Come morirono tra le fiamme gli abitanti di Pompei nel 79 d.C. e le somiglianze con Atene oggi
Chiunque visiti oggi gli Scavi di Pompei non può che non restare fortemente impressionato dalla vista del calchi delle vittime della famosa eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., testimonianza di verità suprema di quella che, al di là del fatto che ci ha consegnato il più straordinario sito archeologico dell'antica Roma, sono l'espressione più umana e tangibile di quella che resta, prima di tutto, una tragedia umana. Molte furono le vittime. Esseri umani in carne e ossa, che vissero ore d'agonia terribile in seguito all'esplosione e alle fiamme che devastarono la città di Pompei. Finora si pensava che quei calchi raccontassero l'agonia per soffocamento dei pompeiani. Adesso, invece, sappiamo che la loro morte fu del tutto diversa, perché furono bruciati vivi. Non esattamente alla maniera di quanto è orribilmente accaduto e sta accadendo ad Atene, in Grecia, in questi giorni. Anche se un po' tutti i giornali non hanno potuto che rinvenire somiglianze tra questi due tragici avvenimenti.
"Bruciati all'istante", sono soliti dire i ricercatori che hanno studiato il fenomeno a Pompei. Ma cosa vuol dire per la precisione? Secondo lo studio di qualche tempo da dei ricercatori dell'Osservatorio Vesuviano-INGV Giuseppe Mastrolorenzo e Lucia Pappalardo, e dei biologi dell'Università di Napoli "Federico II" Pierpaolo Petrone e Fabio Guarino, basato su una ricerca interdisciplinare – indagini su depositi vulcanici, struttura della cenere e DNA delle vittime, associate a simulazioni numeriche al computer dell'eruzione – l'ipotesi più accreditabile è che i pompeiani "persero la vita non dopo una lunga agonia per soffocamento ma all'istante per l'esposizione ad alte temperature, dai 300 ai 600 °C”.
Altra tragedia umana, altri tempi. Lontanissimi. Che purtroppo ricordano da vicino quanto sta accadendo in Grecia in queste ultime ore.