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Com’è fatta l’opera lirica del 2013? La risposta di Montalti e Grimaldi, due giovanissimi compositori all’opera.

Difficile immaginare un teatro musicale del terzo millennio. Eppure Biennale Musica commissiona quest’anno due opere a due giovanissimi autori: Vittorio Montalti e Raffaele Grimaldi. Scopriamo qual è la loro idea di teatro per musica.
A cura di Luca Iavarone
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Due atti unici per rinnovare, ancor più che innovare, la tradizione dell'opera lirica italiana. Due libretti e due tipi di scrittura assai diversi tra loro, uniti dalla sapiente regia di una delle firme di punta del teatro italiano, Giancarlo Cauteruccio.

Sembrano lontane le sperimentazioni di Nono e di Berio, anche perché il panorama culturale è ormai completamente mutato: il pubblico della ‘contemporanea' è in via d'estinzione, la musica e il teatro vengono associati nell'immaginario collettivo quasi solo nel contenitore ‘musical'. Se ci aggiungiamo poi che le politiche culturali non hannno nessunissimo "interesse" (che abominio!) a promuovere, come normalmente accadrebbe in Francia, in Germania o in Olanda, la creazione di nuovi prodotti che si pongano in una ideale continuità con il genere che più d'ogni altro ha appassionato i pubblici dei teatri internazionali; un genere che, nemmeno a dirlo, è nato in Italia e da qui si è sviluppato facendo scuola nel mondo, teoricamente un fiore all'occhiello della nostra produzione, da difendere e incentivare a spada tratta… il quadro è completo e, come ci aspettavamo, sconfortante.

Ma accade anche che, in una Biennale diretta da un compositore che fino a vent'anni fa, nell'epoca dei radicalismi, non avrebbe mai immaginato di poter tornare a quel tipo di tradizione, di frontalità, di proposta scenica, allora considerata obsoleta e deteriore a confronto delle nuove conquiste dell'ingegno musicale, si commissionino due opere a due compositori di nuova generazione: Raffaele Grimaldi (1980) e Vittorio Montalti (1984). C'è da chiedersi, senz'altro, cosa sia cambiato, che sfida sia questa e a cosa porterà. Ma c'è un'urgenza maggiore, a nostro avviso: la necessità di difendere quest'atto di ‘resistenza', contro un'aggressione sistematica ai danni del nostro patrimonio culturale, soprattutto se questa difesa avviene per mano di attori insospettabili e, immaginiamo, disinteressati.

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Eccoci, allora, di fronte a due lavori: "La macchina" di Grimaldi e "L'arte e la maniera di affrontare il proprio datore di lavoro per chiedergli un aumento" di Montalti. Due atti unici costruiti su due tematiche attuali, soprattutto per le nuove generazioni. Il primo ha come fulcro la crisi del mestiere e dell'identità del compositore il quale, di fronte alle angosciose e necessarie domande che è costretto a porsi ("Qual è il mio ruolo nella società? Ne sono parte? Sono davvero necessario?"), sentendosi malato, si reca dal dottore per curare il suo presunto disturbo bipolare, aggravato da manie di persecuzione ed esaurimento della creatività. Il libretto originale è di Diego Giordano.

Un dottore e la sua assistente cercano di portare alla luce il difetto che congenitamente affligge la soggettività decomposta e scissa di un compositore di musica contemporanea. La terribile cura avrà lo scopo di ricondurlo alla ragione, al riconoscimento e all'accettazione sociale. Ovvero non essere esistito.

Raffaele Grimaldi

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La seconda opera è "L'arte e la maniera di affrontare il proprio datore di lavoro per chiedergli un aumento" di Montalti, libretto basato su un libro di Georges Perec con una riduzione librettistica di raro pregio a cura di Giuliano Compagno. Anche qui ci sono una serie di domande che affliggono il protagonista: "Quando devo chiedere l'aumento? In che modo? Il mio capo sarà in ufficio? Sarà disposto a ricevermi? E sarà di buon umore per affrontare la questione?". L'idea, già presente nel testo originale di Perec è quella di costruire l'intero racconto su un diagramma di flusso, tecnica che dischiude una serie di possibili soluzioni al problema posto affrontandole tutte.

L'idea di un diagramma di flusso, ossia di un meccanismo che si trova alla base della creazione presenta una forte affinità con il mio modo di lavorare. Non credo abbia senso "mettere le note sotto le parole" ma penso piuttosto che la musica debba saper leggere le pieghe del testo e restituirci l'essenza più intima del suo significato. Una volta isolati i frammenti più significativi, passo ad una scomposizione del testo in cui la comprensibilità del testo stesso viene meno.

Vittorio Montalti

La straordinaria bravura di Jo Bullit, performer, attore, cantante dalle infinite risorse, per il quale l'opera è stata espressamente pensata, è una delle carte vincenti di questa opera freschissima, moderna, frenetica e interessante; un contenitore in cui scrittura musicale, macchina scenica, elettronica, videoproiezioni, testo e regia teatrale si coniugano perfettamente, a segnare la strada di quello che potrà essere il teatro musicale del futuro: assolutamente fruibile anche da non addetti ai lavori, di grande impatto ma anche estremamente colto, sapiente e complesso.

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