Strade strette, medievali, coi tetti delle case ai due lati che quasi si toccano, dritte e perpendicolari come da tradizione romana o storte e involte a seguire le irregolarità del terreno, o antiche salde fondamenta. A quando a quando, una corte o una piazza, che si spalanca per poi ridipanarsi in vicoli.
Questi percorsi, che riconosciamo intimamente come nostri, oggi li camminiamo perlopiù a piedi, al massimo in bicicletta, inclusi in sfere pedonali. E anche se abbiamo la fortuna di vivere in questi antichi reticoli, non è facile condurvi una vita ricca dei viscerali misteri della città: capita di trovarsi turisti in casa propria.
Però, del lungo periodo in cui i bisnonni, e le trisavole, e i bisarcavoli tutti vivevano in maniera schietta e autentica queste parti delle nostre città, abbiamo in eredità più che cronache e ricordi sbiaditi: abbiamo parole che anche noi usiamo in maniera vivida, come fecero loro inventandole. Parole che usiamo in senso figurato, e che però nascono proprio dal vivere i cuori urbani medievali. Ne vediamo un paio?
Svicolare
Sì, è un derivato di vicolo. E il vicolo ha una carica pittoresca ineguagliabile: quante volte vediamo turisti imbambolati davanti a uno scorcio inatteso sollevare lentamente la macchina fotografica? Quante volte succede anche a noi? Ma nella vera vita cittadina è per eccellenza il luogo di passaggio discreto, che nasconde. Che nasconde con equanimità i buoni e i cattivi, coprendo l'intimità, celando traffici. E voilà, eccolo qui lo svicolare: letteralmente sarebbe l'entrare nel vicolo per sottrarsi a qualcuno che ci cerca o ci insegue: c'è una certa furbizia, nello svicolare, una padronanza del luogo, una presenza tattica, oltre che l'aspettativa di una certa benevolenza da parte di quel luogo riposto.
Ma oggi (forse) non ci capita spesso di svicolare dalla tipa che non abbiamo richiamato tuffandoci in un vicolo col mantello che svolazza. Piuttosto, facendo dello svicolare un generico eludere: svicoliamo dalla domanda scomoda girandola a qualcun altro, il figlio è abilissimo a svicolare le pulizie e si apprezza la schiettezza di chi non svicola.
Cantonata
Di base la cantonata sarebbe l'angolo esterno di un edificio che è angolo fra due strade, difatti il cantone (o canto) è giusto l'angolo di un edificio o di una stanza (fra l'altro ganzo, sono derivati dal greco kanthos, l'angolo dell'occhio.)
Di per sé lascia un po' il tempo che trova, ed è piuttosto nell'espressione "prendere una cantonata" che questa parola sfodera tutto il suo urbano vigore. Il significato lo sappiamo, è quello di fare un errore madornale, grossolano: "Ho comprato questo corso online a soli quattrocento euro!" "Guarda che è la sbobinatura di un libro che ne costa quindici." Oppure: "È rimasta girata verso di me tutto il tempo, è ovvio che le piaccio da morire" "A dire il vero eri seduto sotto al televisore". Cantonata perché il guidatore di carro (ma se ne vede anche qualcuno in auto) che ridendo e scherzando sbaglia una curva fra stradine e vicoli, la prende troppo stretta e urta col mozzo della ruota o la ruota stessa il cantone dell'edificio, egli lì ha preso una cantonata; ed ecco l'espressione: la svista, l'erroraccio sciocco e rovinoso. Si poteva evitare con un minimo d'accortezza.
Sono le prime che mi sono venute in mente: voci che ci danno la sensazione piena del nostro retaggio culturale, di come nell'avvicendarsi dei secoli la vita di ogni giorno si faccia parola, e luogo comune, e metafora, e quindi ricordo. Di come ci incontriamo, di quanto sia condiviso il nostro pensiero, di quanto profondamente siamo fatti tutti della stessa memoria. Non fanno passare la voglia di litigare?