrilogia sulla storia delle stagioni. Una progetto pensato assieme alla mia editor quasi cinque anni fa. L’idea era quella di raccontare una storia dell’umanità attraverso il suo rapporto con la natura e con i cicli delle stagioni. Un’idea particolarmente stimolante da storico, perché voleva dire occuparsi di tutto: del lavoro dei campi, delle feste, dei modi di vestire e di mangiare, oltre che della musica, della pittura e della letteratura… divertentissimo insomma.

E quando nasce, invece, l’estate come la conosciamo noi? Intesa come vacanza di massa?

Quell’estate nasce molto tardi. Per secoli l’estate è stata soprattutto tempo di fatica e di paura (sì era pure la stagione dei fantasmi e dei dèmoni), poi tra Sette e Ottocento ecco la prima borghesia ricca che comincia a invidiare gli usi dei nobili, che d’estate si trasferivano nei loro palazzi al fresco. Comincia un movimento di èlite, fatto prima di cure termali in montagna, poi, con sempre maggior convinzione anche al mare (inteso anch’esso inizialmente come luogo di cura e di divertimenti mondani). Poi solo dopo la seconda guerra mondiale, l’estate cominciò a diventare davvero il momento delle vacanze di massa. Una vera novità storica.

Interessante anche l’idea dell’estate moderna legata alla nascita dei giovani, inteso come gruppo sociale…

Anche questa è una storia del Novecento: prima degli anni quaranta-cinquanta i giovani non erano davvero ancora un gruppo sociale definito. Ci volle una nuova idea di consumi, un diverso senso di aggregazione sociale e tanto altro per produrre quell’identità. Anche la musica aiutò parecchio: il rock e gli strumenti amplificati furono qualcosa di più che una nuova moda: furono il senso stesso, la voce, di quella nuova generazione. E l’estate aiutò non poco: diventando il tempo per antonomasia in cui tutto questo trovava consistenza.

Tra le tante cose che racconta ce n’è una che ha scoperto scrivendo e che l’ha sorpresa?

Di sicuro la zanzara! Mi ero ripromesso di raccontare anche la storia di qualche insetto particolarmente estivo: locuste, cicale, lucciole… e naturalmente la domanda era lì che aspettava: finalmente saprò a che cosa serve la zanzara! La risposta è drammaticamente ovvia: la zanzara a noi non serve a niente, ma serve tantissimo ai batteri e ai virus che trasporta. Le nostre malattie – la malaria in testa –  sono il senso stesso di quell’insetto, che con i germi ha stabilito un patto di ferro: lui li trasporta, li diffonde e ne assicura la riproduzione. Noi siamo soltanto il mezzo, non il fine.

Il suo è un vero e proprio viaggio nel tempo alla scoperta di usi e costumi: dalla mietitura, al cibo passando per gli odori. Qual è la cosa che ha amato di più raccontare?

Da storico e da appassionato di musica, composizioni antiche e brani moderni son tra le cose che mi diverte più raccontare. E le stagioni si prestano benissimo: da Vivaldi, passando per Haydn e Piazolla… sino ai tormentoni estivi!

Leggendo il suo libro ci sono tante cose che diamo per scontate ma che scontate non sono come i calendari, quindi la scansione del tempo, intrinsecamente connessa anche alle stagioni e all’estate…

Non c’è nulla di scontato nella storia, perché la storia è fatta di convenzioni e di invenzioni umane, di cose che noi reputiamo eterne ma che invece hanno sempre un passato e dei cambiamenti. E facendo storia delle stagioni si scopre pure che neanche le stagioni sono sempre le stesse: il clima è cambiato sempre, talvolta in modo considerevole. E così si scopre che parlare del caldo a fine medioevo non è la stessa cosa che farlo per l’età romana. Anche oggi il clima sta subendo delle fortissime variazioni rispetto al passato recente. Ma oggi per la prima volta c’è una differenza sostanziale in questo: il cambiamento è in buona parte colpa nostra.

Un’altra cosa interessante riguarda il paragrafo su miasmi, umori e odori, che in estate si moltiplicavano. Difficile pensare come il rapporto con l’acqua fosse diverso dal nostro.

Buffo vero? Normalmente siamo portati a proiettare nel medioevo le nostre peggiori attitudini. In generale è una grande sciocchezza, e questa vale anche per i bagni. Nel medioevo infatti ci si lavava abbastanza. Fu solo in età moderna, a partire più o meno dal Cinquecento che le cose cambiarono. Colpa della mentalità e delle tante pesti del periodo. I medici si convinsero che i germi passassero dai porti e dunque ne dedussero che lavarsi fosse un rischio tremendo, visto che l’acqua dilatava i pori. Ne venne fuori che per un paio di secoli semplicemente non ci si lavò. In pieno Seicento, Luigi XIV, il Re Sole, fece solo un paio di bagni in tutta la sua vita… e sotto stretto controllo medico per giunta… neanche riesco a immaginarmi cosa volesse dire stargli vicino.

Cosa si impara scrivendo libri come il suo?

Che le nostre radici sono profonde. Spesso pensiamo che la nostra eredità sia legata alla famiglia, alla città o al più alla nazione. Ma questa è un’idea limitante. Non solo perché ci mescoliamo da sempre e dunque non c’è persona che non sia connessa a svariati popoli, ma anche perché veniamo da lontano, da un vero e proprio abisso di tempo. La storia delle stagioni ci insegna che siamo connessi alla natura; e ci spiega che tale connessione risale a tempi primordiali, a quando imparavamo per la prima volta a coltivare la terra e allevare gli animali. Esseri umani che di notte scrutavano il cielo stellato cogliendone i movimenti e le trasformazioni. E a leggere bene gli indizi che la storia ci ha lasciato, si capisce che qualcosa di quegli esseri di quegli antenati è ancora in noi. Basta solo stare attenti ed ascoltare:, per capire chenoi, malgrado tutto, siamo ancora natura e parte del cosmo.

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